sabato 6 marzo 2004

Harold Kroto, un Nobel «ateo militante»

una segnalazione di Sergio Grom

IL CHIMICO E IL MECCANICO
intervista al premio Nobel Harold Kroto

"Internet è senza dubbio il più efficace dei media per divulgare la scienza"
"Una volta mi sono definito ateo. Oggi lo sono diventato in modo militante"
Ha scoperto "la molecola dell´anno". Ma l'inizio delle sue ricerche è legato al celebre giocattolo
di PIERGIORGIO ODIFREDDI


Torino. Nel 1985 Harold Kroto scoprí che una struttura da lui osservata in una nebulosa era costituita da sessanta atomi di carbonio disposti come sui vertici degli esagoni e dei pentagoni che costituiscono un pallone da calcio. Nel 1991 la struttura, chiamata C60, fu riprodotta in laboratorio: il mensile Science la elesse a "molecola dell´anno", ed essa fu ribattezzata buckminsterfullerene in onore dell´architetto Buckminster Fuller, che aveva usato strutture analoghe per la costruzione di cupole geodesiche.
Kroto, al quale la sua scoperta ha fruttato il premio Nobel per la chimica del 1996, si trova a Torino per la consegna del Premio Italgas 2004, e qui l´abbiamo intervistato.
Lei ha dichiarato una sorta di debito "intellettuale" verso il Meccano. Come mai?
«Da bambino mi divertivo semplicemente a giocarci, ma poi mi sono reso conto che col Meccano ho imparato a muovere con destrezza le dita: mi ha insegnato un´abilità quasi ingegneristica. Cosa che, ad esempio, non fa il Lego. Ho scritto un articolo per le pagine culturali del Times, un paio di Natali fa, suggerendo di regalare ai bambini il Meccano, invece che il Lego».
Che ruolo ha invece giocato la matematica, nel suo sviluppo?
«Mi piaceva abbastanza, benché la mia natura fosse manuale e pratica, e il mio principale interesse fosse la grafica. Ma mi divertiva risolvere problemi, geometrici e analitici. Fui molto colpito quando imparai le proprietà della funzione esponenziale: il fatto che non cambia derivandola, o la bellezza e l´eleganza del suo sviluppo in serie».
Il suo lavoro sul carbonio C60, però, fu più sperimentale che teorico.
«Be´, l´esperimento originario era di radioastronomia. All´epoca fu molto sorprendente trovare del carbonio nello spazio, e io congetturai che si originasse nelle parti più fredde delle stelle, dove i processi atomici possono lasciare il posto a quelli chimici di formazione delle molecole. Cercammo di riprodurre condizioni stellari analoghe a quelle che avevamo osservato, e scoprimmo che c´era qualcosa di speciale nel numero 60. Sulla base del fatto che le forme stabili del carbonio sono esagonali, trovammo una possibile soluzione geometrica introducendo dodici pentagoni. Quindi si trattò di una congettura in parte matematica, e in parte empirica.
Dal punto di vista geometrico, la struttura del carbonio C60 è un solido semiregolare. È possibile realizzarne chimicamente anche altri?
«Non saprei. Certamente ci sono strutture cubiche e prismatiche, e vari tipi di fullerene. Si può congetturare che la maggior parte dei solidi regolari si possano formare col carbonio, almeno in maniera approssimativa. Il dodecaedro è certamente possibile, ma non so se qualcuno ha provato a farne altri: sono difficili da realizzare, e probabilmente non sarebbero utili».
E non si presentano in natura?
«Non credo. Ma ci sono altre strutture reticolari: in fondo, i solidi regolari o semiregolari sono molto particolari».
Lei si è molto impegnato sul fronte della divulgazione scientifica, dai giornali e la televisione al suo sito (www.vega.org.uk). Quale medium considera più efficace per questo scopo?
«Internet è senza dubbio il migliore. Supera di molti ordini di grandezza qualunque sistema di comunicazione che sia mai esistito. Si trovano testi, immagini, filmati nel giro di qualche secondo, su qualunque argomento. Cosa può esserci di paragonabile?»
È dunque finita l´era del libro?
«No, ma è rafforzata dai nuovi media. Qualcuno preferisce i libri, qualcun altro i film: gli uni non rimpiazzano gli altri. E poi ci sono le lezioni, che oggi possiamo vedere registrate in rete anche dopo la morte di chi le ha tenute, come nel caso di Feynman».
Qualche tempo fa ha scritto un articolo per il Sunday Times intitolato: «Gli scienziati non meritano critiche». La scienza non solleva problemi etici?
«Il titolo era editoriale, ma il problema è sottile. Naturalmente io credo che gli scienziati abbiano la responsabilità di far sì che il progresso tecnologico venga usato per il benessere dell´umanità. D´altra parte, qualunque tecnologia può essere usata o abusata, per fare del bene o del male: col coltello si può tagliare il cibo a tavola, o la gola del vicino».
E per rimanere, più specificamente, nella chimica?
«L´esempio più tipico è la dinamite, che può essere usata per scavare un canale o per fare una mina. La scienza è conoscenza, e il problema è come la società debba usare questa conoscenza. In realtà, però, io sono ateo: per me l´etica si riduce al fare il minor male possibile al prossimo, e a volte bisogna prendere delle decisioni al riguardo».
Una volta lei ha detto di essere un ateo "devoto".
«Appunto, una volta. Oggi sono un ateo militante. E se le cose peggiorano, diventerò un ateo fondamentalista».
Perché?
«Perché credo che ci siano due tipi di persone al mondo: quelli che hanno credenze mistiche, e quelli che non ce l'hanno. Questi ultimi credono che la vita sia tutto ciò che abbiamo, che dobbiamo godercela e aiutare gli altri a godersela. Gli altri pensano che la vita futura sia più importante di quella presente, e temo che faranno saltare in aria il mondo. Non ho dubbi sul fatto che il maggior pericolo per l´umanità oggi sia ...»
il fondamentalismo religioso.
«No, peggio. È che l'uno per cento dell'umanità ha seri problemi mentali, e una buona parte di questi matti trova giustificazioni religiose per la propria pazzia. Altri la trovano nel nazionalismo e nel patriottismo, il che è altrettanto pericoloso».

È per questo che lei lavora per Amnesty International?
«Non ho tempo di lavorarci veramente, e vorrei fare di più per loro. Ma sono iscritto all´associazione e ne condivido gli obiettivi. Credo che dobbiamo cercare di sradicare la disumanità dell´uomo verso l´uomo, e il caso peggiore è quando lo stato prende il sopravvento e cerca di giustificare le sue azioni sulla base di motivazioni religiose, nazionaliste o patriottiche. È estremamente pericoloso, soprattutto ora che è facile procurarsi tecnologia avanzata: c´è il rischio di una fine dell´umanità».
Lei non crede che si possa essere religiosi in un senso più alto, vedendo Dio nelle leggi della natura?
«Einstein credeva nel Dio di Spinoza, che si rivela nell´armonia del creato, ma non in un Dio che si interessa delle fedi e delle azioni dell´uomo: per me questo è ateismo. Il vero problema è che la maggioranza della gente vive una vita miserabile, e ha un bisogno disperato di aggrapparsi a qualcosa: io credo che questo sia un meccanismo biologico di difesa, senza il quale l´umanità forse non sarebbe sopravvissuta. Solo una minoranza riesce a uscirne e accettare che questa vita è tutto ciò che c´è, e che quando è finita, è finita. Ma questo, più che una risposta, è soltanto un tentativo di dirle cosa penso: a certe domande, in realtà, non si può rispondere».