venerdì 2 aprile 2004

"Un film parlato"
la recensione di Roberto Silvestri

il manifesto 2.4.04
Un requiem molto laico per l'Europa
Un film parlato È il titolo del capolavoro imperfetto del cineasta Manoel de Oliveira che, su una nave da crociera, racconta le civiltà del mediterraneo, Grecia, Roma, Napoleone...
di ROBERTO SILVESTRI


Il re cattolico e teenager Sebastiano scomparve nella «battaglia dei tre sovrani», in Marocco, tanti secoli fa. Il mito lusitano racconta però che non morì per lama islamica e infedele. Semplicemente svanì. Ma, i portoghesi ne sono certi, tornerà in una giorno di nebbia in groppa al suo cavallo bianco e allora l'impero cristiano (tanto agognato, e non solo da Mel Gibson) sarà di nuovo forte e unito sotto il suo comando... Aspettando quel giorno bigio, e riflettendo attraverso le due o tre cose che sa, sulla storia secolare dell'umanità, il cineasta portoghese Manoel de Oliveira che il secolo di vita l'ha quasi raggiunto e dunque ricorda molto bene le cose di tanto tanto tempo fa, ha realizzato uno dei suoi capolavori, Un film parlato.

Che ci interessa ancora più degli altri perché, come il rock, è opera discutibile, imperfetta, piena di crepe, permeabile da dubbi, critiche, riserve... È infatti, questa cosa, una strana, inquietante, continua sorpresa. Quasi un film nazionalista, fiero e secessionista, comunque un'opera su: «perché il terrorismo islamico terrorizza tanto tutto l'occidente?» Risposta: è vero, la grande cultura araba del XII secolo curò il medioevo con massicce flebo di Aristotele e d'amor cortese, forse prefigurò perfino l'Illuminismo e la frenesia scientifica ma la sua colpa storica rimane la distruzione della «très grand bibliotéque» d'Alessandria d'Egitto...Bè, questa notizia è semplicemente falsa. Non fu il cristianissimo Cirillo a bruciare tutto? È una leggenda, un altro mito cristiano, quasi quanto quello del «re infante».

Ma i film di de Oliveira non sono mai pedagogici né realistici. Sono fiabe dell'immaginazione raccontate (e raccomandate) solo a un pubblico che faccia della «prassi» il proprio hobby. Ai lettori del manifesto questo film non dovrebbe sfuggire.

Il regista portense Manoel de Oliveira, 95 anni, con Un film parlato ha deciso di abbandonare la sua tradizionale e leggendaria agilità mentale, fisica e spirituale per inginocchiarsi, meno laico del solito, sul feretro della nostra civiltà. E pregare, a seconda della recezione, o perché resusciti più pura o perché scompaia (come sembra indicarci il finale insostenibile) per sempre. Il requiem in onore di Eurolandia (o ne è l'ironica, ma criptica, «marcia funebre per una marionetta»?) ha la forma di una lezione di storia (e d'arte e cultura) «on the road». Leonor Silveira fa Rosa Maria, docente universitaria di storia, e per metà film porta in piroscafo nel mediterraneo la figlioletta Maria Joana, e le racconta in stile Rossellini e con l'aiuto di connazionali gentili e charmant (Luis Miguel Cintra che fa se stesso) e pope greco-ortodossi, pescivendoli e libroni, la grandezza della cultura egiziana, fenicia, greca e romana, e come la rivoluzione francese e Napoleone seppero poi rielaborarla e renderla planetaria e borghese. Il fiume Tejo, e poi Ceuta/Marsiglia, Napoli/Pompei, Atene/Acropoli, Alessandria/Il Cairo, Istanbul euroasiatica sono gli approdi di questo viaggio al termine dell'apoteosi cristiana, finché seppe ben separarsi dall'eresia religiosa islamica il cui egualitarismo comunitario nuoceva troppo agli affari, non come quello puritano o quacchero transatlantico, e il cui dispotismo, anche ottomano, resta tutt'oggi schema tattico da principianti della scienza del controllo sociale e del profitto...

Poi, secondo tempo, il piroscafo prende la rotta del Mar Rosso e da lì, passando per il suq-solo-suq di Aden (e la regina di Saba? e la grandezza culturale dell'Islam? non ne sapremo nulla, mannaggia), si dirige a Bombay, dove la professoressa riabbraccerà il marito pilota di linea e i tre partiranno per una ancora più magnifica vacanza...L'ammiraglio del piroscafo, americano di origine polacca (John Malkovich), ha un lungo «quartetto a cena» con grandi dame: la manager francese, l'ex modella italiana Stefania Sandrelli e la attrice e cantante greca Irene Papas (non ci negherà un frammento dela sua arte canora) che sintetizzano, in un tavolo solo e con quattro lingue parlate simultaneamente, lo charme e l'orrore, il calore la tragedia, la grandezza e la ferocia dei due millenni incriminati oggi dai tre quarti del globo. Solo la lingua portoghese resta isolata e incompresa al tavolo, quando anche Leonor Silveira sarà ospite con la bimba, fiera del suo nuovo regalo, una bambola in chador. Altri i tragitti mentali e navali cantati da Camoes, quelli «Lusiadi», da Vasco da Gama in poi: Goa, l'Africa, il Brasile, Macao... Poco europea, più che europea vista la sua non indifferente tradizione schiavistica, la terra lusofona non sarà per caso, in alleanza con Lula, la carta segreta per raddrizzare i micidiali squilibri del mondo, con «stile manuelino»?

Un finale, imprevedibile e agghiacciante, risponde pessimisticamente a questa speranza. Come il re infante, anche Rosa Maria e Maria Joana, per mano di Al Quaeda, svaniranno nella nebbia... In nome del padre (la Grecia), del figlio (Roma), dello spirito santo (la rivoluzione francese). Amen (Bush jr.).