mercoledì 9 giugno 2004

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Yahoo!Salute
Dove nascono i ricordi emotivi?
mercoledì 9 giugno 2004, Il Pensiero Scientifico Editore


Perché i ricordi emotivi, per esempio quello relativi ad un incidente d'auto o al primo bacio, vengono memorizzati con maggior efficienza? Secondo uno studio condotto dai ricercatori della Duke University, pubblicato sulla rivista Neuron, perché nella loro formazione sono coinvolte delle strutture cerebrali diverse da quelle attivate nella genesi dei ricordi normali.
L’amigdala è una piccola regione del proencefalo, una struttura complessa del lobo temporale del cervello, che prende questo nome dalla sua forma a "mandorla". È un’area del cervello da tempo ritenuta importante nei processi emotivi e coinvolta anche in una forma particolare di memoria: quella emozionale. L’amigdala può essere definita "cuore e chiave" delle reti emozionali del cervello. Nessun’altra zona del cervello è così implicata nei processi emozionali come lo è l’amigdala. Sebbene essa non sia l’unica struttura coinvolta nelle emozioni così come le emozioni non sono la sua unica funzione, rimane confermato che l’amigdala continua ad essere una componente assolutamente essenziale nel sistema emozionale cerebrale.
Nel loro studio Florin Dolcos, Kevin LaBar e Roberto Cabeza hanno mostrato a dei soggetti volontari una serie di immagini che evocavano emozioni positive, negative o neutre, dopodichè hanno analizzato i loro cervelli con tecniche di risonanza magnetica per individuare le regioni del cervello attive durante la formazione della memoria. È stato in tal modo possibile confrontare l'immagazzinamento del ricordo in presenza di emozioni o meno.
I ricercatori, che stavano cercando prove a sostegno dell'ipotesi secondo cui i centri cerebrali delle emozioni e della memoria interagiscono durante la formazione dei ricordi emotivi, hanno così scoperto che il centro emotivo del cervello umano, l'amigdala, interagisce con le regioni cerebrali collegate alla memoria durante la formazione dei ricordi più emotivi, probabilmente per donare a questi ricordi una maggior indelebilità. Lo studio potrebbe aiutare a meglio comprendere quale ruolo volge il meccanismo neurale alla base della formazione dei ricordi emotivi in alcuni disturbi, come lo stress post-traumatico e la depressione.

Bibliografia. Dolcos F, LaBar KS, Cabeza R. Interaction between the amygdala and the medial temporal lobe memory system predicts better memory for emotional events. Neuron 2004;42:855-63.

ilmessaggero.it Mercoledì 9 Giugno 2004
NEUROTEOLOGIA
Nel cervello una zona sensibile al “divino”


Dietro il satanismo può nascondersi una vera e propria patologia neurologica. È la moderna scienza della “neuroteologia” che studia le reazioni del cervello in un contesto religioso e che è stata illustrata ieri da Gabriella Gobbi, assistant professor all’Università di Montreal in Canada e originaria di Osimo. Se riusciamo a pensare il divino, esiste una parte deputata a farlo? La risposta è stata sì. «L’area specializzata nel pensiero religioso - ha spiegato Gobbi - è quella che regola il sistema delle emozioni, diversa dalla corteccia che è sede della razionalità. Si tratta cioè di amigdala, ippocampo e lobo temporale». Guarda caso, l’amigdala è anche la sede dell’aggressività. Si può dunque soffrire di una patologia del comportamento religioso e cadere facili prede di satanismo e chiese “alternative”. Negli anni ’50 alcuni studiosi rintracciarono addirittura un collegamento tra iper-religiosità e epilessia, che unita a sintomi quali sbalzi d’umore e iposessualità poteva essere confusa e portare a fenomeni di conversione. Su questa fragilità gioca il “guru” della setta con il quale l’adepto instaura una co-dipendenza affettiva difficile poi da spezzare (anche per via del senso di colpa su cui il guru fa leva). Non si può stare senza. Il guru è l’unico a poter dare certezze e risposte e solo dentro il gruppo si è forti. C. Gent.

Yahoo!Salute
Autismo: quali fattori lo favoriscono?
martedì 8 giugno 2004, Il Pensiero Scientifico Editore


Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’University of Western Australia alcune complicanze in gravidanza sarebbero associate ad un aumentato rischio di autismo. Nello studio Emma Glasson e colleghi concludono che tali complicanze non costituiscono la causa diretta della malattia, quanto piuttosto il risultato delle stesse basi genetiche che conducono all’autismo. Se ne parla sulle pagine della rivista Archives of General Psychiatry.
L’autismo è una complessa disabilità dello sviluppo caratterizzata da deficit nell’interazione sociale e nella comunicazione, con manifestazioni quali comportamenti ripetitivi e compromissioni qualitative degli interessi. Il disturbo, che colpisce una persona su 500, è dieci volte più frequente nei maschi rispetto alle femmine. Poiché interferisce con il normale sviluppo del cervello nelle aree di interazione sociale e nelle abilità comunicative, causa serie difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale, rendendo difficili tutte le relazioni con il mondo esterno. Le persone autistiche esibiscono spesso movimenti ripetuti del corpo (agitare le mani, dondolarsi), un attaccamento eccessivo agli oggetti e, a volte, comportamenti aggressivi e autolesionisti. Esiste una relazione tra volume del cervello e insorgenza dell’autismo; molti studi hanno infatti documentato un leggero aumento del volume cerebrale medio e della circonferenza cerebrale nei soggetti autistici.
Lo studio ha coinvolto 465 persone nate tra il 1980 e il 1995 e che avevano ricevuto una diagnosi di autismo o di disordini correlati nel 1999. Il gruppo di controllo era costituito da 481 fratelli e sorelle dei pazienti autistici e 1313 persone scelte a caso nella popolazione generale. I ricercatori hanno osservato che, rispetto ai controlli, i soggetti autistici avevano maggiori probabilità di essere nati prematuramente e di avere genitori anziani. Inoltre le loro madri avevano subito più frequentemente una minaccia d’aborto o avevano avuto un travaglio inferiore ad un’ora. "È improbabile che un singolo fattore sia la causa dell’autismo", ha commentato Emma Glasson, "più verosimilmente alcune influenze non genetiche svolgono un ruolo chiave in alcuni casi". I risultati di questo studio supportano la teoria secondo la quale alla base dell’autismo ci siano problemi genetici.

Bibliografia. Glasso E, Bower C, Petterson B et al. Perinatal Factors and the development of autism. Arch Gen Psych 2004;61:618-27.