mercoledì 7 luglio 2004

archeologia storica
Giangstone de' Medici, l'ultimo

Repubblica Firenze 7.7.04
Rimossa per la prima volta la lastra nelle Cappelle: ma sotto c'era niente
La beffa dell´ultimo Medici la salma non si trova
Giallo granducale Sospese le ricerche dopo vari tentativi. Si attendono nuovi apparecchi per sondare il muro
Decadente e illuminato infelice e alcolista amatissimo dal popolo fu una figura grandiosa dello sfacelo di Firenze di inizio Settecento
Sposato a forza a una nobildonna tedesca da cui fuggì visse circondato da stuoli di amanti e morì senza eredi
di MARA AMOREVOLI


I ritratti ce lo consegnano con un parruccone di riccioli biondi che non sono certo la cornice migliore per quel volto marcato, dalla bocca troppo carnosa, dal naso lungo e curvo, dagli occhi grandi e malinconici. «Brutto come tutti gli ultimi Medici» stigmatizzano gli storici dell´arte. Eppure amatissimo, pianto e rimpianto dai fiorentini. Di Giangastone, l´ultimo dei Medici, granduca suo malgrado perché non amava il potere, si sa infatti che «cadde sul trono, più che salirci» dopo la morte del padre, Cosimo III, nel 1723. Aveva già 52 anni, ed era stanco e assai segnato dalla sua proverbiale indolenza e ipocondria. I documenti lo raccontano di indole mite, sensibile, colto anche se non particolarmente intelligente, appassionato di botanica tanto da eleggere come suo rifugio solitario, per studiare piante e fiori, la Palazzina del Cavaliere a Boboli.
Giangastone principe buono, con un matrimonio malriuscito alle spalle, e un´anima nera accanto, rappresentata da Giuliano Dami, uno dei suoi primi amanti, oltre che consigliere e complice di scorribande tra i «ruspanti», come venivano chiamati i tanti ragazzi e garzoni chiamati a corte, pagati con la moneta «ruspo» per le loro prestazioni. Inattivo come un moderno Oblomov, vizioso e dissoluto, ma anche regnante lungimirante e illuminato. Di certo disincantato e disilluso, dopo quel matrimonio a cui era stato costretto per assicurare un erede alla dinastia, con la principessa tedesca Anna Maria Franziska, figlia del duca di Sassonia, vedova del principe palatino Filippo di Neuberg, descritta come «brutta, rozza, massiccia, tutta petto e pancia». Il povero Giangastone, appena ventitreenne, amante della musica, raffinato cultore delle arti e del disegno, suo malgrado la impalmò il 2 luglio del 1697 e andò a vivere nella residenza della moglie a Reichstadt, in Boemia. Un fallimento, a cui fuggì quasi subito. Prima rifugiandosi a Parigi, poi a Praga, dove si dette al gioco e al bere, perdendo ingenti somme di denaro. Nel 1708 Giangastone rientrò definitivamente a Firenze, solo, senza erede e un po´ malmesso, ormai dedito al vizio del bere vino, rosolio e liquori.
«Eppure ironico, ben lontano dall´esercizio dell´ancien régime, geniale nel capire che la libertà e diversità degli individui andava difesa - precisa l´antiquario Alberto Bruschi, appassionato al personaggio tanto da dedicargli un libro «Giangastone, un trono di solitudine nella caligine di un crepuscolo» - Aprì le porte dei conventi facendo uscire le giovani obbligate al velo, lasciò libere anche le meretrici, abolì lo spionaggio e la tortura, pose le basi perché poi Pietro Leopoldo abolisse la pena di morte. Certo, visse in modo sregolato, forse perché assillato dall´eminenza grigia di Giuliano Dami, e anche per mettere in ridicolo tutti i troni d´Europa. Il suo motto? "Laissez faire", perché sentiva incombente la fine della sua dinastia, per questo si ritirò e appartò, passando così tanto tempo a letto, in una sorta di depressione e abulia senile. Ma non è stato il depravato che si è voluto disegnare».
Appena diventato granduca nel 1623, Giangastone tentò davvero di mettere ordine anche a corte, facendo fuori da Palazzo Pitti tutti i preti, il seguito di spie e beghine che assillava il padre Cosimo III. E abolì anche le pensioni sul credo, ossia le gabelle che dovevano pagare ebrei, luterani, calvinisti convertiti al cattolicesimo, oltre a dichiarare fuori legge lo spionaggio, cattivo costume incoraggiato prima a corte dal padre. E abbassò anche il prezzo del grano. I fiorentini lo amavano, sentivano uno di loro questo principe solitario che rifuggiva il fasto e che, spesso ubriaco, dava spettacolo lungo i traballanti percorsi in portantina, da Palazzo Pitti al Duomo, per andare ad assistere alle cerimonie religiose. In tutto il suo regno durò 14 anni. Senza che venisse versata una goccia di sangue. Nel 1728, Montesquieu di passaggio a Firenze, scriveva: «A Firenze c´è un governo molto mite, nessuno conosce o s´accorge del granduca o della sua corte. Ed è per questa ragione che questo piccolo Stato sembra grande».
La parabola di Giangastone si chiuse nel silenzio della sua camera da letto, ormai diventata trono e sala di ricevimento, sovrastata - come si vede in un dipinto del Museo degli Argenti- da un enorme baldacchino rosso, e riempita di fiori per eliminare l´orribile olezzo di un giaciglio che il granduca voleva intoccabile. Ormai senza eredi e rassegnato, uomo senza qualità perché consapevole della fine di una grande dinastia, Giangastone non si oppose neppure alla scelta dei Lorena, chiamati al suo posto dai capi di Stato europei senza neppure consultarlo. Quando morì, il 9 luglio del 1737, i fiorentini piansero a lungo il loro principe e il tramonto di una parte della loro storia.

ore 19.15 ultim'ora
Le hanno trovate!
c'era un botolino prima del tutto scpnosciuto. Pochi scalini... ed ecco la salma di Giangastone, con altre tre... Il mistero adesso è chi siano state le altre tre persone... Sono al lavoro anche i paleopatologi