mercoledì 21 aprile 2004

Nietzsche e Schopenhauer

Il Giornale di Vicenza 21.4.04
LIBRI. Terza inattuale tradotta da Giametta
Quando Nietzsche era un "devoto" di Schopenhauer

Da oggi è in libreria, edita da Rizzoli, la terza "considerazione inattuale" di Friedrich Nietzsche, "Schopenhauer come educatore". L’introduzione e la nuova traduzione sono di Sossio Giametta, collaboratore delle pagine culturali del nostro giornale, per la cui cortesia pubblichiamo una parte del saggio di presentazione.
di Sossio Giametta


Volendo scrivere su un'opera di Nietzsche sulla quale Nietzsche stesso ha scritto, bisogna anzitutto rifarsi a ciò che ne ha scritto Nietzsche. Non solo per una cortesia che gli è naturalmente dovuta, ma anche perché i suoi commenti sono spesso giusti, essendo allora anche splendidi nella loro forma ditirambica, e perché anche quando non sono giusti, dicono cose interessantissime, ispirati come sono da motivi grandiosi e variamente utilizzabili. Lo scrigno principale di tali aurei commenti è, come si sa, Ecce homo: l'opera tarda in cui Nietzsche, quasi presagendo il prossimo obnubilamento, volle passare in rassegna, quasi inventariare le sue opere e assicurarle all'avvenire, o, per dirla in un modo che a lui sarebbe certo piaciuto di più, volle ricantarsi la serie folgorante delle sue vittorie.
Che cosa dice Nietzsche in Ecce homo di Schopenhauer come educatore? Dice anzitutto - riunendo alla terza la quarta considerazione inattuale, Wagner a Bayreuth - che non si sente di sostenere che esse «servano tanto a comprendere i due casi, o anche solo a impostarne il problema psicologico» . Quello che egli voleva fare, dice, non era psicologia, ma affrontare «un problema di educazione che non ha precedenti», stabilire «un nuovo concetto dell'autodisciplina, dell'autodifesa», indicare «una via verso la grandezza».
Ma qual è in questo progetto il ruolo dei due a cui le due inattuali sono dedicate, Schopenhauer e Wagner? Niente di troppo diretto, di troppo personale, essi rappresentano semplicemente «un'occasione per enunciare qualcosa, per avere in mano un paio di formule, di segni, di strumenti linguistici in più. Lo stesso ha fatto Platone, servendosi di Socrate come di una semiotica per Platone». Insomma questi scritti «parlano semplicemente di me stesso. Wagner a Bayreuth è una visione del mio futuro; in Schopenhauer come educatore, invece, è iscritta la mia storia più intima, il mio divenire. Innanzitutto il mio voto solenne!? Oh quanto lontano io ero allora da ciò che sono oggi, da dove mi trovo oggi - a un'altezza che mi fa parlare non più con parole, ma con fulmini! - Però avevo avvistato la terra - non mi ero ingannato un momento sulla via, sul mare, sul pericolo - e sul successo! La grande pace del promettere, quello sguardo felice verso un futuro che non resterà una mera promessa! - Qui ogni parola è vissuta, profonda, intima; non vi manca il dolore, il più forte, certe parole sanguinano addirittura. Ma un vento di libertà, della grande libertà, spazza via tutto; la ferita stessa non è un'obiezione. - Anche ammettendo che non tratti, in fondo, di Schopenhauer come educatore, ma del suo opposto, di Nietzsche come educatore, pure questo scritto offre un insegnamento inestimabile sulla mia maniera di concepire il filosofo, come un tremendo esplosivo, che mette tutto in pericolo, su un concetto di 'filosofo' che sta miglia e miglia da quell'altro concetto, che pure comprende in sé un Kant, per non parlare dei 'ruminanti' accademici e degli altri professori di filosofia. - Se si considera che a quel tempo fare il dotto era il mio mestiere, non sembrerà senza significato che in questo scritto compaia improvvisamente un aspro frammento di psicologia del dotto: esso esprime il senso della distanza, la profonda sicurezza su ciò che per me può far parte del compito, e ciò che invece è solo mezzo, intermezzo e lavoro laterale».
Come si vede, abbiamo qui subito un esempio di quegli alti, grandiosi commenti di cui si è detto sopra. Vediamo se è tutto giusto quello che Nietzsche dice. È vero che egli non vuol fare della psicologia, ma affrontare un problema di educazione e indicare una via verso la grandezza. In questo senso, Schopenhauer come educatore, per limitarci alla terza inattuale che qui soltanto ci interessa, è il manifesto di Nietzsche. Ma che Schopenhauer e Wagner fossero solo un'occasione, una, mentre sui due e per i due Nietzsche ha speso il suo sangue e il suo sonno, non è vero, come non è vero che essi fossero per lui solo formule, segni, strumenti. È la vendetta per essere stato, egli, a suo tempo, occasione, formula, segno e strumento di quei due, del morto e del vivo. Nietzsche parla di sé, ma parla anche dei suoi due auctores . Schopenhauer in particolare è, in tutta la "considerazione" dedicatagli, veramente Schopenhauer, l'uomo che per il suo carattere, ma grazie anche alla rendita assicuratagli dal padre, come egli stesso ammette, ha vissuto da pensatore libero e insouciant, non è sceso a compromessi, non si è inchinato al potere, sebbene, nella lunga unbefriedigungszeit, cioè finché non raggiunse la fama, si dimostrasse, come Nietzsche stesso, desideroso di ottenere una cattedra di filosofia e pronto a sfruttare qualsiasi possibilità per emergere, come del resto è ben naturale e umano.
Il richiamo a Socrate è tendenzioso, perché Platone ha voluto soprattutto esaltare, non strumentalizzare Socrate, e non è mai stato ambiguo verso di lui come Nietzsche con Schopenhauer, col quale anzi Nietzsche è stato a tratti negativo e astioso e tutto sommato ingiusto, nonostante il ricorrente lip-service a suo favore. Però, sebbene abbia abbastanza presto, non subito, appuntato delle critiche alla filosofia di Schopenhauer, per tutto un lungo periodo fu e si sentì effettivamente, come appunto in questa considerazione inattuale, un seguace appassionato del maestro di Danzica. Di ciò resta un monumento nella Nascita della tragedia , che con tutta la sua originalità è una filiazione di quei due numi tutelari. Questo non toglie, ad ogni modo, che la presente inattuale parli veramente di lui, Nietzsche, anche e soprattutto di lui, e ne narri la storia intima e il voto solenne: che equivalga dunque a un suo diario. È anche vero, infine, che egli ha un concetto esplosivo del filosofo e che distingue nettamente il filosofo dal dotto, cioè dal filologo, quale egli stesso era allora. Il filologo è poi diventato per lui sempre più una bestia nera, oggetto di violento odio e disprezzo, per la sua incapacità di riconoscere e rispettare la superiorità del filosofo.

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