mercoledì 14 aprile 2004

attacchi di panico

Gazzetta di Parma 14.4.04
Il problema viene analizzato in un saggio di Francesco Rovetto, docente del nostro Ateneo
Baratri di paura
Attacchi di panico, una patologia che può essere vinta
di Francesca Avanzini


La prima volta ti coglie del tutto di sorpresa: stai percorrendo a piedi la strada di casa, oppure, pigiato in metropolitana, vedi scorrere le note stazioni, quando la gola ti si chiude, ti sembra di non riuscire più a respirare e il cuore prende a batterti furiosamente. Tutto quanto intorno a te subisce una vaga distorsione, la gente sembra fissarti con stupore o, peggio, con riprovazione, ci siamo, pensi, sto per impazzire, adesso cado, svengo, mi metto a straparlare.
Così, alla prima fermata - non la tua - scendi a precipizio e ti lanci su per le scale come inseguito da un dobermann in cerca di aria, di salvezza. E man mano che il cuore si quieta e la mente si snebbia, ti chiedi con preoccupazione che cosa ti sia successo, se una minaccia di infarto, le avvisaglie di un ictus o i prodromi della pazzia.
Niente di tutto questo, è «solo» panico, un disturbo che colpisce un numero sempre maggiore di persone e che, se dimostra una lieve preferenza per le donne, non trascura uomini grandi e grossi all'apparenza timorosi di niente. Per tutti questi la vita diventa a poco a poco un percorso a ostacoli, anzi, a imbuto, perché a forza di evitare situazioni - la metropolitana, l'autobus, i luoghi aperti o affollati, l'autostrada - ci si riduce rannicchiati nell'ultimo angolo di casa. E neanche lì si è sicuri al cento per cento: l'attacco di panico può infatti cogliere subdolo proprio nell'attimo in cui, per vari motivi, non è possibile comunicare con nessuno. Oltre al fatto che il cervello di chi soffre di panico si mette in trappola da sé, sempre all'erta a spiare i minimi sintomi del corpo e a interpretarli in senso catastrofico o ad anticipare sensazioni sgradevoli.
Ad avere, in poche parole, paura della paura. Ma come uscire dal circolo vizioso? Esiste una cura, un rimedio una soluzione? E che origine ha il panico? Come può una reazione come la paura, così vitale per la sopravvivenza, incepparsi e diventare abnorme, scattare anche quando niente nell'ambiente circostante la giustifica?
A questa e a numerosissime altre domande risponde il volume «Panico» (collana Psicologia McGraw-Hill, pagg.578, euro 32), scritto da Francesco Rovetto, docente di Psicologia Clinica presso l'Università di Parma, che si è avvalso della collaborazione di un manipolo di illustri colleghi psicologi e psicoterapeuti per fornire una panoramica a 360 gradi del fenomeno panico e delle sue implicazioni.
Ma prima di addentrasi in una qualunque descrizione del libro, occorre premettere che non si tratta di un manuale di auto-aiuto - anche se nel cap.10 viene fornita una lista di libri di self help che affrontano il problema non solo dal punto di vista pratico ma anche da quello più largamente esistenziale del panico come condizione umana - e nemmeno di facile divulgazione.
Si tratta di un saggio documentatissimo ed esauriente, rivolto in particolar modo (ma non solo) a esperti del settore, che riserva al problema un approccio scientifico e che, in 20 capitoli, affronta ogni possibile aspetto del panico, dall'origine risalente in genere a esperienze infantili di abbandono, alla recrudescenza in occasione di recenti abbandoni, al manifestarsi in seguito a particolare stress, assunzione di farmaci e sostanze o talvolta persino in caso di dieta. La buona notizia, però, è che dal panico si guarisce con molta più frequenza di quanto ci si potrebbe aspettare, grazie a terapie mirate che prevedono a seconda dei casi l'uso di psicoterapia, la «riprogrammazione» in senso meno angoscioso delle proprie aspettative e sensazioni e anche l'uso di farmaci.
Nel libro vengono presi in esame i più recenti metodi curativi, dall'approccio cognitivo a quello psicoanalitico, all'ipnosi, ai gruppi di auto aiuto e persino all'uso di Internet e della realtà virtuale, vengono forniti esempi di test atti a valutare e misurare il panico e stralci di sedute con pazienti afflitti dal problema.
Inutile dunque rimpiangere tempi in cui si era tutti più vicini e solidali, in cui grandi teorie o religioni si facevano carico di ogni bisogno umano e consolavano dalle paure: anche quei tempi, a ben guardare, non erano esenti da terrori magari espressi in altri modi. E se si può sempre tentare di riallacciare rapporti umani più caldi, niente impedisce nel frattempo di curarsi con gli ultimi ritrovati della scienza.

Gazzetta di Parma 14.4.04
Parla l'autore del volume. Lo studioso insegna psicologia clinica
Vivere col fiato sospeso
«Ma la guarigione è completa nell'ottanta per cento dei casi»
di F. A.


Per prima cosa si vorrebbe sapere se di panico si guarisce, e se la guarigione è certa. «Nell'ottanta per cento dei casi la guarigione è completa», conferma il professor Rovetto, «se in questo si include anche un certo numero di soggetti, diciamo un 20%, per i quali permane un leggero stato ansioso, ma le cui condizioni di vita sono largamente accettabili. Persone che magari, all'occasione, preferiranno far guidare la macchina ad altri o che prenderanno l'aereo con qualche apprensione, ma che sostanzialmente non hanno limiti nella loro vita. Incide poi anche il carattere, c'è chi nasce fifone e chi spavaldo, e su questo dato di base non si può intervenire».

Mentre il restante 20% è irrecuperabile…
«Esistono anche persone che non vogliono guarire perché, ad esempio, senza problemi si ritengono persone da poco, o altre per cui l'attacco di panico è strumentale. Lo studente che è troppo spaventato davanti agli esami universitari, finché non li affronta può ritenersi uno da 30 e lode, affrontandoli potrebbe scoprire di essere da 28... C'è una forte immagine di sé in tanti casi. La malattia è a volte anche un equilibrio utile. La moglie molto possessiva può trovare comodo che il marito la accompagni ovunque, al supermarket come dal parrucchiere, e viceversa al marito molto geloso può far comodo una moglie murata in casa. C'è poi chi non guarisce per cause organiche. L'attacco di panico è piuttosto comune tra i diabetici, può essere causato da ipotensione ortostatica o da altri disturbi ancora. L'asma ad esempio è una delle patologie più facilmente associabili al disturbo da panico».

Escluse le cause organiche, si potrebbe pensare che il panico colpisca individui particolarmente timidi o introversi?
«Più che di timidezza si tratta di rigidità. Il panico capita a persone perfezioniste, che vogliono avere tutto sotto controllo. Non fanno prorompere le emozioni, sono spesso bloccate anche sul piano affettivo o relazionale, così l'attacco di panico è l'unica occasione per sentirsi vivi. Non accettano rischi, mentre vivere significa rischiare. Tutto è a rischio, persino ogni gravidanza, a ben pensarci».

Ha a che fare, tutto questo, con quella modalità «tutto o niente» di cui si parla nel libro?
«Questi pazienti non accettano le sfumature. Per esempio, o stanno bene o stanno male, anzi malissimo, così bisogna insegnar loro a convivere con i piccoli problemi che tutti hanno quotidianamente. Non è detto che un po' di vertigini degenerino necessariamente in panico, o che se si sbaglia un dettaglio tutto vada a monte».

Eppure una volta la gente non sembrava afflitta da questi problemi. O forse c'erano ma si esprimevano in altri modi?
«Un tempo si aveva paura di cose concrete, perché si vedeva un leone. Ora si ha terrore di cose simboliche, e questo estende il dominio della paura. Una volta poi i destini erano rigidamente codificati, il figlio del contadino non poteva aspirare a molto altro che a fare il contadino, e la figlia del conte non poteva certo pensare ad aprire una pasticceria. Ora si è soli di fronte alle scelte, di fronte al baratro. Il panico è una malattia di solitudine e di libertà, tanto che l'attacco di panico potrebbe definirsi un attacco acuto di solitudine».

Non avrà per caso a che fare con la depressione, il grande ombrello sotto il quale si rifugiano tutti i malesseri moderni?
«Se il panico si associa con un momento di depressione i sintomi vengono ingigantiti, e spesso occorre uno stato di depressione per scatenarlo».