mercoledì 14 aprile 2004

Vittorio Storaro: le immagini

L'Arena 14.4.04
Incontro con l’autore della fotografia, a Verona per la sua mostra di immagini in occasione del festival «Schermi d’Amore»: «La posizione giusta davanti ad un’opera è la propria»
Vittorio Storaro: sono un visionario
«Vedo le cose al di fuori di ciò che mi è di fronte». Il micro e macro cosmo
di Simone Azzoni


Verona . S'aggira nella mostra «Scrivere con la Luce», a Verona alla Gran Guardia in anteprima mondiale fino al 6 maggio, in occasione del festival «Schermi d’Amore» che si terrà dal 16 al 25 aprile. Sembra un turista pignolo e attento ma è l'autore della fotografia Vittorio Storaro, tre premi Oscar per Apocalypse Now , L'ultimo imperatore e Reds . Cento immagini fotografiche selezionate da oltre quaranta film della sua carriera. Sono su cavalletti disegnati dalla figlia Francesca. - Perché non ha utilizzato i muri?
«Per stabilire un continuum con la pittura. La fotografia ha portato avanti infatti la visione attraverso la captazione delle immagini, ha proseguito cioè gli intenti grafici sul piano moderno. La radice è la stessa, per mostrarla ho pure incollato le foto su supporti pittorici».
- Perché usa la parola visionario parlando di sé?
«Visionario è il nome del cavalletto che è fatto a forma di "V". Ma visionario è qualcuno che prevede, qualcuno che ha una visione, che vede al di là di ciò che gli è posto di fronte e che potrebbe toccar con la mano, lo tocca con la preveggenza, fantasia e immaginazione. Non chiudo mai ciò che si vede in un punto, ma scelgo un proseguimento, un vedere attraverso. Non dò mai un termine. Mi piace dire che sono colui che vede le cose al di fuori di ciò che mi è di fronte. Chi si esprime con l'espressione visiva deve dover essere un visionario».
- Ma lei a quale punto di vista ci costringe. Dov'è chi guarda le sue inquadrature? Coincide con lei che le ha girate? È dentro l'immagine? Dov'è?
«Non so se c'è un punto di vista che deve coincidere con il punto di vista dell'autore. Platone diceva che la visione è un incontro tra l'immagine riflessa dell'oggetto e l'energia che esce dagli occhi che s'incontra. Sono due forze e da quest'incontro nasce una vibrazione che va a stampare questa visione nell'occhio dell'umano. C'è l'immagine riflessa dai corpi ma anche la nostra fantasia, la nostra psicologia, il nostro essere. Di fronte alla stessa immagine io e lei vediamo due cose diverse. Luci, colori li vediamo in modo individuale e personale, diamo a loro simboli personali. La posizione giusta davanti ad un'opera è dunque la propria. L'ultimo co-autore dell'opera cinematografica è lo spettatore diceva Bertolucci».
- Quali dei mezzi tecnici che lei utilizza, quali forme della disciplina fotografica diventano contenuto?
«Credo di utilizzare soprattutto il confronto tra la figura e il dettaglio. Il micro e il macro cosmo. Ma guardi non sono un buon fotografo. Io sono stato educato ad esprimermi in un tempo ed in una successione di immagine, ho bisogno di due immagini per potermi esprimere. Anche in questa mostra le immagini sono legate ad un dialogo, ad un conflitto tra due punti diversi, tra foto e cinema. Rapporti tra caratteri, parti del corpo e paesaggio, devo poter mettere in movimento e in dialogo una cosa con un'altra».
- Cosa c'è prima e dopo una immagine fissata dalla macchina da presa, dove va la realtà?
«Problema che tutti abbiamo come artisti. Viviamo la creazione e non la via reale, tendiamo a fissare le cose in un prodotto artistico. La vita che abbiamo di fronte tendiamo ad interpretarla. Usiamo l'inconscio perché esso si esprime con simboli e quindi con essi troviamo le risposte alle nostre domande. Così cerco un equilibrio tra due elementi opposti, corpi diversi. I momenti vanno vissuti non è importante se riusciamo a fissarli».
- Parla di equilibri. Qual è l'equilibrio tra la luce e l'ombra? Che lei usa in chiave metaforica...
«La penombra se lei mi chiede della vita in cui stiamo vivendo. Il tutto e il nulla, l'uomo e la donna, il conscio e l'inconscio. Nella vita filosofica dovrebbe essere l'illuminazione dell'ombra, chiarire le nostre domande, silenzi e dubbi. Nella vita artistica sono i colori, i figli della luce e dell'ombra. Con tutta luce c'è il bianco quando manca c'è il nero».
- La definizione di espressionista della luce le dà fastidio?
«No, perché marca in modo forte il conflitto tra luce e ombra per poterla far divenire espressione, che dica qualcosa di molto preciso, una denuncia di uno stato di disarmonia, di qualcosa che tramite lo scontro può cambiare uno stato della vita».