mercoledì 21 aprile 2004

revisionismo storico: Ernst Nolte

Corriere della Sera 21.4.04
La fine della «guerra civile europea» secondo Ernst Nolte
«Comunismo e nazismo vanno sepolti col Novecento»


Ernst Nolte è nato l’11 gennaio 1923 a Witten nella Ruhr. Ha studiato lingue e filosofia a Münster, a Berlino con Nicolai Hartmann e a Friburgo con Martin Heidegger, per laurearsi dopo un’interruzione degli studi, con Eugen Fink, tesi sull’idealismo tedesco. Nel 1963 pubblica I tre volti del fascismo , testo che diventerà il referente del revisionismo storico e dal quale nasce un sodalizio intellettuale con l’italiano Augusto Del Noce. La sua carriera universitaria inizia come insegnante di storia a Marburgo nel 1964. Nel 1968, contestato dagli studenti, è costretto a tenere le sue lezioni in aule vuote. Nello stesso anno esce La crisi dei regimi liberali e i movimenti fascisti , Nolte fonda inoltre la lega militante conservatrice «Bund Freiheit der Wissenschaft». Nel 1973 cambia ateneo, insegna a Berlino dove è tuttora professore emerito. L’anno dopo pubblica La Germania e la guerra fredda e, nel 1983 Marxismo e rivoluzione industriale.
Ma la vera popolarità, grazie alle feroci polemiche scatenate in patria, giunge con un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 6 giugno 1986. Nolte metteva in dubbio l’unicità storica dell’Olocausto, provocando la cosiddetta lite sulla storia (Historikerstreit) che vide tra i suoi principali oppositori il filosofo Jürgen Habermas. Nel 1987 esce La guerra civile europea 1917-1945 . Ha scritto anche Il giovane Mussolini e testi su Nietzsche e Heidegger.


Nell'aprile e nel maggio 1945 si combatterono le ultime battaglie della guerra civile europea, ma tutti videro in esse soltanto la resistenza disperata dell'esercito tedesco sconfitto, che aveva ormai l'unico obiettivo di portare nella relativa sicurezza dell’«Ovest» la maggior parte possibile della popolazione della Germania orientale. La «coalizione mondiale democratica» celebrò il suo trionfo quando l'8 maggio il general feldmaresciallo Keitel e l'ammiraglio d'armata von Friedeburg firmarono l'atto di capitolazione e tutta la Germania fu occupata dalle truppe delle potenze vincitrici. La potenza sconfitta veniva spesso denominata «il fascismo», ma le appartenenze di partito non giocavano più alcun ruolo: gli abitanti delle regioni tedesche a est dell'Oder e del Neisse furono cacciati tutti, senza minimamente distinguere tra «nazisti» e «non-nazisti»; un trattamento quasi identico fu riservato alle regioni dei Sudeti. I capi del Terzo Reich - quelli che vennero catturati - furono in gran parte condannati a morte e impiccati a Norimberga come criminali di guerra e per «crimini contro l'umanità», le Ss furono dichiarate «organizzazione criminale» e la Nsdap era già stata sciolta; era ovvio che, con il collasso della Germania, il nazionalsocialismo aveva perduto la sua forza e che bisognava soltanto eliminare i suoi residui (...).
La rivoluzione russa dei bolscevichi, nata dalla Prima guerra mondiale, fu l'evento più importante e più gravido di conseguenze del secolo. Essa tentò di realizzare in modo violento il socialismo, un'idea antichissima dell'umanità che Marx ed Engels avevano tradotto in forma moderna. Il tentativo fallì perché questi due autori avevano unito nel loro pensiero realtà inconciliabili: l'unità del mondo, l'idea dell'umanità come di una famiglia e l'eliminazione degli apparati e della reificazione. Esso diede però a innumerevoli uomini una grande speranza e risvegliò in molti altri un odio fino a quel momento sconosciuto, aprendo così la strada a un movimento militante contrario che poteva fondarsi sulla forza ancora indomita del nazionalismo. Questo movimento produsse un'ideologia che si basava più su ipotesi e postulati che su speranze e convinzioni e che nella prassi dimostrò di essere, sia pure in modo diverso, una «macchina per sterminare gli uomini», tanto quanto lo era stato prima il sistema bolscevico.
E così il periodo di tempo che va dal 1917 al 1945 non divenne l'epoca della rivoluzione proletaria mondiale, come Lenin aveva creduto, ma l'epoca del fascismo e della guerra civile europea tra il nazionalsocialismo radicalfascista della Germania e il bolscevismo dell'Unione Sovietica che diventava sempre più statale.
Nel 1947, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, cominciò l'epoca della Guerra fredda nella quale i Paesi dell'Europa giocarono un ruolo soltanto secondario accanto agli antagonisti principali, l'Unione Sovietica con l'economia pianificata e gli Stati Uniti con l'economia di mercato. Possiamo parlare di «una guerra civile mondiale» caratterizzata da un reciproco «potere di conversione, anche se negli Usa a partire dagli anni Sessanta s'impose un pragmatismo non-ideologico e l'ideologia marxista dell'Unione Sovietica e dei suoi satelliti perse forza e credibilità. La libertà economica e intellettuale, legata a un crescente benessere, si dimostrò in definitiva più forte e più attraente; la strategia della distensione, anzi dell'abbraccio, ebbe molto più successo della strategia del confronto militante nella guerra civile europea; nel 1991 l'Unione Sovietica si dissolse, ma la Russia rimase uno Stato grande anche se indebolito. Oggi non è più necessario chiedere che il mondo si allontani sempre più dall'epoca del fascismo e della guerra civile europea poiché questo distacco è da lungo tempo una realtà. Ciò non significa però che il mondo vada verso un futuro libero, o quasi, dai conflitti; semplicemente, è divenuta impensabile e praticamente impossibile una guerra condotta con tutti i mezzi tecnici tra due grandi potenze dello stesso rango.
Sarà possibile dare un giudizio storico definitivo sul socialismo violento che nel 1917 conquistò il potere in Russia, e sul nazionalismo violento, che sotto il nome di nazionalsocialismo si impose in Germania, soltanto quando saranno chiare le conseguenze della «globalizzazione capitalistica» sfrenata e del liberalismo che continua ad avanzare.
Le cose stanno diversamente per quanto concerne il rapporto tra i due totalitarismi più importanti del secolo: possiamo già ora lasciare al dibattito scientifico la discussione sulle sue possibili interpretazioni, ovvero come una relazione tra due realtà contraddittorie, come un parallelismo oppure come un «nesso causale» fra un originale e una copia deformata, o anche come un rapporto maestro-discepolo, come viene formulato o perlomeno accennato da Solzenitsin e da Grossman. A patto però che non si giochi a dadi con i giudizi morali e con quelli storici.
Rende un cattivo servizio al futuro chi cerca di costringere con la forza i grandi e nuovi problemi del XXI secolo entro gli stessi schemi in cui si esprimevano le domande e le emozioni del XX secolo: per esempio, coloro che utilizzano i termini «comunismo» e «fascismo» anche se gli avversari politici non si definiscono più in questo modo ed è possibile riconoscere differenze sostanziali. Certo, nella storia vi sono continuità e renaissances ma, dal 1991, il bolscevismo di Lenin e di Stalin e più che mai il fascismo di Mussolini e di Hitler sono talmente passati che essi dovrebbero ora diventare definitivamente argomenti della riflessione scientifica, invece che oggetti o pretesti per la polemica dei partiti politici.