martedì 2 marzo 2004

lo scontro culturale in Francia

il manifesto 2.3.04
La rivolta della materia grigia
L'appello lanciato da alcuni intellettuali francesi contro l'«antintellettualismo di stato» ha raccolto oltre 40mila adesioni. A firmarlo non ci sono solo i nomi celebri dell'industria culturale, ma sopratutto ricercatori, psicoanalisti, architetti, avvocati, lavoratori dello spettacolo. Tutti concordi nel denunciare la riduzione della spesa pubblica e nel ritenenere che la produzione culturale non si misura secondo le regole dell'economia
di ANNA MARIA MERLO


PARIGI. Gli intellettuali, nel senso più ampio del termine - professionisti della cultura, del sapere e del legame sociale - si stanno risvegliando in Francia. Dopo mesi di proteste «settoriali», dai precari dello spettacolo agli avvocati passando per medici, insegnanti, psicoanalisti e ricercatori, più di 40mila persone hanno firmato l'«Appello contro la guerra all'intelligenza» scatenata dal governo di Jean-Pierre Raffarin, lanciato dal magazine Les Inrockuptibles, che intende denunciare «il nuovo anti-intellettualismo di stato» e federare con un denominatore comune i vari movimenti che attraversano le «professioni» intellettuali. Ieri sera, allo Zenith di Parigi, dopo una manifestazione nella stessa capitale francese, si è svolta una serata organizzata dal gruppo musicale Têtes Raides, per lanciare un «Avviso di KO sociale» (in francese KO suona anche «caos»), e denunciare l'attacco che i settori «improduttivi» subiscono da parte della politica della destra al potere. Sul palco sono intervenuti anche i ricercatori, firmatari di una petizione «Salviamo la ricerca» che ha già raccolto l'adesione di 54mila scienziati, cioè la metà dei ricercatori scientifici francesi. Alla base di questo movimento d'opinione c'è una domanda rivolta al mondo politico, di destra come di sinistra: «quale spazio una società è pronta a dare alla produzione e alla circolazione del sapere». L'«Appello contro la guerra all'intelligenza» porta firme note (Jacques Derrida, Etienne Balibar, Alain Touraine, François Ozon, Claude Lanzmann, Bernard Tavernier, Patrice Chéreau o Michel Rocard e Daniel Cohn-Bendit), ma la sua forza deriva prima di tutto dalla diffusione che ha avuto nel mondo più allargato degli «intello».
Universitari, ricercatori, lavoratori dello spettacolo, medici ospedalieri, psicoanalisti, archeologi, architetti, avvocati, insegnanti vedono negli interventi governativi di riduzione della spesa pubblica «un nuovo anti-intellettualismo di stato», come si può leggere nell'appello (su Internet è consultabile al sito: www.lesinrock.com). «Assistiamo alla realizzazione di una politica estremamente coerente - spiega la petizione - una politica di semplificazione dei dibattiti pubblici», con l'obiettivo di distruggere il «legame sociale». La petizione «Salviamo la ricerca» e la minaccia dei direttori dei laboratori scientifici di dare in massa le dimissioni alla fine di questa settimana se il governo non interverrà a favore del rilancio della ricerca pubblica (a cominciare dall'assunzione non precaria di 550 giovani ricercatori, oggi a contratti a tempo determinato) sta imbarazzando seriamente il governo.
Jean-Pierre Raffarin, che si vuole il paladino della «Francia dal basso», ha messo al lavoro il suo club politico «Dialogo e iniziativa» per rispondere all'«Appello contro l'intelligenza». Per il momento, la destra al potere risponde dichiarando «guerra all'immobilismo» e riversando disprezzo su tutti gli «intello», dai «ricercatori che non trovano niente» fino ai precari dello spettacolo che vivono di sovvenzioni. Per l'editorialista degli Inrockuptibles, la controffensiva governativa «è stata soprattutto l'occasione per il primo ministro di rivelare di nuovo la chiave di due anni di politica governativa: invocando 'buon senso economico', tenta di alleare il 'buon senso vicino a voi' della Francia dal basso con il dogma dell'economia di mercato. Cosi' facendo, rivela fino a che punto stiamo assistendo oggi a un trasferimento di competenze. Ormai è la logica economica che fa le veci della politica. Ed è precisamente contro questo trasferimento di competenze a solo profitto della logica economica, contro questa squalifica del lavoro invisibile dell'intelligenza, giudicato improduttivo e non redditizio, che si erge questa protesta». Gli Inrockuptibles, che ormai dopo le prime 17 pagine di firme pubblicano ogni settimana degli interventi sull'«Appello», spiegano che la protesta non è solo contro il governo in carica. Piuttosto, ci troviamo di fronte a «un'interrogazione più generale, più profonda, del mondo politico, dei rappresentanti di destra come di sinistra. Non è neppure un attacco contro il sistema dei partiti», quanto una richiesta di chiarimento: dove vogliamo andare se viene disprezzato il lavoro non immediatamente produttivo a favore di un populismo dalla vista corta? Il ricercatore in fisica Georges Debrégeas rileva il fondo della questione: «è l'impossibile adattamento del nostro mestiere ai nuovi dogmi dell'economia di mercato che ci condanna». Secondo Philippe Mangeot, ex presidente di Act up!, l'»Appello» è una «convocazione» che si rivolge soprattutto alla sinistra: si è realizzata una «rottura tra lo spazio politico istituzionale e il lavoro intellettuale, inteso nel senso più ampio del termine. E' questa rottura, tuttavia, che condanna la sinistra ad incarnare solo un'opposizione debole, sovente incapace di contestare i termini dei dibattiti formulati dalla maggioranza, mentre ci si aspetterebbe da essa che li prenda contropelo ed imponga altre problematiche». Per Mangeot, biognerebbe reinventare oggi un nuovo «intellettuale collettivo» (senza per questo tornare all'intellettuale «organico» di Gramsci o a quello «specifico» di Foucault).
Il filosofo Ruwen Ogien, sul'ultimo numero degli Inrockuptibles denuncia «l'insulto all'intelligenza di ogni democratico e progressista» rappresentato dalla slogan governativo sulla «necessità di tornare ai valori dell'autorità, del lavoro e della famiglia».
Negli interventi pubblicati sul sito Internet del club di Raffarin «Dialogo e iniziativa», viene fuori una Francia populista che cova rancore verso il mondo intellettuale. Ecco alcuni esempi: «Non ne possiamo più di farci insultare in permanenza da benpensanti che vivono di sovvenzioni, protetti dai loro statuti. Questi intoccabili non hanno neppure la decenza di approfittare nel loro buco dei vantaggi di cui godono, non riescono ad evitare di irridere chi lavora e anche chi cerca lavoro. E' tempo di rompere il silenzio su questa ingiustizia». Per un altro, «bisognerebbe una volta per tutta spazzare via tutti questi vantaggi acquisiti e ridare al merito, all'iniziativa e al coraggio tutti i mezzi che oggi sono sprecati da profittatori pieni di certezze». Molti puntano il dito contro gli intellettuali che «non dovrebbero dimenticare troppo in fretta che le sovvenzioni di cui godono derivano dal bilancio della nazione, dalle tasse pagate dai loro compatrioti», che «molto sovente hanno solo l'intelligenza di sapere come ricevere le sovvenzioni da parte dei meno `intelligenti' che lavorano. Che abbiamo l'intelligenza di cercare un vero lavoro invece di vivere da parassiti, disprezzando per di più coloro che li mantengono».
Il 21 e 28 marzo, in Francia si vota per le regionali e le cantonali. L'«Appello» si incrocia così con il dibattito politico e l'establishment ha paura. Si tratta infatti delle prime elezioni dopo il terremoto del 2002 (Le Pen al secondo turno delle presidenziali, poi vittoria della destra alle legislative) e lo spettro di una crescita dell'esterma destra incombe, mentre una parte del mondo politico sembra cedere alla deriva populista e un'altra parte non riesce a proporre una risposta efficace a tale deriva.