una segnalazione di P. Cancellieri
Il Messaggero Martedì 6 Aprile 2004
Iraq, il saccheggio dell'Occidente
Disastro archeologico
Per fermare le ruberie su commissione
chiesto l'embargo sulle acquisizioni
Gli archeologi contro saccheggio e commercio dei tesori iracheni
di PAOLO MATTHIAE
«GLI OGGETTI sottratti nel saccheggio del Museo di Bagdad sono stati circa 14.000, ma questa cifra è superata da quanto, ogni giorno, viene trafugato negli scavi clandestini nella sola Babilonia, tra Bagdad e Bassora, da circa un anno». Questa agghiacciante affermazione è stata pronunciata da uno dei più autorevoli archeologi americani, McGuire Gibson, professore ordinario di Archeologia del Vicino Oriente antico nel prestigioso Istituto Orientale dell’Università di Chicago, davanti ad un’attonita platea di colleghi di tutto il mondo all’Università Libera di Berlino, dove si è appena concluso il IV Congresso internazionale di archeologia del Vicino Oriente antico.
La sconvolgente comunicazione è stata accompagnata da una non meno impressionante documentazione fotografica aerea, compiuta per mezzo di elicotteri militari americani, in cui comparivano decine e decine di importanti centri archeologici della Babilonia, sforacchiati impietosamente per estensioni vastissime e senza pause: tra questi siti sono città antichissime e famosissime del mondo sumerico ed accadico, come Lagash, Umma, Badtibira, Zabalam, Isin. Come già era stato annunciato in maniera più frammentaria e meno sistematica da giornalisti americani ed inglesi che avevano fatto fotografie mentre decine di scavatori clandestini infuriavano sui luoghi più importanti dell’archeologia mesopotamica, centinaia di persone - è stato affermato con chiarezza - sono impegnate, su commissione di potenti organizzazioni, in questa sistematica devastazione e in questo inaudito saccheggio di un territorio vastissimo e ricchissimo di reperti storici di straordinario valore.
Se questa situazione dipende certo dalla pressoché totale mancanza di controllo del territorio da parte delle forze militari di occupazione anglo-americane, fatta eccezione per alcuni settori di pochi centri urbani maggiori, altre notizie ed altre immagini non sono state meno sconvolgenti. Così la desolante fotografia della sala del trono del palazzo di Sennacherib a Ninive, alla periferia di Mossul, con i resti dei celebri rilievi assiri, in parte ancora in posto, fatti a pezzi e sparsi sul pavimento; così la sconcertante notizia che un quartiere di comando delle forze britanniche si è installato sulle colline che ricoprono l’antica Kish, la città sede di ben quattro dinastie antichissime da cui sorse l’astro di Sargon di Accad; così anche l’immagine, incredibile, della facciata del Museo di Bagdad centrata, sopra il portale d’ingresso al centro del prospetto che rievoca una tipica architettura assira, da una cannonata di quegli stessi carri armati americani che non si mossero a protezione dei tesori del museo.
E’ stato difficile seguire i lavori di un congresso, peraltro fruttuosissimo, con oltre 500 partecipanti da più di 35 paesi, con la mente rivolta alle splendide scoperte siro-tedesche sulla cittadella di Aleppo e iraniane nella regione di Jiroft e con il cuore gonfio di angoscia per lo strazio senza limiti e senza fine del patrimonio storico della Mesopotamia. La tenacia degli archeologi di tutto il mondo per riscoprire, studiare e conservare, comunque, il patrimonio culturale della più antica umanità urbanizzata e l’esecrazione per lo scempio inimmaginabile della culla della civiltà nella terra dei due fiumi hanno fatto sì che, alla fine del Congresso, sia stata resa pubblica una “Dichiarazione di Berlino”.
In essa sono state riaffermate con vigore la necessaria e insostituibile autonomia delle autorità culturali di ogni Paese nella protezione del patrimonio culturale del proprio territorio secondo la legalità internazionale; l’improcrastinabile necessità della presenza dell’Unesco nel coordinare aiuti e collaborazioni urgenti, efficaci e consistenti che facciano fronte alle devastazioni in corso; la piena responsabilità delle potenze d’occupazione nella tutela e nella salvaguardia dei beni del patrimonio culturale nei territori di un Paese occupato secondo le convenzioni e le dichiarazioni dello stesso Unesco. Nel documento compare anche un forte appello affinché tutti i Paesi aderenti all’Onu, attraverso opportuni provvedimenti legislativi e operazioni di polizia, si impegnino non solo a bloccare l’entrata e l’acquisizione di qualunque oggetto di interesse archeologico e storico proveniente dal territorio iracheno, ma anche a restituirlo immediatamente e senza condizioni alla Repubblica dell’Iraq. Di fronte ad una situazione di una gravità senza precedenti per l’ampiezza, la sistematicità e l’intensità del fenomeno degli scavi clandestini e del saccheggio del patrimonio archeologico dell’umanità, che peraltro ha riscontri diffusi in molte regioni del pianeta a livelli comunque forti pur se di minore drammaticità, anche ciò che è sempre stato considerato un’irrealizzabile utopia appare oggi come una realistica, anche se difficilissima, necessità: il divieto formale, promulgato e sancito dalle organizzazioni internazionali, del commercio degli oggetti archeologici.
Se è vero, infatti, che l’umanità non può più tollerare, per interessi di mercato e cioè di profitto individuale, che beni di straordinaria importanza per la collettività universale siano dilapidati come fogli spietatamente strappati di un libro, che è il libro stesso della storia dell’umanità, questo scempio non può che essere arrestato attraverso una proibizione responsabile, esplicita ed unanime. E’ stata questa la proposta, tanto audace quanto temeraria, ma forse ormai assai meno utopistica di quanto possa parere, che ha avanzato con coraggio un archeologo tedesco, M. Mueller-Karpe, nel congresso berlinese, alla fine dei lavori. E’ certo un’utopia, ma, se non è già troppo tardi, forse il tempo è venuto che, come per l’ambiente naturale del pianeta, così per il patrimonio culturale, siano prese decisioni drastiche.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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