venerdì 2 aprile 2004

le scelte culturali di Repubblica:
perché riproporre oggi Davidson e Foucault?

L´etica dell´inquietudine
Vent´anni fa moriva il pensatore francese
Le sue tesi che spaziano dal mondo antico al moderno fanno ancora discutere
Un convegno a Venezia per ricordare il filosofo che morì di Aids nel 1984
Negli ultimi anni dedicò le sue ricerche ai temi della saggezza, dello scetticismo e del come prendersi cura di sé
di ARNOLD I. DAVIDSON


Che cosa significa «esercizio spirituale» in un contesto laico e per di più in un contesto contemporaneo? Da un punto di vista concettuale, e non soltanto storico, per studiare gli esercizi spirituali dobbiamo cominciare con la filosofia antica, come Pierre Hadot ha definitivamente mostrato nel suo capolavoro "Esercizi spirituali e filosofia antica". Non è per caso che alla fine della sua vita, cercando una nuova concezione dell´etica, Foucault si è rivolto alla filosofia antica. Dopo una lettura attenta dei saggi di Pierre Hadot, lettura che di certo si innestava su interessi filosofici propri, Foucault ha scoperto nella filosofia antica, e soprattutto nella filosofia stoica e cinica (ma anche in Platone e nel monachesimo cristiano), un luogo inequivocabile degli esercizi spirituali etici, di solito designati da lui tecniche o pratiche del sé.
La scomparsa dell´idea degli esercizi spirituali è un aspetto fondamentale dell´assenza nella filosofia contemporanea di un campo semantico e concettuale molto complicato e dettagliato. Vorrei ritagliare da questo campo il concetto di saggezza, dato che è un concetto quasi irreperibile nella filosofia contemporanea e strettamente legato all´idea degli esercizi spirituali. Oggi viene chiamata saggezza quella che non è altro che una forma di autocompiacimento. Però la storia filosofica dell´idea di saggezza dimostra invece che concettualmente la saggezza è il contrario dell´autocompiacimento, dell´autosoddisfazione.
Nella filosofia antica, la saggezza è, prima di tutto, per dirla con Pierre Hadot, «prerogativa degli dèi, il vero e proprio contrassegno della distanza che separa gli dèi e gli uomini». La filosofia è per l´appunto l´amore per la saggezza, se la saggezza è concepita come una norma trascendente, un ideale trascendente, quasi inaccessibile. Così si è espresso Hadot a proposito dei filosofi stoici: «Questa figura ideale di saggio, il filosofo stoico sa che non potrà mai realizzarla; essa tuttavia esercita su di lui un´attrazione, suscita in lui entusiasmo e amore, è come un appello a vivere meglio, a prendere coscienza della perfezione da raggiungere». Nella concezione antica, la pratica ovvero l´esercizio della filosofia, la ricerca della saggezza, non può mai finire. La saggezza implica l´ascesi, degli esercizi del sé; la saggezza è attiva. È un ideale a cui ci si può soltanto avvicinare, mediante esercizi del sé; e il carattere ideale della saggezza fa sì che questi esercizi debbano essere sempre riattivati, sempre ricominciati.
Vorrei anche richiamare l´attenzione, per ragioni filosoficamente analoghe, all´idea di cura di sé che si trova nell´ultimo Foucault. Nell´Ermeneutica del soggetto Foucault sottolinea che nell´età ellenistica la cura di sé costituiva «una pratica costante». È un principio della «cura permanente, che dura per tutta la vita». Porta a esempio un testo di Epicuro: «Non è mai né troppo presto né troppo tardi per prendersi cura della propria anima. Si deve dunque filosofare sia quando si è giovani sia quando si è vecchi»; e cita la frase di Galeno: «Per diventare un uomo completo, ciascuno ha bisogno di esercitarsi, per così dire, per tutta la vita». Foucault sintetizza così: «Occuparsi di sé non è, dunque, una semplice preparazione momentanea alla vita; è una forma di vita». D´altronde Foucault insiste sull´aspetto pratico della cura di sé, mostrando che si tratta di «una forma di attività» e che «lo stesso termine di epimeleia non designa semplicemente un atteggiamento della coscienza o una forma di attenzione rivolta a se stessi, ma indica piuttosto un´occupazione regolata, un lavoro con i suoi procedimenti e i suoi obiettivi». Non si può insomma aver cura di sé senza un´attività costante: un´attività che consiste appunto nel fare esercizio, nel fare un lavoro su se stessi.
Non è il caso, qui e ora, di elencare i diversi tipi di esercizi. Voglio solo sottolineare che la trasformazione di sé che ne risulta suppone non un sapere dimostrato o un sapere rivelato, bensì un sapere praticato: vale a dire un saper fare, un saper vivere, quello che Foucault chiama «un sapere spirituale» e che a me piace chiamare a volte una «ascetica di sé». Il sapere pratico, praticato, degli esercizi spirituali è, dice Foucault, un sapere ?etopoietico´: «Ethopoiein significa fare dell´ethos, produrne, modificare o trasformare l´ethos, la maniera di essere, il modo d´esistenza di un individuo. Ciò che è ethopoios è qualcosa che possiede la qualità di trasformare il modo d´essere di un individuo».
Vorrei ricordare un fatto del resto ben noto, e cioè che Foucault non amava affatto la saggezza trascendente di cui parla Hadot. Foucault ha sempre criticato, con forza, ogni concezione della moralità come luogo di valori trascendenti. E al tempo stesso ha sempre criticato ogni forma di autocompiacimento etico nella storia della filosofia. Foucault cercava una morale de l´inconfort, un´etica dell´inquietudine per rendere mobile l´immobilità. «Distaccarsi da se stessi» è, in qualche modo, il motto di questa morale de l´inconfort. Voglio comunque ricordare che lo stesso Hadot afferma che una concezione giusta della figura del saggio deve tener conto delle nuove condizioni storiche. E ora vorrei fare una domanda, a mo´ di provocazione: c´è un equivalente immanente della saggezza trascendente? Si può dare una relazione con sé che abbia la forza e la mobilità della saggezza, senza però essere trascendente? Ecco, io suggerisco che l´equivalente immanente della saggezza trascendente sia per l´appunto quella estetica dell´esistenza che è una delle nozioni-chiave dell´ultimo Foucault.
Posso adesso soltanto aggiungere qualche considerazione sull´estetica dell´esistenza: un´idea che resta tuttavia da studiare in modo dettagliato. In effetti si tende a interpretare l´estetica dell´esistenza come un tipo di self-realisation psicologica; ma è proprio contro questa interpretazione - il culto californiano del sé - che Foucault ha elaborato la sua idea di estetica dell´esistenza. Foucault l´ha detto senza mezzi termini, in una frase indimenticabile: «L´arte di vivere, è uccidere la psicologia». Del resto l´estetica dell´esistenza e la stilizzazione della vita devono appunto essere pensate contro l´insieme di nozioni che fanno capo all´idea di legge morale, un´idea di legge, per così dire, come sistema o macchina di giudizio, con i suoi tribunali, giudici, sentenze, sanzioni.
Secondo Foucault, il bisogno di un´estetica dell´esistenza è da rapportare all´esigenza di una tecnica del sé, una tecnica di vita che comporta un nuovo atteggiamento verso noi stessi, un atteggiamento critico. In una conferenza pronunciata negli Stati Uniti nel 1980 (ancora inedita in francese e in italiano), Foucault stabilisce la connessione della cura di sé con quella che chiama la ricerca di un altro tipo di filosofia critica: «Non si tratta di una filosofia critica intesa a definire condizioni e limiti di possibilità della conoscenza di un oggetto; si tratta piuttosto di una filosofia critica volta alla ricerca delle condizioni e delle possibilità, ancora indeterminate, di una trasformazione del soggetto, di una trasformazione di noi stessi.» Queste condizioni e queste possibilità ancora da individuare e da elaborare ci svegliano dal nostro sonno etico; esigono però - e questo Foucault lo ha di certo messo in chiaro - un prezzo da pagare.
Il nostro compito è di ritrovare nella storia e di inventare per noi stessi gli esercizi di sé. In tal modo possiamo rianimare sia la nostra idea di etica sia le arti di vivere. La nostra concezione dell´etica viene deformata da un´idea troppo giuridica della moralità; inoltre abbiamo quasi perso la nozione classica delle arti di vivere, come se non potessimo ricollegare le arti di vivere all´organizzazione etica di una vita. È una deformazione e una perdita che non dobbiamo continuare a sopportare.