mercoledì 7 luglio 2004

su rivoluzione francese e illuminismo

Repubblica 7.7.04
TORNA IL SAGGIO DI NICOLA MATTEUCCI SULLO STORICO JACQUES MALLET-DU PAN
L´UOMO CHE ODIAVA LA RIVOLUZIONE
I sentimenti contrastanti per i giacobini e robespierre
una presa di posizione critica verso l´illuminismo
di MASSIMO L. SALVADORI


Chi voglia una riprova di quanto certi capitoli della storia passata facciano da specchio a quella presente può ancor sempre guardare alla rivoluzione francese. Al punto che le maggiori vette della storiografia dedicata agli avvenimenti aperti dal 1789 rappresentano tappe tra le più significative dell´evolversi della coscienza europea. Così la coscienza che scrive la storia diventa essa stessa storia politica e civile. Si pensi solo a come prima i successi e poi la crisi e il crollo del comunismo abbiano potentemente influito sui modi di interpretare la rivoluzione francese e in particolare il ruolo svolto dai giacobini. A proposito di questi ultimi si è passati da Albert Mathiez a François Furet, dall´esaltazione di Robespierre alla sua esecrazione. In questo generale dibattito si colloca per molti aspetti anche il libro di Nicola Matteucci dal titolo Jacques Mallet-Du Pan. Ginevra, "L´Illuminismo e la Rivoluzione francese", apparso dapprima nel 1957 e ora ripresentato presso Marco Editore (pagg. 423, euro 35) con una nuova prefazione in cui l´autore assume con decisione la sua posizione in relazione alle controversie interpretative.
In questa prefazione Matteucci prende partito contro Mathiez, accusato di aver diretto la sua ricerca «solo a distinguere i buoni dai cattivi»; ma a sua volta non esista a schierarsi con chi - da Salvemini a Omodeo, Chabod e Furet - ha distinto tra la buona rivoluzione liberale del 1789 e il cattivo giacobinismo del 1793-94. Una linea, che non esita a proclamare «vincente». Il rapporto tra il 1789 e il 1793-94 e la loro contrapposizione pongono da sempre un problema di metodo di fondo. Una cosa, infatti, è la legittima e persino inevitabile celebrazione o condanna del giacobinismo in base ai valori e modelli etici e politici di ciascuno; un´altra tutta diversa è approdare alla conclusione di Salvemini che la vera e positiva rivoluzione fu quella svoltasi tra il 1789 e il 1792, laddove il potere giacobino costituì uno stravolgimento, un colpevole eccesso, una forzatura addirittura "antistorica" dovuta ad una degenerazione messa in atto da ideologi fanatici, ricomposta soltanto - sostenne Omodeo - dalla ripresa del liberalismo moderato nell´età della Restaurazione. Ma qui occorre tenere presente l´obiezione che al Salvemini rivolse uno studioso liberale, Walter Maturi, secondo il quale «una storia della Rivoluzione francese senza Robespierre e la dittatura giacobina non è una storia della Rivoluzione francese». L´obiezione è solida poiché problema ineludibile per lo storico, quali che siano i suoi amori e le sue avversioni, sarà sempre prioritariamente quello di comprendere perché dagli Stati Generali si arrivò al giacobinismo (come, per quanto attiene alla rivoluzione russa, perché dal febbraio 1917 si giunse all´ottobre). E fu un problema, il rapporto tra la caduta della monarchia in Francia e il regime di Robespierre, che si pose con acutezza, seppure in maniera contraddittoria e irrisolta, anche Mallet-Du Pan.
Quando scoppiò la rivoluzione, il ginevrino Mallet era un quarantenne giunto in Francia alla fine del 1783, che - ci spiega Matteucci - aveva maturato un atteggiamento critico verso l´illuminismo, era avverso ai dottrinarismi, ostile alla democrazia ma non a un liberalismo moderato; e guardava come ad un buon esempio alla costituzione inglese e con scetticismo alla capacità di rinnovamento della monarchia francese in crisi. Iniziato il grande rivolgimento, egli si schierò con i monarchiens, attestandosi sull´idea che la rivoluzione fosse stata la risposta inevitabile alle organiche insufficienze dell´assolutismo monarchico. I "diritti dell´uomo" come diritti di natura universali li considerò frutti di astratto ideologismo, in contrasto con l´inevitabile diseguaglianza sociale e la difesa di quella proprietà che richiedeva di necessità l´ineguaglianza politica. Il suo motto era la libertà senza anarchia, l´ordine senza il dispotismo vuoi monarchico vuoi popolare. Se aveva caldeggiato la rivoluzione "politica" del 1789, Mallet ricevette una scossa definitiva dalla rivoluzione "sociale" del 1792, che considerò l´inizio dell´assalto alla proprietà e causa del sopravvento di una democrazia distruttiva. Nell´agosto del 1793, quando si era ormai consumata la caduta dei girondini e Robespierre aveva preso il potere, Mallet pubblicò l´opera sua di maggior peso: le "Considérations sur la nature de la Révolution de France". Questo saggio - ispirato a quel punto ad «un violento odio» verso la rivoluzione - lo ha iscritto, accanto ai Burke, ai de Maistre e ai Rivarol, alla schiera degli scrittori controrivoluzionari. Sennonché Mallet, come sottolinea Matteucci, a differenza di Burke, il quale si levava contro «le eccessive ambizioni della ragione», temeva lo scatenamento delle forze irrazionali anzitutto nelle moltitudini. Dopo il 1793 il ginevrino divenne informatore e consigliere dei sovrani delle potenze in lotta con la Francia; poi, disilluso di tutti e di tutto, se ne andò in Inghilterra per morirvi nel 1800.
Nelle Considérations, al pari del suo storico Matteucci, Mallet per un verso afferma che il 1793 aveva ucciso e contraddetto il 1789; per l´altro arriva ad esaltare, in un misto di deprecazione-ammirazione, il governo dei giacobini capace di imporre l´ordine, con sovrumana energia, sul dilagante disordine. Da ultimo, profugo in Inghilterra, Mallet giunse a concludere che il 1792-93, lungi dall´essere un corpo estraneo da espungere, offriva invece la chiave - scrive Matteucci - con cui interpretare «tutta la storia francese», dando «una giustificazione storica della Rivoluzione e del fallimento delle illusioni dell''89». Così, egli in sostanza si poneva ante litteram in una linea interpretativa che sarebbe stata poi per aspetti essenziali, al di là di opposti valori, anche quella di Mathiez.