Il manifesto 30 settembre 2004
I teologi del male assoluto
Gli attuali teorici del conservatorismo radicale propongono però una idea semplice della natura umana e interpretano il terrorismo alla luce di un'innata aggressività. Una spiegazione che si limita ad accumulare dati sulla crudeltà umana e che esprime indifferenza verso qualsiasi principio composito della realtà sociale
La spettacolarità e la gratuità di alcune esecuzioni in Iraq ripropongono il tema antico della malvagità o della bontà della «natura umana». Il pensiero classico conservatore più avvertito ha sempre messo l'accento sulla complessità dell'animale umano che non può rispecchiarsi nella linearità dei diritti sanciti dai moderni ordini costituzionali
di BRUNO ACCARINO
La ferocia di alcuni episodi recenti di guerra e di violenza politica rimettono in corsa il dibattito sulla natura umana - ed eventualmente sulla sua malvagità. Riprendono quota letture molto diffuse qualche anno fa (René Girard più che il giovane Walter Benjamin, il cui orizzonte di riflessione è politico-giuridico, ma non antropologico), magari colpevolmente accantonate. La spettacolarità e la gratuità di alcuni episodi sono fuori misura, anche se appare scontato che violenze altrettanto efferate non riescono a raggiungere la soglia di visibilità e di percezione e si perdono nel nulla innominato della storia dei vinti. Ma già Kant diceva: se si raccolgono i dati empirici della crudeltà umana o se si stila l'elenco delle guerre in corso, affidando loro una forza probatoria per la definizione del «male radicale», non ne usciamo, perché nemmeno dati empirici accatastati in abbondanza fanno una categoria. L'imponente mole di attestati della cosiddetta aggressività intraspecifica nel mondo animale è certamente preziosa in un certo settore di studi (etologico, poniamo), ma diventa sospetta quando pretende di attingere a generalizzazioni teoriche sulla presenza del male nel mondo. D'altra parte, potrebbero essere invocati anche documenti di segno diverso e opposto: in campo morale è dato riscontrare molti fenomeni di altruismo pacifico e soccorrevole, in campo biologico fenomeni che vengono anche definiti di mecenatismo (l'utero materno è, per esempio o forse per eccellenza, un mecenate della vita). Messa così, la questione rischia di diventare indecidibile o di non poter approdare alle sponde del pensiero politico: pur essendo inaggirabile sul piano scientifico, il pianeta dell'aggressività non può però essere forfettariamente richiamato per evitare la distribuzione delle responsabilità.
La politica dei parvenu
Più agevole è, almeno per il momento, un'altra traccia di discorso: se l'innata, o presunta tale, malvagità dell'uomo sia ancora un ingrediente indispensabile di costituzione e di autoidentificazione del conservatorismo moderno. Nelle tradizioni che contano, la domanda di ordine si accompagna alla concezione dell'uomo come di un essere in preda a passioni che violano anzitutto l'ordine divino. Tra la disposizione al peccato e il rifiuto dell'ordine esistente non c'è soluzione di continuità. Ma si può ragionevolmente sostenere che questo fortilizio sia stato ben presto disertato dal conservatorismo più consapevole; e che sia stato sostituito da una strategia teorica e pratica meno precaria e meno debitrice degli assetti religiosi, incentrata sulla complessità: è l'articolazione stessa dell'esistente, è il groviglio del reale che si incarica di dissuadere i malintenzionati dal progettare mutamenti radicali.
Il pagliettismo macchiettistico di Berlusconi e la ruvidezza dei leghisti sono in questo senso fuorvianti: il conservatorismo classico ha spesso, forse sempre e obbligatoriamente, una componente plebea, ma i suoi esponenti si profilano come portatori di un sacrosanto scatto di insofferenza nei confronti della volgarità e anche della sprovvedutezza dell'antagonista, sia esso un sommesso progressista o un rivoluzionario a tutto tondo. Può darsi che lo sguardo superciliare si limitasse ad ereditare e a trasporre una sensibilità nobiliare, ma in qualche caso si tocca con mano almeno la razionalità sociologica dell'approccio.
Edmund Burke, il più grande dei conservatori dell'età classica, annoverava tra le ragioni di inaffidabilità dell'assemblea nazionale francese la sua composizione sociale, zeppa di avvocaticchi, amministratori di piccole giurisdizioni locali, procuratori di campagna: mezze calzette, insomma. A spalleggiarlo, contro la mediocrità del ceto avvocatizio insediato in posizioni di potere, intervenne poi, nello stesso arco di tempo, perfino Hegel. Ma il punto fondamentale non era il disprezzo dei parvenu, era un altro: i lords sanno fare politica, hanno carte plurisecolari per essere titolati a farla e chi li espropria di questa prerogativa mette a repentaglio il benessere collettivo. In fatto di classismo, la Gran Bretagna è sempre stata di una sincerità commovente, non riscontrabile con la stessa intensità in altri paesi europei, ma in questo caso si coglie una tensione alta, non dissimile da quella che spingerà Max Weber, più di un secolo dopo, a distinguere coloro che vivono per la politica da coloro che vivono di politica. Ben si può dire che il problema della selezione di un ceto politico competente e disinteressato è rimasto intatto nei secoli e ci viene incessantemente sbattuto in faccia dalla cronaca. Il lord è allora una sorta di fenotipo dell'affidabilità politica in rapporto alle cariche direttive e istituzionali, perché almeno l'urgenza della pagnotta quotidiana, o l'esigenza di una elementare alfabetizzazione politica, non ce l'ha.
Proprio chi legga le pagine velenose scritte da Burke nel 1790 (con il cadavere dell'ancien régime ancora caldo) si accorge che la problematica della peccaminosità creaturale dell'uomo non ha vera centralità. La si richiama come un omaggio rituale al potere di indirizzo etico-politico in dotazione al cristianesimo, ma l'incisività di Burke (di cui la manifestolibri ha pubblicato i Pensieri sulla scarsità) consiste nell'accusare bensì i rivoluzionari francesi di empietà, tuttavia per una ragione diversa da quella suggerita dal loro istinto di mangiapreti o dai loro eccessi di iconoclastia: è privo di pietas e di antenne religiose chi pretende di stringere e costringere il creato nelle maglie mortificanti di una logica universalistica dei diritti.
Il testo di Burke pullula, a proposito dei diritti, di espressioni polemiche (spesso tradite o mal tradotte nelle edizioni italiane) che vanno dall'«astratto» al «metafisico»: i difensori dello status quo stanno invece dalla parte del concreto. E concreto, da che mondo è mondo, significa complesso: che c'entrano i diritti, che sono necessariamente, come dice la parola stessa, lineari e marciano come un rullo compressore? Al vertice della scala di argomenti non è il peccato originale, ma un'istanza teologica forse altrettanto cogente, però passibile di essere immediatamente politicizzata e di essere spesa con una intenzionalità laica: è assurdo pensare che la ricchezza e la varietà del mondo possano piegarsi a questi scalmanati che hanno la fissazione maniacale dei droits de l'homme e du citoyen.
La benevolenza o la neutralità di cui gode talvolta Burke, perfino da parte di Hannah Arendt o nelle riviste di sinistra, nasce dal fatto che è stato uno dei primi, convinti pluralisti e differenzialisti: il suo odio per la geometria di radice hobbesiana è tale da poter raccogliere molte simpatie tra i filosofi, gli urbanisti e gli architetti di sinistra. Il creato è inimitabile e intrasformabile, dotato com'è di un'armonia in senso letterale: è polifonico, gerarchico, anti-egualitario, di una bellezza che lascia senza fiato proprio perché piena di tutti i colori. Il suono monotono dei diritti riesce invece a pronunciare due bestemmie in una: contro le disposizioni della creazione e contro le leggi estetiche del cosmo.
La potenza del male
Naturalmente non si può ignorare un'altra tradizione, non britannica e grevemente cattolica, che può esibire tanto un Joseph de Maistre (quello che scrisse tra l'altro «L'inquisition est, de sa nature, bonne, douce et conservatrice» e che si divertì a tessere l'elogio del boia) quanto un Donoso Cortés, insomma una teologia politica agguerrita o addirittura una proposta teocratica intransigente e, nel senso stretto della parola, dogmatica. Ma chissà che il vero conservatorismo non l'abbia spesso, o sempre, considerata una imbarazzante zavorra.
Il pensiero controrivoluzionario poteva prendere di mira il laicismo illuministico che accompagna i mutamenti della scena istituzionale alla fine del XVIII secolo, ma oggi non sono in pochi a pensare che la data di nascita del conservatorismo europeo vada cercata molto più indietro: nelle resistenze cetuali, e nei modelli culturali da esse generate, che si oppongono alla separazione tra stato e società, e bisogna pensare ovviamente che questi modelli siano ancora presenti e operanti. Se ciò fosse vero, non sarebbe stato il secolo dei lumi a suscitare per contrappasso la nascita del conservatorismo europeo: la sua componente di fanatismo religioso ne risulterebbe ulteriormente emarginata.
A tutto questo bisogna aggiungere che il patrimonio religioso di stampo occidentale è strutturato in modo tale da poter fare da sostegno, seppure per vie paradossali, ad una teoria secolarizzata del progresso illimitato o almeno del futuro aperto e migliorativo dell'esistente. A contatto con gli eventi storici, il messaggio cristiano non è quietistico, regressivo o reazionario, tutt'altro: può anzi minimizzare il male classificandolo come una potenza non autonoma, ma equivalente solo alla limitatezza del bene, e può così moltiplicare le speranze e la ricerca attiva della salvezza nel mondo terreno. Accade certamente, come in Italia con la legge sulla fecondazione assistita, che risulti vincente la cupezza penitenziale e punitiva (e anche il puritanesimo americano non scherza, quando decide di farsi sentire sull'aborto, sulla pena di morte o sulla condizione di povertà come destino meritato di una colpa individuale), ma altre sensibilità religiose e altri paesi cattolici non sono sulla stessa linea. Per il resto, non si può non vedere che dall'alto non arrivano certo, in condizioni di temperatura politica ordinaria, inviti all'ascesi, alla continenza o alla mortificazione della carne, semmai alla spensieratezza edonistica e alla frenesia consumistica: il vecchio stile parruccone e patriarcale di moralità è andato a farsi benedire per tutti ed è stato sostituito semmai dalle sirene dell'imprenditorialità esistenziale ed economica.
Il punto è: se il paesaggio classico del conservatorismo è stato dominato, a grandi linee, dalla tutela della complessità contro il dilettantismo distruttivo dei rivoluzionari, come è cambiato? Quando è accaduto che la destra cominciasse, o ricominciasse, a sponsorizzare la semplicità, anche a voler prescindere dalle soluzioni apertamente autoritarie o dittatoriali? Si cerca spesso un filone aureo nascosto nel conservatorismo contemporaneo, ma è preoccupante proprio il fatto che non lo si trovi: il malcapitato Leo Strauss, uno che a vent'anni maneggiava sofisticati strumenti di filologia biblica e che per una virgola fuori posto nei suoi scritti avrebbe forse malmenato il tipografo (mando un saluto solidale al mio amico Carlo Altini, che da anni ne viene ricostruendo con pazienza il pensiero e la vicenda biografica: si veda a questo proposito il bel volume La storia della filosofia come storia della filosofia politica. Carl Schmitt e Leo Strauss lettori di Thomas Hobbes, Ets, pp. 236, 12), è accusato di aver fatto da balia, con la sua scuola di Chicago, ai cow-boys del neoconservatorismo americano e addirittura da remoto ispiratore ideale di certe mosse dell'amministrazione americana. Pur di incriminare un cattivo maestro, non si sa più a che santo rivolgersi.
La verità è che non siamo preparati alla pacchianeria del conservatorismo, che infatti scompagina i nostri schemi mentali: uno come Bush ci sorprende prima ancora di irritarci, sembra uscito da un fumetto e appartiene, come del resto molti esponenti della coalizione governativa italiana, alla sfera dell'inverosimiglianza dell'essere. Eppure basta guardarsi intorno, magari anche a casa nostra: che ne è stato della grande, a tratti intellettualmente squisita tradizione europea dell'equilibrio e del balance of power internazionale? Stupidaggini, prima si comincia a sparare meglio è. Le lungaggini procedurali della democrazia costituzionale? Tempo perso, roba che denuncia un deficit di virilità e di attributi, e lo stesso vale per i labirinti fiscali dello stato sociale, per i meandri delle contrattazioni sindacali e in genere per l'idea stessa di negoziato. Il segno supremo di insofferenza nei confronti della complessità degli ordinamenti democratici è poi il disprezzo del parlamento, per impoverita o impallidita che sia la sua effettiva rappresentatività: ormai si fa fatica a fare la conta delle decisioni extraparlamentari che cambiano la vita della gente.
Ottimismo antropologico
Tutto ciò non toglie che, se si ritiene opportuno riscrivere periodicamente la mappa del conservatorismo, sia necessario riprendere anche il filo della riflessione sulla natura umana e in qualche modo accettare la sfida. Si può però scansare in anticipo qualche equivoco e qualche trappola. Un equivoco tutto sommato evitabile rischia di addensarsi attorno alla linea di ricerca di antropologia filosofica tracciata da Arnold Gehlen, al quale si imputa di aver posto a fondamento della sua teoria l'idea dell'uomo come «essere carente» e di aver quindi fornito una versione della debolezza umana che, pur non essendo di matrice religiosa, è altrettanto evocativa di ordine e di disciplinamento. Ma Gehlen si riferisce solo alla povertà di istinti innati dell'uomo in rapporto all'ambiente e alla sua differenza rispetto all'immediato «accasamento», altrettanto innato, dell'animale. Quanto invece al principio che l'uomo sia un essere non indigente, ma eccedente ed eccessivo, Gehlen non ha alcuna obiezione sostanziale: è sua l'idea che l'arginamento della contingenza e la riduzione della complessità siano imperativi dettati all'uomo dalla sua disordinata ricchezza e dalla sua costituzione lussuosa, e che vadano soddisfatti con la configurazione di istituzioni stabili e securitarie.
Ogni tanto Gehlen, per civetteria o per incontrollabile impulso polemico, decideva di rimbecillire e si avviliva in sparate ultraconservatrici contro la società di massa, ma la sostanza della sua proposta è meno peregrina: il mondo è bio-antropologicamente troppo grande, e questo lo si può pensare sia di un disperato kamikaze che di un poeta che scrive versi nella quiete della sua casa di campagna. Già qui, però, troviamo un dato che non è più solo naturale: l'enormità del mondo o, peggio, la sua indifferenza al destino individuale è fonte di innumerevoli conflitti e di grandi violenze ed è certamente leggibile in chiave antropologica, ma incamera anche elementi storico-culturali di crisi che esplodono solo in certe fasi e che in altre possono essere imbrigliati.
La violenza esige strumenti specifici di indagine, ma non tollera la logica del calderone. Ciò che importa è che, se è possibile dissociare il profilo del conservatorismo politico e sociale dal postulato della malvagità della natura umana, di questa dissociazione si faccia tesoro, a sinistra, acquisendo il plusvalore di libertà di ricerca e di spregiudicatezza che essa comporta. Se non c'è un'implicita o esplicita «battaglia delle idee» a spingere il pensiero democratico, per reazione autodifensiva, sulle strade di un ingenuo ottimismo antropologico (com'è accaduto in certi momenti della storia del movimento operaio), vuol dire che le domande poste dalle vecchie e nuove insorgenze della violenza possono sollecitare una riflessione senza veli e senza remore.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 30 settembre 2004
FDA e adulti
ricevuto da Francesco Troccoli
First World, da:
CNN Health; Los Angeles Times; The New York Times
FDA to examine clinical trial data on adult antidepressant use
William Kanapaux
09/29/2004
The FDA is preparing to analyse the clinical trial data involving the use of antidepressants in adults to determine whether a link exists between the drugs and an increase in suicidal thoughts and behaviours for this patient population, as reported in news sources. The same analysis technique used by Columbia University researchers on data from paediatric trials of antidepressant usage will be utilised for the much larger pool of adult data, which covers 234 clinical trials involving about 40,000 depressed adults. Acting FDA Deputy Commissioner Dr. Janet Woodcock described the analysis as "a huge undertaking" without estimating how much it would cost or how long it would take. An examination of the data from paediatric trials, which is only 10 percent the size of the adult data, revealed a link between antidepressant use and increased suicidal tendencies in two to three of every 100 children, as reported in CNN. That finding prompted a call by federal advisory panels for the FDA to place a black-box warning on all antidepressants. Dr. Wayne K. Goodman, who served as chair of a joint meeting of the advisory panels, said that the new analysis would help reveal possible trends in young adults. "We drew the line at 18," he is quoted as saying in news sources. "But some of the same mechanisms that could be responsible for suicidality in a small fraction of patients would be operative in people who are 19, 20, 21. Who is to say?"
First World, da:
CNN Health; Los Angeles Times; The New York Times
FDA to examine clinical trial data on adult antidepressant use
William Kanapaux
09/29/2004
The FDA is preparing to analyse the clinical trial data involving the use of antidepressants in adults to determine whether a link exists between the drugs and an increase in suicidal thoughts and behaviours for this patient population, as reported in news sources. The same analysis technique used by Columbia University researchers on data from paediatric trials of antidepressant usage will be utilised for the much larger pool of adult data, which covers 234 clinical trials involving about 40,000 depressed adults. Acting FDA Deputy Commissioner Dr. Janet Woodcock described the analysis as "a huge undertaking" without estimating how much it would cost or how long it would take. An examination of the data from paediatric trials, which is only 10 percent the size of the adult data, revealed a link between antidepressant use and increased suicidal tendencies in two to three of every 100 children, as reported in CNN. That finding prompted a call by federal advisory panels for the FDA to place a black-box warning on all antidepressants. Dr. Wayne K. Goodman, who served as chair of a joint meeting of the advisory panels, said that the new analysis would help reveal possible trends in young adults. "We drew the line at 18," he is quoted as saying in news sources. "But some of the same mechanisms that could be responsible for suicidality in a small fraction of patients would be operative in people who are 19, 20, 21. Who is to say?"
mamme:
la Sindrome di Munchausen per procura (MSbP)
Repubblica Salute 30.9.04
Io ti farò ammalare
La sindrome di Munchausen disordine mentale che colpisce le madri Raccontano storie fantastiche sui sintomi dei figli: arrivano a causare la morte del bambino
di Anna Maria Messa
La mamma è la mamma... nell'immaginario collettivo come nel vissuto personale. La persona che più di tutte ti vuole bene, al di là di dinamiche familiari che possono inquinare un rapporto così privilegiato.
"È il rapporto più importante per la crescita evolutiva dei figli. Altre forme sostitutive non funzionano, anche il rapporto psicoterapeutico può arrivare a riparare eventuali disfunzioni ma non riesce mai sostitutivo", conferma Marisa Malagoli Togliatti, ordinario di Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari all'università La Sapienza di Roma. Un legame di dedizione e cura che risalta quando il figlio è piccolo. Ma se l'attenzione si traduce in una continua richiesta di visite mediche del bimbo, di sempre nuove analisi, in un ossessivo vagare tra ospedali, pronto soccorsi, indagini, interventi chirurgici... scatta un campanello d'allarme: non è più premura, è la cosiddetta Sindrome di Munchausen per procura (MSbP), come l'ha definita nel 1977 il pediatra inglese Roy Meadow nel rapporto pubblicato su Lancet: "un bizzarro disordine mentale" per cui la madre simula la malattia del figlio, raccontando storie fantastiche su sintomi fittizi (che arriva anche a procurargli somministrandogli farmaci, lassativi e quant'altro) per ottenere trattamenti che chiariscano la malattia difficile da diagnosticare.
In realtà non c'è intenzione di nuocere ai figli ma estremo bisogno di protezione, di attenzione per sé. Raramente si tratta di donne con una vera e propria malattia mentale, dice la letteratura.
"In genere sono affette da Disturbo di Personalità Istrionico, Borderline, Passivo-Aggressivo, Narcisistico, Paranoide, combattono la sensazione interna di vuoto assumendo il ruolo di madre devota e pronta al sacrificio di sé per i figli colpiti da malattie rare, difficili da individuare: con l'ammirazione di conoscenti, medici e paramedici. La malattia del figlio serve a queste donne dall'Io fragile e dall'autostima malcerta per crearsi un personaggio, ottenere attenzione", scrive nel suo libro "Demoni del focolare" (Centro Scientifico Editore), Isabella Merzagora Betsos, direttore della Scuola Specializzazione di Criminologia Clinica dell'Università di Milano.
A volte lo sbocco di questo percorso drammatico è anche la morte del bambino. Come in uno dei casi riferiti dallo stesso Meadow.
La madre somministrava al piccolo Charles di 15 mesi dosi tossiche di sale, con conseguenti ricoveri del bimbo per improvvisi attacchi di vomito e forti livelli di sodio nel sangue ma alle analisi non risultavano evidenze patologiche. Quando tornava a casa i disturbi si ripetevano, fino a condurlo alla morte. Un'altra madre alterava le urine della figlia di pochi anni determinando valori inspiegabili agli esami clinici: la figlia fu sottoposta a 12 ricoveri ospedalieri, 7 accertamenti con raggi X, 6 esami in anestesia, 5 cistoscopie...
E c'è chi manomette cartelle e strumentazioni anche durante la degenza tanto che in alcuni ospedali americani e inglesi i reparti di neonatologia e terapia intensiva pediatrica sono stati dotati di telecamere a circuito chiuso.
"Sono casi rari ma ce ne sono. Come un'infermiera che lavorava coi diabetici e per prevenire il diabete iniettava l'insulina al figlio mandandolo in coma", racconta Catia Bufacchi, psicoterapeuta, referente Lazio CISMAI, Coordinamento Servizi contro il maltrattamento e abuso all'infanzia, e coordinatrice del Progetto Girasole dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù a Roma. "Spesso le donne fanno parte del personale paramedico o sono molto acculturate, piene di enciclopedie su cui documentarsi. Una madre anoressica dopo la nascita della figlia ha spostato la propria preoccupazione delirante della pericolosità del cibo sulla bimba e trasmesso la patologia, per procura. Oltre alle continue analisi voleva far mettere il sondino alla bimba di 15 mesi perché "non mangiava"... Storie che hanno bisogno di un intervento lungo e specialistico". Il medico deve però conoscere la sindrome per poterla riconoscere, altrimenti collude con la madre che ha capacità manipolatorie, tutt'altro che violenta o negligente come un genitore maltrattante.
"Bisogna fare attenzione ma non creare allarme", avverte Isabella Merzagora, "l'attuale sistema sanitario non lascia al medico il tempo per ascoltare: spesso è il redattore di richieste di accertamenti anche strumentali senza troppe verifiche". La sindrome è comunque un disagio della famiglia e dei singoli individui e delle relazioni, sottolinea Bufacchi. "Si vede subito il legame molto stretto tra madre e figlio, una simbiosi in cui la presenza paterna è emarginata perché il padre è troppo impegnato e il rapporto madre figlio diventa forte e incatenante. In genere c'è un conflitto di coppia negato, non riconosciuto", conclude la psicoterapeuta.
Io ti farò ammalare
La sindrome di Munchausen disordine mentale che colpisce le madri Raccontano storie fantastiche sui sintomi dei figli: arrivano a causare la morte del bambino
di Anna Maria Messa
La mamma è la mamma... nell'immaginario collettivo come nel vissuto personale. La persona che più di tutte ti vuole bene, al di là di dinamiche familiari che possono inquinare un rapporto così privilegiato.
"È il rapporto più importante per la crescita evolutiva dei figli. Altre forme sostitutive non funzionano, anche il rapporto psicoterapeutico può arrivare a riparare eventuali disfunzioni ma non riesce mai sostitutivo", conferma Marisa Malagoli Togliatti, ordinario di Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari all'università La Sapienza di Roma. Un legame di dedizione e cura che risalta quando il figlio è piccolo. Ma se l'attenzione si traduce in una continua richiesta di visite mediche del bimbo, di sempre nuove analisi, in un ossessivo vagare tra ospedali, pronto soccorsi, indagini, interventi chirurgici... scatta un campanello d'allarme: non è più premura, è la cosiddetta Sindrome di Munchausen per procura (MSbP), come l'ha definita nel 1977 il pediatra inglese Roy Meadow nel rapporto pubblicato su Lancet: "un bizzarro disordine mentale" per cui la madre simula la malattia del figlio, raccontando storie fantastiche su sintomi fittizi (che arriva anche a procurargli somministrandogli farmaci, lassativi e quant'altro) per ottenere trattamenti che chiariscano la malattia difficile da diagnosticare.
In realtà non c'è intenzione di nuocere ai figli ma estremo bisogno di protezione, di attenzione per sé. Raramente si tratta di donne con una vera e propria malattia mentale, dice la letteratura.
"In genere sono affette da Disturbo di Personalità Istrionico, Borderline, Passivo-Aggressivo, Narcisistico, Paranoide, combattono la sensazione interna di vuoto assumendo il ruolo di madre devota e pronta al sacrificio di sé per i figli colpiti da malattie rare, difficili da individuare: con l'ammirazione di conoscenti, medici e paramedici. La malattia del figlio serve a queste donne dall'Io fragile e dall'autostima malcerta per crearsi un personaggio, ottenere attenzione", scrive nel suo libro "Demoni del focolare" (Centro Scientifico Editore), Isabella Merzagora Betsos, direttore della Scuola Specializzazione di Criminologia Clinica dell'Università di Milano.
A volte lo sbocco di questo percorso drammatico è anche la morte del bambino. Come in uno dei casi riferiti dallo stesso Meadow.
La madre somministrava al piccolo Charles di 15 mesi dosi tossiche di sale, con conseguenti ricoveri del bimbo per improvvisi attacchi di vomito e forti livelli di sodio nel sangue ma alle analisi non risultavano evidenze patologiche. Quando tornava a casa i disturbi si ripetevano, fino a condurlo alla morte. Un'altra madre alterava le urine della figlia di pochi anni determinando valori inspiegabili agli esami clinici: la figlia fu sottoposta a 12 ricoveri ospedalieri, 7 accertamenti con raggi X, 6 esami in anestesia, 5 cistoscopie...
E c'è chi manomette cartelle e strumentazioni anche durante la degenza tanto che in alcuni ospedali americani e inglesi i reparti di neonatologia e terapia intensiva pediatrica sono stati dotati di telecamere a circuito chiuso.
"Sono casi rari ma ce ne sono. Come un'infermiera che lavorava coi diabetici e per prevenire il diabete iniettava l'insulina al figlio mandandolo in coma", racconta Catia Bufacchi, psicoterapeuta, referente Lazio CISMAI, Coordinamento Servizi contro il maltrattamento e abuso all'infanzia, e coordinatrice del Progetto Girasole dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù a Roma. "Spesso le donne fanno parte del personale paramedico o sono molto acculturate, piene di enciclopedie su cui documentarsi. Una madre anoressica dopo la nascita della figlia ha spostato la propria preoccupazione delirante della pericolosità del cibo sulla bimba e trasmesso la patologia, per procura. Oltre alle continue analisi voleva far mettere il sondino alla bimba di 15 mesi perché "non mangiava"... Storie che hanno bisogno di un intervento lungo e specialistico". Il medico deve però conoscere la sindrome per poterla riconoscere, altrimenti collude con la madre che ha capacità manipolatorie, tutt'altro che violenta o negligente come un genitore maltrattante.
"Bisogna fare attenzione ma non creare allarme", avverte Isabella Merzagora, "l'attuale sistema sanitario non lascia al medico il tempo per ascoltare: spesso è il redattore di richieste di accertamenti anche strumentali senza troppe verifiche". La sindrome è comunque un disagio della famiglia e dei singoli individui e delle relazioni, sottolinea Bufacchi. "Si vede subito il legame molto stretto tra madre e figlio, una simbiosi in cui la presenza paterna è emarginata perché il padre è troppo impegnato e il rapporto madre figlio diventa forte e incatenante. In genere c'è un conflitto di coppia negato, non riconosciuto", conclude la psicoterapeuta.
Marco Müller per altri tre anni a Venezia
Il Tempo 29.9.04
RICONFERMA per altri tre anni del direttore della mostra del Cinema Marco Müller, che sta già lavorando ...
... alle attività del 2005 e al 62° Festival, anche nella prospettiva di rimediare ad «alcune defaillance organizzative che pur ci sono state - ha riconosciuto il presidente della Biennale Davide Croff - ma che sono facilmente risolvibili». È una delle conclusioni cui è giunto ieri mattina il consiglio di amministrazione della Biennale, il primo dalla conclusione dell'ultima Mostra del Cinema, e che ha preso in esame, ha detto ancora Croff in una successiva conferenza stampa, tutte le prospettive della Fondazione nel suo complesso, a nove mesi dalla riforma e dall'insediamento dei nuovi vertici. «Insieme a Müller, con cui stiamo in piena sintonia - ha detto Croff - abbiamo esaminato tutti gli aspetti dell'ultima Mostra, sia quelli positivi che quelli negativi, ma con intento di ancorare l'analisi saldamente ai fatti, dai contenuti e dall'articolazione della Mostra alla qualità e quantità della presenza dello star system, dal prestigio della giuria all'ampia presenza dei giovani fino alla ricchezza delle strutture, che non consistevano soltanto nei sessanta leoni dell'allestimento. E siamo arrivati alla conclusione - ha proseguito - che è stata una Mostra tanto ricca da peccare per certi aspetti di un eccesso di ricchezza, che ha causato alcune vischiosità e ritardi. Vi sono sì state alcune defaillance organizzative, anche se non superiori a quelle di altri anni, sebbene un particolare episodio, quello del guasto alla biglietteria in occasione della proiezione de «Il mercante di Venezia» li abbia enfatizzati. Per il 2005 abbiamo già cominciato a lavorare con Müller e il direttore organizzativo Luigi Cuciniello - ha detto ancora il presidente - al fine di evitare ingolfamenti, cosa che inevitabilmente comporterà qualche sacrificio e dunque qualche scontento, e per una modifica del regolamento affinchè i premi maggiori non possano sommarsi, sull'esempio di quanto hanno già fatto a Cannes, in un unico film». «Per quanto riguarda l'analisi delle spese e del bilancio della Mostra e di questo primo anno di attività della Biennale, Croff ha annunciato che «non c'è alcun rischio di chiudere in perdita, come qualcuno ha ipotizzato, ma anzi chiuderemo in pareggio, se non addirittura con un modesto attivo».
R. S.
RICONFERMA per altri tre anni del direttore della mostra del Cinema Marco Müller, che sta già lavorando ...
... alle attività del 2005 e al 62° Festival, anche nella prospettiva di rimediare ad «alcune defaillance organizzative che pur ci sono state - ha riconosciuto il presidente della Biennale Davide Croff - ma che sono facilmente risolvibili». È una delle conclusioni cui è giunto ieri mattina il consiglio di amministrazione della Biennale, il primo dalla conclusione dell'ultima Mostra del Cinema, e che ha preso in esame, ha detto ancora Croff in una successiva conferenza stampa, tutte le prospettive della Fondazione nel suo complesso, a nove mesi dalla riforma e dall'insediamento dei nuovi vertici. «Insieme a Müller, con cui stiamo in piena sintonia - ha detto Croff - abbiamo esaminato tutti gli aspetti dell'ultima Mostra, sia quelli positivi che quelli negativi, ma con intento di ancorare l'analisi saldamente ai fatti, dai contenuti e dall'articolazione della Mostra alla qualità e quantità della presenza dello star system, dal prestigio della giuria all'ampia presenza dei giovani fino alla ricchezza delle strutture, che non consistevano soltanto nei sessanta leoni dell'allestimento. E siamo arrivati alla conclusione - ha proseguito - che è stata una Mostra tanto ricca da peccare per certi aspetti di un eccesso di ricchezza, che ha causato alcune vischiosità e ritardi. Vi sono sì state alcune defaillance organizzative, anche se non superiori a quelle di altri anni, sebbene un particolare episodio, quello del guasto alla biglietteria in occasione della proiezione de «Il mercante di Venezia» li abbia enfatizzati. Per il 2005 abbiamo già cominciato a lavorare con Müller e il direttore organizzativo Luigi Cuciniello - ha detto ancora il presidente - al fine di evitare ingolfamenti, cosa che inevitabilmente comporterà qualche sacrificio e dunque qualche scontento, e per una modifica del regolamento affinchè i premi maggiori non possano sommarsi, sull'esempio di quanto hanno già fatto a Cannes, in un unico film». «Per quanto riguarda l'analisi delle spese e del bilancio della Mostra e di questo primo anno di attività della Biennale, Croff ha annunciato che «non c'è alcun rischio di chiudere in perdita, come qualcuno ha ipotizzato, ma anzi chiuderemo in pareggio, se non addirittura con un modesto attivo».
R. S.
mercoledì 29 settembre 2004
Ritalin:
la pillola dell'obbedienza
laleva.org
Allarme: la «pillola dell’obbedienza» torna in farmacia
di Marina Piccone (da l'Unità)
Tra pochi giorni, il Ritalin, un farmaco a base di metilfenidato, un’anfetamina, sarà di nuovo in commercio su decreto del Ministero della Salute. Servirà a curare il cosiddetto «Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività» (Adhd: Attention Deficit Hyperactivity Disorder), una sindrome che colpisce bambini in età scolare e prescolare, caratterizzata da irrequietezza, difficoltà di concentrazione, sbadataggine, impulsività, svogliatezza, poca disponibilità all’ascolto. Il metilfenidato, il principio attivo del Ritalin, è stato scoperto da un ricercatore italiano nel 1955. Brevettato dalla Novartis Pharma, una multinazionale svizzera, il Ritalin veniva utilizzato per pazienti psichiatrici depressi e nei casi di epilessia. Nel 1989 è stato messo fuori commercio, perché utilizzato come dimagrante e come psicostimolante da studenti. Fino al marzo dello scorso anno, compariva nella sottotabella I della Tabella n. 7 della Farmacopea, insieme alla cocaina, agli oppiacei, all’eroina e all’Lsd. Da quella data, è passato, per decreto ministeriale, nella sottotabella IV, dove sono presenti le benzodiozepine, gli psicofarmaci per intenderci.
All’interrogazione parlamentare con la quale Tiziana Valpiana di Rifondazione Comunista chiedeva lumi al ministro Sirchia su questa promozione, il sottosegretario alla Salute Antonio Guidi ha risposto che mantenere il Ritalin nel posto originario «avrebbe significato porre un ostacolo all’accesso del farmaco da parte dei giovani pazienti affetti da Adhd». E per qunto riguarda i pericolosi effetti che uno stupefacente può avere su un organismo in età evolutiva, Guidi ha assicurato che il farmaco si potrà ottenere solo con una ricetta speciale.
In America e in Inghilterra si fa largo uso di questo medicinale da vari anni. In particolare, negli Stati Uniti dai quattro ai sei milioni di bambini «iperattivi», dai tre anni di età, vengono trattati con il Ritalin, che è stato soprannominato la cocaina dei bimbi o anche «la pillola dell’obbedienza». Tuttavia, solo qualche giorno fa la Food and Drug Administration, l’ente americano che si occupa dei farmaci, ha rilasciato un parere allarmante secondo cui i bambini depressi trattati con farmaci antidepressivi presentano comportamenti autolesionisti. Anche nella scheda tecnica del Ritalin si legge che «un uso abusivo può indurre una marcata assuefazione e dipendenza psichica con vari gradi di comportamento anormale». È così? «Si tratta di uno psicofarmaco e, come tale, può dare simili effetti» risponde un medico della Novartis, che preferisce rimanere anonimo. Nella scheda c’è scritto anche: «Si richiede un’attenta sorveglianza anche dopo la sospensione del prodotto poiché si possono rilevare grave depressione e iperattività cronica».
In pratica il farmaco provocherebbe gli stessi effetti che dovrebbe curare. «È una cosa che avviene per molti farmaci», continua il medico. Quello che conta, aggiunge, è che il Ritalin «ha un’incredibile efficacia nella patologia dell’Adhd, come dimostra un’impressionante mole di dati scientifici».
Ma che dire degli effetti collaterali? La «Guida all’uso dei farmaci per i bambini», distribuita dal Ministero della Salute, Direzione generale dei farmaci, parla di: «cambiamenti di pressione sanguigna, angina pectoris, perdita di peso, psicosi tossica, possibilità di suicidio durante la fase di astinenza». Non è un po’ preoccupante? «I farmaci fanno male, è una cosa risaputa» chiarisce Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità. «Anche l’aspirina ha provocato decessi. E, però, quando le medicine servono, vanno somministrate. Il cervello si ammala come tutti gli altri organi, e, come negli altri casi, va curato. Il Ritalin funziona, se somministrato correttamente e al bambino giusto. L’importante è non abusarne». E, per evitare abusi, il Ministero della Salute ha istituito il Registro Italiano dell’Adhd, che servirà a controllare la correttezza delle prescrizioni, che saranno fatte esclusivamente da Centri d’eccellenza istituiti nelle diverse Regioni, e a valutare gli effetti.
L’Adhd, dunque. Ma di cosa si tratta esattamente? Per ammissione degli psichiatri stessi, fino ad oggi non c’è unanimità sulla diagnosi. «Ci sono molti dubbi che la cosiddetta sindrome dell’Adhd esista - afferma Enrico Nonnis, neuropsichiatra infantile della Asl Rm E - Ammesso e non concesso, coinvolge, comunque, un numero di soggetti molto inferiore a quanto si vuol far credere. È una patologia non chiara anche perché chi soffre di iperattività presenta altre categorie diagnostiche sintomatologiche come la depressione, i disturbi ossessivo-compulsivi, i disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, ansia e disordini dell’umore. Tutti sintomi per i quali il Ritalin non sarebbe indicato».
Vella bolla di oscurantismo chi mette in dubbio l’esistenza di questa malattia. «L’Adhd esiste, eccome. Ci sono famiglie distrutte da questo problema. Certo gli americani usano una griglia un po’ troppo larga per la valutazione, ma da qui a dire che la patologia non esiste ce ne corre». E quanti sono i bambini malati in Italia? «Non lo sappiamo» risponde Vella. «Il Registro è nato anche per verificare questo».
Una ricerca di tipo epidemiologico volta ad individuare l’incidenza di disturbi mentali nei ragazzi dagli 11 ai 14 anni, partita nel novembre del 2002 e appena conclusa, ha evidenziato che meno del 2 per cento della popolazione preadolescente soffre di Adhd. «Il problema è molto meno frequente di quanto si ipotizzasse» ammettono i ricercatori dell’Istituto di Neuropsichiatria infantile Eugenio Medea di Lecco, uno dei futuri Centri d’eccellenza, che ha promosso la ricerca autorizzata dall’Istituto superiore della Sanità e finanziata dal Ministero della Salute.
E allora? «Attenzione - avverte Nonnis -. Il Ritalin si sta rivelando un cavallo di Troia. Il neonato Registro Italiano dell’Adhd ha avallato l’esistenza di questa patologia che deve essere curata necessariamente con farmaci. Si tratta di un’operazione un po’ commerciale e un po’ politica. Si perpetua una cultura e si mantiene un’abitudine che è quella di ricorrere al farmaco come unica possibilità di cura, una specie di deus ex-machina. Dal Ministero mi aspetto lo stesso zelo e la stessa attenzione nel predisporre servizi per l’infanzia e nel creare una cultura della salute. La risposta ad un bambino iperattivo o comunque ad un bambino che manifesta un disagio psicologico, non può essere prevalentemente farmacologica; deve essere soprattutto di tipo sociale, psicoterapeutico, di collaborazione con la famiglia e con altre istituzioni come la scuola».
Allarme: la «pillola dell’obbedienza» torna in farmacia
di Marina Piccone (da l'Unità)
Tra pochi giorni, il Ritalin, un farmaco a base di metilfenidato, un’anfetamina, sarà di nuovo in commercio su decreto del Ministero della Salute. Servirà a curare il cosiddetto «Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività» (Adhd: Attention Deficit Hyperactivity Disorder), una sindrome che colpisce bambini in età scolare e prescolare, caratterizzata da irrequietezza, difficoltà di concentrazione, sbadataggine, impulsività, svogliatezza, poca disponibilità all’ascolto. Il metilfenidato, il principio attivo del Ritalin, è stato scoperto da un ricercatore italiano nel 1955. Brevettato dalla Novartis Pharma, una multinazionale svizzera, il Ritalin veniva utilizzato per pazienti psichiatrici depressi e nei casi di epilessia. Nel 1989 è stato messo fuori commercio, perché utilizzato come dimagrante e come psicostimolante da studenti. Fino al marzo dello scorso anno, compariva nella sottotabella I della Tabella n. 7 della Farmacopea, insieme alla cocaina, agli oppiacei, all’eroina e all’Lsd. Da quella data, è passato, per decreto ministeriale, nella sottotabella IV, dove sono presenti le benzodiozepine, gli psicofarmaci per intenderci.
All’interrogazione parlamentare con la quale Tiziana Valpiana di Rifondazione Comunista chiedeva lumi al ministro Sirchia su questa promozione, il sottosegretario alla Salute Antonio Guidi ha risposto che mantenere il Ritalin nel posto originario «avrebbe significato porre un ostacolo all’accesso del farmaco da parte dei giovani pazienti affetti da Adhd». E per qunto riguarda i pericolosi effetti che uno stupefacente può avere su un organismo in età evolutiva, Guidi ha assicurato che il farmaco si potrà ottenere solo con una ricetta speciale.
In America e in Inghilterra si fa largo uso di questo medicinale da vari anni. In particolare, negli Stati Uniti dai quattro ai sei milioni di bambini «iperattivi», dai tre anni di età, vengono trattati con il Ritalin, che è stato soprannominato la cocaina dei bimbi o anche «la pillola dell’obbedienza». Tuttavia, solo qualche giorno fa la Food and Drug Administration, l’ente americano che si occupa dei farmaci, ha rilasciato un parere allarmante secondo cui i bambini depressi trattati con farmaci antidepressivi presentano comportamenti autolesionisti. Anche nella scheda tecnica del Ritalin si legge che «un uso abusivo può indurre una marcata assuefazione e dipendenza psichica con vari gradi di comportamento anormale». È così? «Si tratta di uno psicofarmaco e, come tale, può dare simili effetti» risponde un medico della Novartis, che preferisce rimanere anonimo. Nella scheda c’è scritto anche: «Si richiede un’attenta sorveglianza anche dopo la sospensione del prodotto poiché si possono rilevare grave depressione e iperattività cronica».
In pratica il farmaco provocherebbe gli stessi effetti che dovrebbe curare. «È una cosa che avviene per molti farmaci», continua il medico. Quello che conta, aggiunge, è che il Ritalin «ha un’incredibile efficacia nella patologia dell’Adhd, come dimostra un’impressionante mole di dati scientifici».
Ma che dire degli effetti collaterali? La «Guida all’uso dei farmaci per i bambini», distribuita dal Ministero della Salute, Direzione generale dei farmaci, parla di: «cambiamenti di pressione sanguigna, angina pectoris, perdita di peso, psicosi tossica, possibilità di suicidio durante la fase di astinenza». Non è un po’ preoccupante? «I farmaci fanno male, è una cosa risaputa» chiarisce Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità. «Anche l’aspirina ha provocato decessi. E, però, quando le medicine servono, vanno somministrate. Il cervello si ammala come tutti gli altri organi, e, come negli altri casi, va curato. Il Ritalin funziona, se somministrato correttamente e al bambino giusto. L’importante è non abusarne». E, per evitare abusi, il Ministero della Salute ha istituito il Registro Italiano dell’Adhd, che servirà a controllare la correttezza delle prescrizioni, che saranno fatte esclusivamente da Centri d’eccellenza istituiti nelle diverse Regioni, e a valutare gli effetti.
L’Adhd, dunque. Ma di cosa si tratta esattamente? Per ammissione degli psichiatri stessi, fino ad oggi non c’è unanimità sulla diagnosi. «Ci sono molti dubbi che la cosiddetta sindrome dell’Adhd esista - afferma Enrico Nonnis, neuropsichiatra infantile della Asl Rm E - Ammesso e non concesso, coinvolge, comunque, un numero di soggetti molto inferiore a quanto si vuol far credere. È una patologia non chiara anche perché chi soffre di iperattività presenta altre categorie diagnostiche sintomatologiche come la depressione, i disturbi ossessivo-compulsivi, i disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, ansia e disordini dell’umore. Tutti sintomi per i quali il Ritalin non sarebbe indicato».
Vella bolla di oscurantismo chi mette in dubbio l’esistenza di questa malattia. «L’Adhd esiste, eccome. Ci sono famiglie distrutte da questo problema. Certo gli americani usano una griglia un po’ troppo larga per la valutazione, ma da qui a dire che la patologia non esiste ce ne corre». E quanti sono i bambini malati in Italia? «Non lo sappiamo» risponde Vella. «Il Registro è nato anche per verificare questo».
Una ricerca di tipo epidemiologico volta ad individuare l’incidenza di disturbi mentali nei ragazzi dagli 11 ai 14 anni, partita nel novembre del 2002 e appena conclusa, ha evidenziato che meno del 2 per cento della popolazione preadolescente soffre di Adhd. «Il problema è molto meno frequente di quanto si ipotizzasse» ammettono i ricercatori dell’Istituto di Neuropsichiatria infantile Eugenio Medea di Lecco, uno dei futuri Centri d’eccellenza, che ha promosso la ricerca autorizzata dall’Istituto superiore della Sanità e finanziata dal Ministero della Salute.
E allora? «Attenzione - avverte Nonnis -. Il Ritalin si sta rivelando un cavallo di Troia. Il neonato Registro Italiano dell’Adhd ha avallato l’esistenza di questa patologia che deve essere curata necessariamente con farmaci. Si tratta di un’operazione un po’ commerciale e un po’ politica. Si perpetua una cultura e si mantiene un’abitudine che è quella di ricorrere al farmaco come unica possibilità di cura, una specie di deus ex-machina. Dal Ministero mi aspetto lo stesso zelo e la stessa attenzione nel predisporre servizi per l’infanzia e nel creare una cultura della salute. La risposta ad un bambino iperattivo o comunque ad un bambino che manifesta un disagio psicologico, non può essere prevalentemente farmacologica; deve essere soprattutto di tipo sociale, psicoterapeutico, di collaborazione con la famiglia e con altre istituzioni come la scuola».
farmacogenomica
La Stampa TuttoScienze 29.9.04
FARMACI
Sta nascendo il medicinale personalizzato
Pia Bassi
UNA nuova scienza, la farmacogenomica, biochimica e genetica, sta dando i primi frutti: i farmaci personalizzati che sono stati messi a punto nei centri di ricerca della Roche di Basilea, una delle più importanti case farmaceutiche collegata in partnership a una rete di 54 aziende (in Italia è la Bioxell) che investe in ricerca ogni anno 5 mila milioni di franchi svizzeri, su un fatturato di 31.220 milioni. Se un farmaco è adatto per guarire una data malattia, lo dirà la genetica. Il test diagnostico realizzato con marchio CE sarà di grande aiuto ai medici in quanto sapranno in breve tempo se il farmaco funzionerà in un dato paziente e in quale misura. Il test si basa sull'analisi delle variazioni di due geni che vengono coinvolti nel metabolismo di molti farmaci prescritti in grande misura per malattie molto comuni: ipertensione, depressione, convulsioni, ulcere. Questa grande conquista è stata resa possibile da due tecnologie d'avanguardia: la reazione a catena della polimerasi (OCRL) ed i microarray ad alta densità, che sono chips con decine di migliaia di frammenti di DNA. La strategia terapeutica che ne deriva permette di ottimizzare le terapie, che vanno sul giusto bersaglio con dosi appropriate, diminuendo così gli effetti collaterali e la tossicità. Uno studio fatto sulla reale efficacia dei farmaci ha evidenziato infatti che molti di essi sono utilizzati dal corpo in modo molto parziale: per esempio le statine sono utilizzate solo nella misura del 10-60%, i betabloccanti solo per il 15-35%, gli antidepressivi per il10-25% per la classe dei SSRIs e per il 20-50% per i triciclici, e così via. I farmaci antitumorali, com'è noto, sono molto tossici per gli effetti collaterali sugli organi sani. E proprio per limitare queste sgradite e gravi conseguenze, la Roche ha recentemente messo a punto per il settore oncologico il primo farmaco mirato, che blocca l'angiogenesi del tumore agendo sul fattore di crescita endoteliale: il bevacizumab. "Tecnologia ed innovazione - ha detto a Basilea Jonathan Knowles, capo del Global Research Roche - apporteranno miglioramenti significativi nelle terapie per la cura dell'ictus, delle artropatie periferiche, dell'artrite reumatoide, del diabete tipo 2, della schizofrenia, dell'Alzheimer, dell'obesità, dell'osteoporosi, e di altre ancora, migliorando la qualità di vita del paziente". Aumenterà anche la disponibilità delle tecnologie sanitarie delle quali si potranno avvalere anche i paesi emergenti entro il 2040, un piccolo passo verso il benessere e l'uguaglianza. A monte dell'inizio di una cura ci deve essere una diagnosi esatta. E questo lo permetterà la biologia molecolare, mentre la giusta cura antitumorale verrà indicata con esattezza dalla genetica. Non sappiamo come sarà il futuro, ma certo stiamo vivendo una grande rivoluzione in medicina, da paragonare alle recenti conquiste dello spazio. Dieci anni fa le aziende biotech erano 90, ora sono 200. Nel gruppo Roche primeggiano per le biotecnologie le consociate Genentech, California, e la Chugai, Giappone.
FARMACI
Sta nascendo il medicinale personalizzato
Pia Bassi
UNA nuova scienza, la farmacogenomica, biochimica e genetica, sta dando i primi frutti: i farmaci personalizzati che sono stati messi a punto nei centri di ricerca della Roche di Basilea, una delle più importanti case farmaceutiche collegata in partnership a una rete di 54 aziende (in Italia è la Bioxell) che investe in ricerca ogni anno 5 mila milioni di franchi svizzeri, su un fatturato di 31.220 milioni. Se un farmaco è adatto per guarire una data malattia, lo dirà la genetica. Il test diagnostico realizzato con marchio CE sarà di grande aiuto ai medici in quanto sapranno in breve tempo se il farmaco funzionerà in un dato paziente e in quale misura. Il test si basa sull'analisi delle variazioni di due geni che vengono coinvolti nel metabolismo di molti farmaci prescritti in grande misura per malattie molto comuni: ipertensione, depressione, convulsioni, ulcere. Questa grande conquista è stata resa possibile da due tecnologie d'avanguardia: la reazione a catena della polimerasi (OCRL) ed i microarray ad alta densità, che sono chips con decine di migliaia di frammenti di DNA. La strategia terapeutica che ne deriva permette di ottimizzare le terapie, che vanno sul giusto bersaglio con dosi appropriate, diminuendo così gli effetti collaterali e la tossicità. Uno studio fatto sulla reale efficacia dei farmaci ha evidenziato infatti che molti di essi sono utilizzati dal corpo in modo molto parziale: per esempio le statine sono utilizzate solo nella misura del 10-60%, i betabloccanti solo per il 15-35%, gli antidepressivi per il10-25% per la classe dei SSRIs e per il 20-50% per i triciclici, e così via. I farmaci antitumorali, com'è noto, sono molto tossici per gli effetti collaterali sugli organi sani. E proprio per limitare queste sgradite e gravi conseguenze, la Roche ha recentemente messo a punto per il settore oncologico il primo farmaco mirato, che blocca l'angiogenesi del tumore agendo sul fattore di crescita endoteliale: il bevacizumab. "Tecnologia ed innovazione - ha detto a Basilea Jonathan Knowles, capo del Global Research Roche - apporteranno miglioramenti significativi nelle terapie per la cura dell'ictus, delle artropatie periferiche, dell'artrite reumatoide, del diabete tipo 2, della schizofrenia, dell'Alzheimer, dell'obesità, dell'osteoporosi, e di altre ancora, migliorando la qualità di vita del paziente". Aumenterà anche la disponibilità delle tecnologie sanitarie delle quali si potranno avvalere anche i paesi emergenti entro il 2040, un piccolo passo verso il benessere e l'uguaglianza. A monte dell'inizio di una cura ci deve essere una diagnosi esatta. E questo lo permetterà la biologia molecolare, mentre la giusta cura antitumorale verrà indicata con esattezza dalla genetica. Non sappiamo come sarà il futuro, ma certo stiamo vivendo una grande rivoluzione in medicina, da paragonare alle recenti conquiste dello spazio. Dieci anni fa le aziende biotech erano 90, ora sono 200. Nel gruppo Roche primeggiano per le biotecnologie le consociate Genentech, California, e la Chugai, Giappone.
citato ai Seminari del 20/23-9
il centro anoressia dell'Umberto I
ricevuto da Elio
la Repubblica – domenica 19 settembre 2004 – Cronaca di Roma
La struttura per la cura dei disturbi alimentari era stata inaugurata un anno fa
Centro anoressia Umberto I – contro la chiusura è rivolta
La protesta dei medici e dei pazienti
Un mese fa la delibera del Policlinico che cancella il presidio costato 500 mila euro
Wanda Cuseo
È stato inaugurato meno di un anno fa il «Centro per la cura dei disturbi della condotta alimentare» del Policlinico Umberto I: un investimento di circa 500 mila euro, che ha trasformato il vecchio reparto dell’ospedale in una struttura moderna e unica nel suo genere in Italia. Ma il Centro, dove tutti i giorni cercano aiuto circa 25 pazienti provenienti da tutta la Penisola e molti in pericolo di vita, rischia di scomparire il prossimo novembre, a un anno esatto dalla sua nascita. «Il mese scorso è stata firmata una delibera che mette il servizio in esaurimento – spiega il primario Emilia Costa – Al suo posto verrà istituito un nuovo servizio di psicoterapia: cosa del tutto inutile, visto che la psicoterapia viene svolta in tutti i servizi del dipartimento».
Ora il personale medico e paramedico chiedono spiegazioni. «Il nostro Centro è una struttura altamente specializzata – continua Emilia Costa – in grado di curare i disturbi alimentari in modo completo. Abbiamo ambulatori, day hospital, degenza: così possiamo seguire i pazienti in tutte le diverse fasi della malattia». Da quando il Centro è stato aperto, l’affluenza è aumentata sempre più: «Abbiamo pazienti che arrivano da tutta Italia, dopo aver girato diverse strutture senza trovare soluzioni a problemi delicati e lunghi da risolvere come la bulimia o l’anoressia. Disturbi che, tra l’altro sono in aumento».
Lo smantellamento progressivo della struttura è iniziato lo scorso maggio, «appena sei mesi dopo l’inaugurazione del Centro – racconta Luana De Vita, psicologa che collabora nella struttura – alla quale hanno partecipato entusiasti tutti i rappresentanti dell’azienda ospedaliera e della Regione». Il 29 maggio, infatti, al momento di firmare la delibera sui servizi in convenzione per il nuovo anno, quello per i disturbi della condotta alimentare è stato «messo in esaurimento». A quel punto il personale e le famiglie dei malati assistiti dal Centro, hanno iniziato a protestare. Il primo giugno, l’azienda ha assicurato che sarebbe stato firmato un nuovo accordo con la Regione perché il Centro continuasse la sua attività. Dopo la delibera del mese scorso, però, la sorte della struttura per i disturbi alimentari è di nuovo in pericolo. E così il dramma per i malati e le loro famiglie continua. «A mia figlia restava solo un mese di vita quando è arrivata qui – racconta Maria Grazia Breghi – Alta un metro e settanta, pesava solo 32 chili. Ora, dopo otto mesi di ricovero, è ancora viva. Ma ha bisogno di terapie quotidiane per combattere contro una malattia difficile da sconfiggere».
la Repubblica – domenica 19 settembre 2004 – Cronaca di Roma
La struttura per la cura dei disturbi alimentari era stata inaugurata un anno fa
Centro anoressia Umberto I – contro la chiusura è rivolta
La protesta dei medici e dei pazienti
Un mese fa la delibera del Policlinico che cancella il presidio costato 500 mila euro
Wanda Cuseo
È stato inaugurato meno di un anno fa il «Centro per la cura dei disturbi della condotta alimentare» del Policlinico Umberto I: un investimento di circa 500 mila euro, che ha trasformato il vecchio reparto dell’ospedale in una struttura moderna e unica nel suo genere in Italia. Ma il Centro, dove tutti i giorni cercano aiuto circa 25 pazienti provenienti da tutta la Penisola e molti in pericolo di vita, rischia di scomparire il prossimo novembre, a un anno esatto dalla sua nascita. «Il mese scorso è stata firmata una delibera che mette il servizio in esaurimento – spiega il primario Emilia Costa – Al suo posto verrà istituito un nuovo servizio di psicoterapia: cosa del tutto inutile, visto che la psicoterapia viene svolta in tutti i servizi del dipartimento».
Ora il personale medico e paramedico chiedono spiegazioni. «Il nostro Centro è una struttura altamente specializzata – continua Emilia Costa – in grado di curare i disturbi alimentari in modo completo. Abbiamo ambulatori, day hospital, degenza: così possiamo seguire i pazienti in tutte le diverse fasi della malattia». Da quando il Centro è stato aperto, l’affluenza è aumentata sempre più: «Abbiamo pazienti che arrivano da tutta Italia, dopo aver girato diverse strutture senza trovare soluzioni a problemi delicati e lunghi da risolvere come la bulimia o l’anoressia. Disturbi che, tra l’altro sono in aumento».
Lo smantellamento progressivo della struttura è iniziato lo scorso maggio, «appena sei mesi dopo l’inaugurazione del Centro – racconta Luana De Vita, psicologa che collabora nella struttura – alla quale hanno partecipato entusiasti tutti i rappresentanti dell’azienda ospedaliera e della Regione». Il 29 maggio, infatti, al momento di firmare la delibera sui servizi in convenzione per il nuovo anno, quello per i disturbi della condotta alimentare è stato «messo in esaurimento». A quel punto il personale e le famiglie dei malati assistiti dal Centro, hanno iniziato a protestare. Il primo giugno, l’azienda ha assicurato che sarebbe stato firmato un nuovo accordo con la Regione perché il Centro continuasse la sua attività. Dopo la delibera del mese scorso, però, la sorte della struttura per i disturbi alimentari è di nuovo in pericolo. E così il dramma per i malati e le loro famiglie continua. «A mia figlia restava solo un mese di vita quando è arrivata qui – racconta Maria Grazia Breghi – Alta un metro e settanta, pesava solo 32 chili. Ora, dopo otto mesi di ricovero, è ancora viva. Ma ha bisogno di terapie quotidiane per combattere contro una malattia difficile da sconfiggere».
Sassari
morte nel reparto di Psichiatria
Unione Sarda 29 settembre 2004
Malasanità.
Tragedia in corsia
«Mio fratello ucciso dalla disidratazione» Psichiatria nella bufera
L’inchiesta è riaperta e tutto ritorna nelle mani del pm, grazie ai dubbi, fortissimi, sollevati dai consulenti della difesa. Conclusioni che dirottano nuovamente nelle mani del pm Gianni Caria il caso di Antonio Muroni, 44 anni, sassarese, morto nel reparto di Psichiatria, secondo i parenti a causa di una grave disidratazione. Il caso era stato archiviato, ma i familiari avevano impugnato l’archiviazione: «Per salvare Antonio - dicono - sarebbero bastati gli esami di routine».
L’inchiesta comincia dopo la denuncia di Luigi, fratello della vittima, di professione medico di base. È lui che racconta ai carabinieri l’odissea di quel fratello precipitato d’improvviso nel baratro della malattia mentale, dopo una laurea in giurisprudenza messa a frutto brillantemente in campo lavorativo. Antonio soffriva ormai da nove anni di schizofrenia, per due volte era stato ricoverato in Psichiatria. Tirava avanti grazie alle cure del suo medico e a un farmaco che sembrava funzionare. Fino a quando, denuncia il fratello, non cambia l’uno e l’altro. La situazione peggiora visibilmente. È il 7 luglio del ’99, Antonio non mangia e non beve da giorni. Il fratello e la sorella chiamano al telefono Luigi: «Antonio sta male, è pallido, freddo, risponde a fatica». Lui chiama la collega, anche lei medico di base, e per di più specialista in Neuropsichiatria. È la prima della lista degli indagati.
Si accorge che è disidratato. Non ne dispone il ricovero, decide di aspettare: il giorno dopo é prevista la visita dell’Équipe del Centro di igiene mentale. «Sto morendo», dirà Antonio alla sorella. L’indomani la dottoressa del Cim ne dispone il ricovero immediato, ma in Psichiatria. Mentre é ancora a casa, il paziente ha un collasso, viene rianimato. Sul foglio di ricovero quel collasso, dice il fratello, non figura. Qui, sempre secondo la denuncia, succede di tutto: non viene eseguito alcun esame, non viene misurata la pressione. Antonio Muroni muore il giorno dopo in Rianimazione.
Il resto è tutta storia giudiziaria. Una prima perizia sembra discolpare tutti coloro che sono ruotati attorno al paziente: il medico di base, il medico del centro di igiene mentale, il medico del pronto soccorso, tre medici di Psichiatria. Ma il caso viene riaperto. Altri periti sono chiamati a stabilire se la morte di Antonio sia dovuta a un’imprevedibile insufficienza renale o da una disidratazione clamorosamente sottovalutata.
Le percentuali dei sali minerali accertate negli esami di laboratorio erano elevatissime: «spaventose» secondo i professori Pierluigi Tosi e Giancarlo Berni, rispettivamente direttore del dipartimento di Emergenza e primario del reparto Nefrologia e Dialisi a Firenze, periti della parte civile.
Malasanità.
Tragedia in corsia
«Mio fratello ucciso dalla disidratazione» Psichiatria nella bufera
L’inchiesta è riaperta e tutto ritorna nelle mani del pm, grazie ai dubbi, fortissimi, sollevati dai consulenti della difesa. Conclusioni che dirottano nuovamente nelle mani del pm Gianni Caria il caso di Antonio Muroni, 44 anni, sassarese, morto nel reparto di Psichiatria, secondo i parenti a causa di una grave disidratazione. Il caso era stato archiviato, ma i familiari avevano impugnato l’archiviazione: «Per salvare Antonio - dicono - sarebbero bastati gli esami di routine».
L’inchiesta comincia dopo la denuncia di Luigi, fratello della vittima, di professione medico di base. È lui che racconta ai carabinieri l’odissea di quel fratello precipitato d’improvviso nel baratro della malattia mentale, dopo una laurea in giurisprudenza messa a frutto brillantemente in campo lavorativo. Antonio soffriva ormai da nove anni di schizofrenia, per due volte era stato ricoverato in Psichiatria. Tirava avanti grazie alle cure del suo medico e a un farmaco che sembrava funzionare. Fino a quando, denuncia il fratello, non cambia l’uno e l’altro. La situazione peggiora visibilmente. È il 7 luglio del ’99, Antonio non mangia e non beve da giorni. Il fratello e la sorella chiamano al telefono Luigi: «Antonio sta male, è pallido, freddo, risponde a fatica». Lui chiama la collega, anche lei medico di base, e per di più specialista in Neuropsichiatria. È la prima della lista degli indagati.
Si accorge che è disidratato. Non ne dispone il ricovero, decide di aspettare: il giorno dopo é prevista la visita dell’Équipe del Centro di igiene mentale. «Sto morendo», dirà Antonio alla sorella. L’indomani la dottoressa del Cim ne dispone il ricovero immediato, ma in Psichiatria. Mentre é ancora a casa, il paziente ha un collasso, viene rianimato. Sul foglio di ricovero quel collasso, dice il fratello, non figura. Qui, sempre secondo la denuncia, succede di tutto: non viene eseguito alcun esame, non viene misurata la pressione. Antonio Muroni muore il giorno dopo in Rianimazione.
Il resto è tutta storia giudiziaria. Una prima perizia sembra discolpare tutti coloro che sono ruotati attorno al paziente: il medico di base, il medico del centro di igiene mentale, il medico del pronto soccorso, tre medici di Psichiatria. Ma il caso viene riaperto. Altri periti sono chiamati a stabilire se la morte di Antonio sia dovuta a un’imprevedibile insufficienza renale o da una disidratazione clamorosamente sottovalutata.
Le percentuali dei sali minerali accertate negli esami di laboratorio erano elevatissime: «spaventose» secondo i professori Pierluigi Tosi e Giancarlo Berni, rispettivamente direttore del dipartimento di Emergenza e primario del reparto Nefrologia e Dialisi a Firenze, periti della parte civile.
Kurt Goedel (1908-1978)
La Stampa TuttoScienze 29.9.04
IL LEGGENDARIO SCOPRITORE DEL «TEOREMA DI INCOMPLETEZZA»
Il silenzio di Goedel
DI POCHE PAROLE, SI CHIUSE IN SE STESSO FINO A LASCIARSI MORIRE DI FAME MA RIVOLUZIONO’ LA LOGICA DIVENENDO L’ARISTOTELE DELL’ETA’ MODERNA
di Tullio Regge
LO vedevo passare ogni giorno all'ora di pranzo davanti alla finestra del mio ufficio diretto verso la cafeteria dell'Institute for Advanced Study di Princeton. Era puntuale a livello maniacale, arrivava sempre in anticipo di un quarto d'ora e consumava il pasto in fretta in assoluta solitudine. Era il leggendario Kurt Goedel, nato il 28 aprile 1908 a Brunn (oggi Brno) in Cecoslovacchia, al tempo parte dell'Impero Austro Ungarico, un personaggio leggendario che ha rivoluzionato la logica. Nel triennio 1910-1913 i filosofi-matematici Bertrand Russell e Alfred North Whitehead avevano tentato una grande sintesi delle matematica, i «Principia Mathematica», in quattro volumi. Di questi ne apparvero solo tre, qualcuno chiese a Russell per quale ragione si fosse interrotta la collaborazione. Russel rispose che "Whitehead mi considerava arrogante e io pensavo che avesse idee confuse". Come ben mi disse Freeman Dyson che li aveva conosciuti bene ambedue avevano ragione. Goedel diventò famoso per il suo teorema di incompletezza della logica matematica apparso nel 1931: "über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme". Il lavoro è lungo solo qualche decina di pagine ma distrusse alle fondamenta i «Principia», da molti ribattezzati come il "Diplococo" un dinosauro del giurassico ormai estinto. Grosso modo i linguaggi matematici formali sono basati su una lista di simboli e da assiomi con cui si possono definire e manipolare simboli, creare un linguaggio formale e chiedersi se una formula espressa in questo linguaggio è vera oppure no. Per secoli i matematici sono andati avanti con l'idea fissa che fosse sempre possibile stabilire la validità di una formula in un qualsiasi linguaggio formale. Goedel distrusse alle fondamenta la speranza su cui si basava il diplococo. Un linguaggio formale che non sia banale contiene sempre proposizioni indecidibili di cui non è possibile dimostrare se sono vere o false. Se queste proposizioni vengono decise con un atto di forza si ottiene un nuovo formalismo ampliato che contiene nuove proposizioni indecidibili. Il processo non ha fine. Sempre nel 1931 Godel incontrò a Bad Elster Zermelo, grande logico matematico dell'epoca. Olga Taussky-Todd, che fu testimone dell'incontro scrisse: "Il guaio con Zermelo fu che pensava di avere ottenuto lui stesso i risultati di Goedel ... l'incontro pacifico tra Zermelo e Goedel... non fu l'inizio di una collaborazione scientifica tra i due logici..." . Hitler salì al potere nel 1933, Godel non era interessato alla politica ma temette essere chiamato sotto le armi dopo l'Anschluss in cui l'Austria diventò parte del Terzo Reich, riuscì infine a lasciare l'Austria e ad arrivare negli USA dopo un avventuroso viaggio attraverso Russia e Giappone. Non mi consta che sia mai ritornato in Europa. Quando era ancora in Austria circolava la voce che fosse ebreo, non lo era ma a Vienna fu anche aggredito da una gang di nazisti. Goedel non aveva praticamente vita sociale, poco dopo il mio arrivo a Princeton fui invitato a cena a casa di Oppenheimer e trovai Godel seduto alla mia sinistra, alla destra giunse George Kennan, ambasciatore degli Stati Uniti nell’Unione Sovietica al tempo della morte di Stalin. Fu quasi impossibile conversare con Goedel. Quando citai Bertrand Russel mi rispose gelido "non penso granché di lui". Mi consolai con Kennan e Oppenheimer, favolosi chiacchieroni; mi consta fra l'altro che Kennan sia ancora vivo e ultracentenario. Sin dai tempi di Vienna Goedel era afflitto da crisi di depressione e alla fine il suo stato di salute era peggiorato anche dalla scarsa fiducia che riponeva nel personale medico e dalla convinzione che qualcuno volesse avvelenarlo. Alla fine rifiutava il cibo e morì letteralmente di fame il 14 gennaio 1978. Mi rimane la consolazione di avere visto da vicino l'Aristotele del XX secolo.
IL LEGGENDARIO SCOPRITORE DEL «TEOREMA DI INCOMPLETEZZA»
Il silenzio di Goedel
DI POCHE PAROLE, SI CHIUSE IN SE STESSO FINO A LASCIARSI MORIRE DI FAME MA RIVOLUZIONO’ LA LOGICA DIVENENDO L’ARISTOTELE DELL’ETA’ MODERNA
di Tullio Regge
LO vedevo passare ogni giorno all'ora di pranzo davanti alla finestra del mio ufficio diretto verso la cafeteria dell'Institute for Advanced Study di Princeton. Era puntuale a livello maniacale, arrivava sempre in anticipo di un quarto d'ora e consumava il pasto in fretta in assoluta solitudine. Era il leggendario Kurt Goedel, nato il 28 aprile 1908 a Brunn (oggi Brno) in Cecoslovacchia, al tempo parte dell'Impero Austro Ungarico, un personaggio leggendario che ha rivoluzionato la logica. Nel triennio 1910-1913 i filosofi-matematici Bertrand Russell e Alfred North Whitehead avevano tentato una grande sintesi delle matematica, i «Principia Mathematica», in quattro volumi. Di questi ne apparvero solo tre, qualcuno chiese a Russell per quale ragione si fosse interrotta la collaborazione. Russel rispose che "Whitehead mi considerava arrogante e io pensavo che avesse idee confuse". Come ben mi disse Freeman Dyson che li aveva conosciuti bene ambedue avevano ragione. Goedel diventò famoso per il suo teorema di incompletezza della logica matematica apparso nel 1931: "über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme". Il lavoro è lungo solo qualche decina di pagine ma distrusse alle fondamenta i «Principia», da molti ribattezzati come il "Diplococo" un dinosauro del giurassico ormai estinto. Grosso modo i linguaggi matematici formali sono basati su una lista di simboli e da assiomi con cui si possono definire e manipolare simboli, creare un linguaggio formale e chiedersi se una formula espressa in questo linguaggio è vera oppure no. Per secoli i matematici sono andati avanti con l'idea fissa che fosse sempre possibile stabilire la validità di una formula in un qualsiasi linguaggio formale. Goedel distrusse alle fondamenta la speranza su cui si basava il diplococo. Un linguaggio formale che non sia banale contiene sempre proposizioni indecidibili di cui non è possibile dimostrare se sono vere o false. Se queste proposizioni vengono decise con un atto di forza si ottiene un nuovo formalismo ampliato che contiene nuove proposizioni indecidibili. Il processo non ha fine. Sempre nel 1931 Godel incontrò a Bad Elster Zermelo, grande logico matematico dell'epoca. Olga Taussky-Todd, che fu testimone dell'incontro scrisse: "Il guaio con Zermelo fu che pensava di avere ottenuto lui stesso i risultati di Goedel ... l'incontro pacifico tra Zermelo e Goedel... non fu l'inizio di una collaborazione scientifica tra i due logici..." . Hitler salì al potere nel 1933, Godel non era interessato alla politica ma temette essere chiamato sotto le armi dopo l'Anschluss in cui l'Austria diventò parte del Terzo Reich, riuscì infine a lasciare l'Austria e ad arrivare negli USA dopo un avventuroso viaggio attraverso Russia e Giappone. Non mi consta che sia mai ritornato in Europa. Quando era ancora in Austria circolava la voce che fosse ebreo, non lo era ma a Vienna fu anche aggredito da una gang di nazisti. Goedel non aveva praticamente vita sociale, poco dopo il mio arrivo a Princeton fui invitato a cena a casa di Oppenheimer e trovai Godel seduto alla mia sinistra, alla destra giunse George Kennan, ambasciatore degli Stati Uniti nell’Unione Sovietica al tempo della morte di Stalin. Fu quasi impossibile conversare con Goedel. Quando citai Bertrand Russel mi rispose gelido "non penso granché di lui". Mi consolai con Kennan e Oppenheimer, favolosi chiacchieroni; mi consta fra l'altro che Kennan sia ancora vivo e ultracentenario. Sin dai tempi di Vienna Goedel era afflitto da crisi di depressione e alla fine il suo stato di salute era peggiorato anche dalla scarsa fiducia che riponeva nel personale medico e dalla convinzione che qualcuno volesse avvelenarlo. Alla fine rifiutava il cibo e morì letteralmente di fame il 14 gennaio 1978. Mi rimane la consolazione di avere visto da vicino l'Aristotele del XX secolo.
vescovi e laici, in Italia e in Spagna
Repubblica 29.9.04
LA POLEMICA
Interviene la Cei. Oggi conteggio delle firme per il referendum
"C'è un clima antireligioso sulla procreazione assistita"
(m. fv.)
ROMA - L´ultimo giorno è anche quello della polemica della Chiesa. La chiusura ufficiale della campagna referendaria contro la legge sulla fecondazione assistita coincide con la presa di posizione della Conferenza episcopale. «C´è una forte preoccupazione per il clima antireligioso creato attorno alla legge sulla fecondazione»: così ieri monsignor Giuseppe Betori, segretario della Cei, ha espresso la posizione dei vescovi non sul referendum («che ancora non c´è - ha detto - e sul quale un giudizio sarebbe prematuro») ma «sul clima che si è creato nel proporlo».
Un giudizio seccamente respinto dai referendari: «La Chiesa non può intervenire», dice Franco Giordano di Rifondazione. Identica la posizione di Radicali e Pdci. Per lo Sdi, «la Cei contesta lo strumento referendario» che, invece, «è, in questo momento, l´unica strada che porta alle proposte migliorative di una legge inaccettabile», aggiunge Barbara Pollastrini, dei Ds. Ma nemmeno la revisione parlamentare della legge risponderebbe alle esigenze della Chiesa: «Dal punto di vista dell´etica cattolica - sostiene monsignor Betori - la legge è già di per sé insufficiente. Il Parlamento l´ha approvata, sta al Parlamento vedere cosa vorrà fare successivamente».
Sui possibili miglioramenti della legge in Parlamento botta e risposta nella maggioranza tra Luca Volontè, Udc, e il repubblicano Antonio Del Pennino: «Credo che la legge 40 possa essere corretta e migliorata - dice Volontè - altrimenti si lascia il far west». «Ora che è certo il raggiungimento del quorum per il referendum - gli risponde Del Pennino - anche Volontè si aggiunge ai volenterosi per migliorare la legge. Ma non è credibile che il Parlamento faccia questo passo».
La posizione dei vescovi non ha impedito ai comitati referendari di portare avanti, ieri, la raccolta negli ultimi banchetti allestiti in tutta Italia. Oggi conteggio definitivo delle firme valide. Questo pomeriggio poi, a Roma, manifestazione dei radicali da Porta Pia a piazza Cavour, sede della Cassazione, dove domattina verranno consegnate le firme raccolte sui cinque referendum. «Si profila un successo storico per quantità e qualità su tutti i quesiti», sottolinea Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani. E sempre oggi, genetisti ed embriologi illustreranno al Comitato di bioetica, un documento che si pone come possibile mediazione sui punti più dibattuti della legge 40.
Repubblica 29.9.04
Il clero protesta per le iniziative del premier spagnolo, dall'aborto al divorzio, dall'eutanasia al matrimonio tra omosessuali
Zapatero-Chiesa, è scontro aperto
La legge sull'ora di religione fa infuriare i vescovi: "Virus laicista"
Ma secondo il governo socialista i cattolici godrebbero di "troppi privilegi ingiustificati"
ALESSANDRO OPPES
MADRID - Sarà facoltativa e non verrà tenuta in considerazione nella valutazione finale dell´alunno. Il progetto del governo Zapatero sull´ora di religione a scuola irrita profondamente la Chiesa cattolica, e capovolge il senso della legge varata appena un anno fa da Aznar, che non ha fatto neppure in tempo a entrare in vigore. E´ solo l´ultima tappa di uno scontro a tutto campo che oppone la gerarchia ecclesiastica all´esecutivo socialista: dal divorzio all´aborto, dall´eutanasia al finanziamento del clero. Ad ogni nuova iniziativa legislativa annunciata dalla Moncloa, la Conferenza episcopale risponde con una levata di scudi, con un richiamo alle «radici cristiane della Spagna». Ma il confronto diventerà ancora più aspro a partire da venerdì prossimo, quando in Consiglio dei ministri verrà presentato il progetto di legge per il riconoscimento dei matrimoni omosessuali: una modifica del codice civile consentirà di equiparare dal punto di vista legale le unioni gay a quelle tra uomo e donna, con tanto di diritto all´adozione. Per il portavoce dei vescovi, in questo modo «si introduce un virus nella società». E dal Vaticano, un cardinale di Curia spagnolo, Julián Herranz, denuncia il «fondamentalismo laicista» che starebbe caratterizzando l´azione del governo del Psoe.
Ma Zapatero difende le sue scelte semplicemente con l´esigenza di dare un´impronta più «laica», aconfessionale, e non «laicista» allo Stato, mettendo fine a una serie di vantaggi e privilegi dei quali goderebbe, secondo l´esecutivo socialista, la Chiesa cattolica. Per questo il governo ha varato una sorta di "roadmap" in vari punti - come l´ha definita un quotidiano - ma il timore di uno scontro a tutto campo ha consigliato un ricorso almeno parziale alla prudenza. Ad esempio sul tema dell´aborto: il Psoe aveva annunciato subito dopo le elezioni una riforma della legge che doveva permettere di depenalizzare l´aborto già nelle prime settimane di gravidanza. Quando il progetto è arrivato nei giorni scorsi in Parlamento, portato da Izquierda Unida, i socialisti hanno deciso un rinvio al 2005. E così pure sul finanziamento del clero. A parte lo 0,5 per cento dell´Irpef che i contribuenti possono destinare alla Chiesa, l´episcopato gode anche di un sostegno economico di 600 milioni di euro l´anno previsto dal bilancio dello Stato. Un «privilegio» al quale Zapatero sostiene di voler mettere fine. Ma per il momento non lo farà. Se ne riparlerà più avanti, nel corso della legislatura. Rinvio, infine, anche per l´eutanasia: l´idea di depenalizzarla verrà ripresa in considerazione solo il prossimo anno.
Un duro colpo per la Chiesa è venuto invece dalla riforma della legge sul divorzio, presentata la settimana scorsa in Consiglio dei ministri: prevede la soppressione della separazione e la possibilità di chiedere lo scioglimento dell´unione matrimoniale già tre mesi dopo la celebrazione delle nozze. Divorzio rapido: saranno sufficienti poche settimane, o comunque un massimo di sei mesi.
Repubblica 29.9.04
"Un'altra promessa mantenuta ora sarà battaglia nel paese"
l'appello La Chiesa ha fatto un appello ai cattolici e ai deputati: votate contro la legge sul divorzio
l'impegno Il premier ha detto: "E´ il momento che i politici mantengano la parola data"
Parla il direttore di "El País": "Gli spagnoli approvano le riforme del premier"
DAL NOSTRO INVIATO
PAOLO GARIMBERTI
MADRID - Jesus Ceberio, come direttore di El País in che modo spiega le decisioni che ha preso Zapatero per cambiare la società spagnola? Lei pensa che stia facendo un vero e proprio strappo con il passato?
«Zapatero è il primo politico spagnolo che arriva al governo senza aver vissuto l´esperienza della transizione post-franchista e dunque senza la paura dei politici che lo hanno preceduto e che hanno appunto vissuto questa transizione: la paura cioè dei militari da un lato e della Chiesa dall´altro, che sono sempre stati elementi particolarmente condizionanti nella società spagnola. Zapatero era un adolescente all´epoca della transizione, è un prodotto della democrazia spagnola, un puro prodotto di questa democrazia, e credo che sia un uomo molto sensibile a tutte le questioni che riguardano l´eguaglianza dei sessi, i diritti delle donne, le libertà civili, le libertà degli omosessuali. Il pacchetto di decisioni e di misure legislative che ha preparato vanno in questa direzione. E´ anche un politico che mantiene quello che ha promesso. Perciò è importante, dopo l´esperienza di Aznar, quello che sta facendo adesso Zapatero. Nell´ultima intervista che gli ho fatto prima delle elezioni mi ha detto: ora è il momento di mantenere la parola data, è il momento che i politici mantengano le promesse fatte ai cittadini. Una convinzione che lui ha profondamente interiorizzato».
Ma la società spagnola come reagisce a queste decisioni di Zapatero? E´ scossa o le approva?
«El País ha fatto recentemente un sondaggio su tutte le decisioni del governo: il 55-60 per cento degli intervistati le ha approvate. Anche le decisioni che il governo sta applicando sull´insegnamento della religione incontrano l´approvazione della maggioranza degli spagnoli. Con il Partito popolare, la Chiesa aveva preteso che la religione fosse considerata una materia non solo di insegnamento ma anche di valutazione scolastica. Zapatero ha sospeso l´applicazione di questa norma e da questo può derivarne uno scontro molto duro con la Chiesa».
Ecco, appunto la reazione della Chiesa è stata molto critica e molto negativa. Lei pensa che questo sarà un problema in una società considerata molto cattolica come quella spagnola?
«Penso che la risposta sarà molto dura. La Chiesa ha fatto appello ai cattolici e anche ai deputati affinché votino contro la legge sul divorzio, contro la legge sul matrimonio dei gay e contro tutte le proposte del governo che sono contrarie alla dottrina della Chiesa. Io prevedo che lo scontro sarà durissimo».
Essendo la Spagna un paese considerato molto cattolico e molto attento alle indicazioni della Chiesa questo potrà creare un problema politico?
«In Spagna il 90 per cento della popolazione si dichiara cattolica ma in realtà soltanto un terzo della popolazione destina lo 0,5 per cento delle imposte alla Chiesa cattolica. Questo creerà un problema di finanziamento per la Chiesa, perché era il governo che pensava a dare alle istituzioni ecclesiastiche i fondi che esse non riuscivano a ricevere attraverso la devoluzione delle imposte. Penso che questa sia una delle grandi paure che prova la Chiesa oggi nel confronto con il governo Zapatero».
In conclusione, lei considera che Zapatero rappresenti veramente una svolta nella democrazia spagnola, che egli rappresenti la nuova Spagna?
«Be´, certamente è stata avviata un´era in cui il governo ha forse il coraggio di realizzare con naturalezza tutto quello che i governi precedenti non avevano osato fare. Questa è la vera novità rappresentata da Zapatero».
Repubblica 29.9.04
Avvenire attacca: "Psoe anticlericale"
Dura la critica del quotidiano Avvenire al governo Zapatero, che in sei mesi «ha rimesso in discussione praticamente tutti i punti della legislazione spagnola che hanno a che fare con la visione antropologica della persona e della società» L´editoriale di Giuseppe Savagnone ieri ha parlato di «ossessione nichilista» e di «anticlericalismo»
LA POLEMICA
Interviene la Cei. Oggi conteggio delle firme per il referendum
"C'è un clima antireligioso sulla procreazione assistita"
(m. fv.)
ROMA - L´ultimo giorno è anche quello della polemica della Chiesa. La chiusura ufficiale della campagna referendaria contro la legge sulla fecondazione assistita coincide con la presa di posizione della Conferenza episcopale. «C´è una forte preoccupazione per il clima antireligioso creato attorno alla legge sulla fecondazione»: così ieri monsignor Giuseppe Betori, segretario della Cei, ha espresso la posizione dei vescovi non sul referendum («che ancora non c´è - ha detto - e sul quale un giudizio sarebbe prematuro») ma «sul clima che si è creato nel proporlo».
Un giudizio seccamente respinto dai referendari: «La Chiesa non può intervenire», dice Franco Giordano di Rifondazione. Identica la posizione di Radicali e Pdci. Per lo Sdi, «la Cei contesta lo strumento referendario» che, invece, «è, in questo momento, l´unica strada che porta alle proposte migliorative di una legge inaccettabile», aggiunge Barbara Pollastrini, dei Ds. Ma nemmeno la revisione parlamentare della legge risponderebbe alle esigenze della Chiesa: «Dal punto di vista dell´etica cattolica - sostiene monsignor Betori - la legge è già di per sé insufficiente. Il Parlamento l´ha approvata, sta al Parlamento vedere cosa vorrà fare successivamente».
Sui possibili miglioramenti della legge in Parlamento botta e risposta nella maggioranza tra Luca Volontè, Udc, e il repubblicano Antonio Del Pennino: «Credo che la legge 40 possa essere corretta e migliorata - dice Volontè - altrimenti si lascia il far west». «Ora che è certo il raggiungimento del quorum per il referendum - gli risponde Del Pennino - anche Volontè si aggiunge ai volenterosi per migliorare la legge. Ma non è credibile che il Parlamento faccia questo passo».
La posizione dei vescovi non ha impedito ai comitati referendari di portare avanti, ieri, la raccolta negli ultimi banchetti allestiti in tutta Italia. Oggi conteggio definitivo delle firme valide. Questo pomeriggio poi, a Roma, manifestazione dei radicali da Porta Pia a piazza Cavour, sede della Cassazione, dove domattina verranno consegnate le firme raccolte sui cinque referendum. «Si profila un successo storico per quantità e qualità su tutti i quesiti», sottolinea Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani. E sempre oggi, genetisti ed embriologi illustreranno al Comitato di bioetica, un documento che si pone come possibile mediazione sui punti più dibattuti della legge 40.
Repubblica 29.9.04
Il clero protesta per le iniziative del premier spagnolo, dall'aborto al divorzio, dall'eutanasia al matrimonio tra omosessuali
Zapatero-Chiesa, è scontro aperto
La legge sull'ora di religione fa infuriare i vescovi: "Virus laicista"
Ma secondo il governo socialista i cattolici godrebbero di "troppi privilegi ingiustificati"
ALESSANDRO OPPES
MADRID - Sarà facoltativa e non verrà tenuta in considerazione nella valutazione finale dell´alunno. Il progetto del governo Zapatero sull´ora di religione a scuola irrita profondamente la Chiesa cattolica, e capovolge il senso della legge varata appena un anno fa da Aznar, che non ha fatto neppure in tempo a entrare in vigore. E´ solo l´ultima tappa di uno scontro a tutto campo che oppone la gerarchia ecclesiastica all´esecutivo socialista: dal divorzio all´aborto, dall´eutanasia al finanziamento del clero. Ad ogni nuova iniziativa legislativa annunciata dalla Moncloa, la Conferenza episcopale risponde con una levata di scudi, con un richiamo alle «radici cristiane della Spagna». Ma il confronto diventerà ancora più aspro a partire da venerdì prossimo, quando in Consiglio dei ministri verrà presentato il progetto di legge per il riconoscimento dei matrimoni omosessuali: una modifica del codice civile consentirà di equiparare dal punto di vista legale le unioni gay a quelle tra uomo e donna, con tanto di diritto all´adozione. Per il portavoce dei vescovi, in questo modo «si introduce un virus nella società». E dal Vaticano, un cardinale di Curia spagnolo, Julián Herranz, denuncia il «fondamentalismo laicista» che starebbe caratterizzando l´azione del governo del Psoe.
Ma Zapatero difende le sue scelte semplicemente con l´esigenza di dare un´impronta più «laica», aconfessionale, e non «laicista» allo Stato, mettendo fine a una serie di vantaggi e privilegi dei quali goderebbe, secondo l´esecutivo socialista, la Chiesa cattolica. Per questo il governo ha varato una sorta di "roadmap" in vari punti - come l´ha definita un quotidiano - ma il timore di uno scontro a tutto campo ha consigliato un ricorso almeno parziale alla prudenza. Ad esempio sul tema dell´aborto: il Psoe aveva annunciato subito dopo le elezioni una riforma della legge che doveva permettere di depenalizzare l´aborto già nelle prime settimane di gravidanza. Quando il progetto è arrivato nei giorni scorsi in Parlamento, portato da Izquierda Unida, i socialisti hanno deciso un rinvio al 2005. E così pure sul finanziamento del clero. A parte lo 0,5 per cento dell´Irpef che i contribuenti possono destinare alla Chiesa, l´episcopato gode anche di un sostegno economico di 600 milioni di euro l´anno previsto dal bilancio dello Stato. Un «privilegio» al quale Zapatero sostiene di voler mettere fine. Ma per il momento non lo farà. Se ne riparlerà più avanti, nel corso della legislatura. Rinvio, infine, anche per l´eutanasia: l´idea di depenalizzarla verrà ripresa in considerazione solo il prossimo anno.
Un duro colpo per la Chiesa è venuto invece dalla riforma della legge sul divorzio, presentata la settimana scorsa in Consiglio dei ministri: prevede la soppressione della separazione e la possibilità di chiedere lo scioglimento dell´unione matrimoniale già tre mesi dopo la celebrazione delle nozze. Divorzio rapido: saranno sufficienti poche settimane, o comunque un massimo di sei mesi.
Repubblica 29.9.04
"Un'altra promessa mantenuta ora sarà battaglia nel paese"
l'appello La Chiesa ha fatto un appello ai cattolici e ai deputati: votate contro la legge sul divorzio
l'impegno Il premier ha detto: "E´ il momento che i politici mantengano la parola data"
Parla il direttore di "El País": "Gli spagnoli approvano le riforme del premier"
DAL NOSTRO INVIATO
PAOLO GARIMBERTI
MADRID - Jesus Ceberio, come direttore di El País in che modo spiega le decisioni che ha preso Zapatero per cambiare la società spagnola? Lei pensa che stia facendo un vero e proprio strappo con il passato?
«Zapatero è il primo politico spagnolo che arriva al governo senza aver vissuto l´esperienza della transizione post-franchista e dunque senza la paura dei politici che lo hanno preceduto e che hanno appunto vissuto questa transizione: la paura cioè dei militari da un lato e della Chiesa dall´altro, che sono sempre stati elementi particolarmente condizionanti nella società spagnola. Zapatero era un adolescente all´epoca della transizione, è un prodotto della democrazia spagnola, un puro prodotto di questa democrazia, e credo che sia un uomo molto sensibile a tutte le questioni che riguardano l´eguaglianza dei sessi, i diritti delle donne, le libertà civili, le libertà degli omosessuali. Il pacchetto di decisioni e di misure legislative che ha preparato vanno in questa direzione. E´ anche un politico che mantiene quello che ha promesso. Perciò è importante, dopo l´esperienza di Aznar, quello che sta facendo adesso Zapatero. Nell´ultima intervista che gli ho fatto prima delle elezioni mi ha detto: ora è il momento di mantenere la parola data, è il momento che i politici mantengano le promesse fatte ai cittadini. Una convinzione che lui ha profondamente interiorizzato».
Ma la società spagnola come reagisce a queste decisioni di Zapatero? E´ scossa o le approva?
«El País ha fatto recentemente un sondaggio su tutte le decisioni del governo: il 55-60 per cento degli intervistati le ha approvate. Anche le decisioni che il governo sta applicando sull´insegnamento della religione incontrano l´approvazione della maggioranza degli spagnoli. Con il Partito popolare, la Chiesa aveva preteso che la religione fosse considerata una materia non solo di insegnamento ma anche di valutazione scolastica. Zapatero ha sospeso l´applicazione di questa norma e da questo può derivarne uno scontro molto duro con la Chiesa».
Ecco, appunto la reazione della Chiesa è stata molto critica e molto negativa. Lei pensa che questo sarà un problema in una società considerata molto cattolica come quella spagnola?
«Penso che la risposta sarà molto dura. La Chiesa ha fatto appello ai cattolici e anche ai deputati affinché votino contro la legge sul divorzio, contro la legge sul matrimonio dei gay e contro tutte le proposte del governo che sono contrarie alla dottrina della Chiesa. Io prevedo che lo scontro sarà durissimo».
Essendo la Spagna un paese considerato molto cattolico e molto attento alle indicazioni della Chiesa questo potrà creare un problema politico?
«In Spagna il 90 per cento della popolazione si dichiara cattolica ma in realtà soltanto un terzo della popolazione destina lo 0,5 per cento delle imposte alla Chiesa cattolica. Questo creerà un problema di finanziamento per la Chiesa, perché era il governo che pensava a dare alle istituzioni ecclesiastiche i fondi che esse non riuscivano a ricevere attraverso la devoluzione delle imposte. Penso che questa sia una delle grandi paure che prova la Chiesa oggi nel confronto con il governo Zapatero».
In conclusione, lei considera che Zapatero rappresenti veramente una svolta nella democrazia spagnola, che egli rappresenti la nuova Spagna?
«Be´, certamente è stata avviata un´era in cui il governo ha forse il coraggio di realizzare con naturalezza tutto quello che i governi precedenti non avevano osato fare. Questa è la vera novità rappresentata da Zapatero».
Repubblica 29.9.04
Avvenire attacca: "Psoe anticlericale"
Dura la critica del quotidiano Avvenire al governo Zapatero, che in sei mesi «ha rimesso in discussione praticamente tutti i punti della legislazione spagnola che hanno a che fare con la visione antropologica della persona e della società» L´editoriale di Giuseppe Savagnone ieri ha parlato di «ossessione nichilista» e di «anticlericalismo»
martedì 28 settembre 2004
Cina:
la Società cinese di psicologia
Panorama 27 settembre 2004
Dopo Confucio e Mao tutti da Freud
di Angelo Sica
Nell'ultima indagine nazionale, la Società cinese di psicologia ha rilevato che, nelle aree metropolitane, il numero dei divorzi ha avuto un'impennata, sono aumentati gli episodi di violenza e il suicidio è diventata la principale causa di morte tra i giovani
Il bisogno di psicoanalisi rispecchia i cambiamenti epocali che stanno ridisegnando la società cinese. Nei sondaggi un terzo del campione si è dichiarato frustrato, pieno di rabbia, oppure apatico. Il senso di insicurezza si è diffuso durante l'epidemia della sars, ma debellata la malattia, è rimasta l'ansia.
Confucio, Mao e adesso Freud. Il bisogno di psicoanalisi rispecchia i cambiamenti epocali che stanno ridisegnando la società cinese. Come il paese si è lasciato alle spalle la pianificazione economica per avventurarsi nel libero mercato; così la popolazione urbana, protagonista della new economy cinese, ha scoperto lo shock della competizione e dello stress. Sradicati dai tradizionali valori dell'autocontrollo, dell'efficienza, della fiducia nella comunità, impauriti dalla sars, messi a confronto con il consumismo, i cinesi si ritrovano depressi sul lettino mentre chiedono allo psicologo un nuovo equilibrio.
AUMENTO DEI DIVORZI E DEI SUICIDI
Nell'ultima indagine nazionale la Società cinese di psicologia ha rilevato che, nelle aree metropolitane, il numero dei divorzi, da sempre modestissimo, ha avuto un'impennata; sono aumentati gli episodi di violenza; il suicidio è diventata la principale causa di morte tra i giovani. Inoltre, nelle interviste, un terzo del campione si è dichiarato frustrato, pieno di rabbia, oppure apatico. Il senso di insicurezza si è diffuso durante l'epidemia della sars, ma debellata la malattia, è rimasta l'ansia.
Secondo gli studiosi, nelle giovani generazioni l'instabilità è dovuta dalla particolare forma che ha assunto la famiglia cinese per effetto della politica demografica.
TROPPI FIGLI UNICI
La limitazione di un solo figlio, imposta alle coppie da Deng Xiaoping nel 1979 per combattere la sovrappopolazione, ha creato una schiera di figli unici protetti, viziati, ipercoccolati tra le mura domestiche. I "piccoli imperatori e imperatrici", come vengono definiti dai sociologi, mancano di educazione alla socialità ed entrano in depressione appena interagiscono con l'ambiente competitivo che trovano a scuola o nel luogo di lavoro. Telefonano agli ospedali in cerca di un aiuto specialistico. Navigano su internet per mettersi in contatto (e in cura online) con studi terapeutici negli Usa. Consumano Prozac come se fosse Aspirina (dal 2001 le vendite dell'antidepressivo sono quasi raddoppiate).
AUTODIDATTI IN CERCA DI FACILI GUADAGNI
Per far passare l'ansia di un esame scolastico i genitori dei "piccoli imperatori" sono disposti a pagare uno psicologo anche 240 dollari l'ora. Nata dal nulla, l'industria terapeutica è un mercato in espansione: prolifera la vendita di medicinali; spuntano schiere di psicologi autodidatti in cerca di facili guadagni. Per correre ai ripari il governo cinese ha finalmente sdoganato Sigmund Freud, figura oscurata per quarant'anni dall'ombra di Mao Zedong. Dal 1966, infatti, la rivoluzione culturale etichettò la psicologia come pseudoscienza inventata dal capitalismo espansionista. Fino alla fine degli anni Settanta i comunisti intransigenti vietarono la ricerca, distrussero intere bibliografie, obbligarono gli studiosi a lasciare le università per allevare i maiali nei campi. Dopo l'entrata nel libero mercato e l'epidemia di sars la situazione si è capovolta.
4 MILA LAUREATI L'ANNO
Un rapporto governativo identifica la psicologia come una delle sei discipline che nei prossimi due decenni godranno di priorità nello stanziamento di fondi strategici allo sviluppo. Dal 2000 le università del paese hanno raddoppiato i dipartimenti di psicologia e riescono ora a laureare circa 4 mila studenti l'anno. Nel 2003 il ministro del Lavoro e della sicurezza sociale ha fissato regole nazionali per praticare la professione, rilasciando in un anno oltre tremila licenze. L'agosto scorso Pechino ha ospitato una conferenza internazionale sulla psicologia, la prima dedicata a questa disciplina in Cina.
COME VIENE GIUDICATO L'AMORE PER IL RISCHIO
Nella conferenza di Pechino gli accademici si sono trovati d'accordo sul prossimo obiettivo: trovare la "via cinese" alla psicoanalisi, creare cioè un modello di cura conciliabile con la cultura, la mentalità, la sensibilità nazionale. «La personalità è alla base della psicoterapia» spiega Wang Dengfeng, professore universitario della capitale, «la teoria occidentale della personalità non può essere valida in Cina. I popoli di culture così differenti pensano e si comportano in modo diverso. Ad esempio, una persona che ama il rischio è considerato un estroverso secondo i canoni occidentali. Questo è un giudizio positivo, un riconoscimento della fiducia in se stessi. In Cina vale il contrario. Una persona che ama il rischio viene considerata troppo emotiva, incapace di autocontrollo. In definitiva, una personalità debole».
Dopo Confucio e Mao tutti da Freud
di Angelo Sica
Nell'ultima indagine nazionale, la Società cinese di psicologia ha rilevato che, nelle aree metropolitane, il numero dei divorzi ha avuto un'impennata, sono aumentati gli episodi di violenza e il suicidio è diventata la principale causa di morte tra i giovani
Il bisogno di psicoanalisi rispecchia i cambiamenti epocali che stanno ridisegnando la società cinese. Nei sondaggi un terzo del campione si è dichiarato frustrato, pieno di rabbia, oppure apatico. Il senso di insicurezza si è diffuso durante l'epidemia della sars, ma debellata la malattia, è rimasta l'ansia.
Confucio, Mao e adesso Freud. Il bisogno di psicoanalisi rispecchia i cambiamenti epocali che stanno ridisegnando la società cinese. Come il paese si è lasciato alle spalle la pianificazione economica per avventurarsi nel libero mercato; così la popolazione urbana, protagonista della new economy cinese, ha scoperto lo shock della competizione e dello stress. Sradicati dai tradizionali valori dell'autocontrollo, dell'efficienza, della fiducia nella comunità, impauriti dalla sars, messi a confronto con il consumismo, i cinesi si ritrovano depressi sul lettino mentre chiedono allo psicologo un nuovo equilibrio.
AUMENTO DEI DIVORZI E DEI SUICIDI
Nell'ultima indagine nazionale la Società cinese di psicologia ha rilevato che, nelle aree metropolitane, il numero dei divorzi, da sempre modestissimo, ha avuto un'impennata; sono aumentati gli episodi di violenza; il suicidio è diventata la principale causa di morte tra i giovani. Inoltre, nelle interviste, un terzo del campione si è dichiarato frustrato, pieno di rabbia, oppure apatico. Il senso di insicurezza si è diffuso durante l'epidemia della sars, ma debellata la malattia, è rimasta l'ansia.
Secondo gli studiosi, nelle giovani generazioni l'instabilità è dovuta dalla particolare forma che ha assunto la famiglia cinese per effetto della politica demografica.
TROPPI FIGLI UNICI
La limitazione di un solo figlio, imposta alle coppie da Deng Xiaoping nel 1979 per combattere la sovrappopolazione, ha creato una schiera di figli unici protetti, viziati, ipercoccolati tra le mura domestiche. I "piccoli imperatori e imperatrici", come vengono definiti dai sociologi, mancano di educazione alla socialità ed entrano in depressione appena interagiscono con l'ambiente competitivo che trovano a scuola o nel luogo di lavoro. Telefonano agli ospedali in cerca di un aiuto specialistico. Navigano su internet per mettersi in contatto (e in cura online) con studi terapeutici negli Usa. Consumano Prozac come se fosse Aspirina (dal 2001 le vendite dell'antidepressivo sono quasi raddoppiate).
AUTODIDATTI IN CERCA DI FACILI GUADAGNI
Per far passare l'ansia di un esame scolastico i genitori dei "piccoli imperatori" sono disposti a pagare uno psicologo anche 240 dollari l'ora. Nata dal nulla, l'industria terapeutica è un mercato in espansione: prolifera la vendita di medicinali; spuntano schiere di psicologi autodidatti in cerca di facili guadagni. Per correre ai ripari il governo cinese ha finalmente sdoganato Sigmund Freud, figura oscurata per quarant'anni dall'ombra di Mao Zedong. Dal 1966, infatti, la rivoluzione culturale etichettò la psicologia come pseudoscienza inventata dal capitalismo espansionista. Fino alla fine degli anni Settanta i comunisti intransigenti vietarono la ricerca, distrussero intere bibliografie, obbligarono gli studiosi a lasciare le università per allevare i maiali nei campi. Dopo l'entrata nel libero mercato e l'epidemia di sars la situazione si è capovolta.
4 MILA LAUREATI L'ANNO
Un rapporto governativo identifica la psicologia come una delle sei discipline che nei prossimi due decenni godranno di priorità nello stanziamento di fondi strategici allo sviluppo. Dal 2000 le università del paese hanno raddoppiato i dipartimenti di psicologia e riescono ora a laureare circa 4 mila studenti l'anno. Nel 2003 il ministro del Lavoro e della sicurezza sociale ha fissato regole nazionali per praticare la professione, rilasciando in un anno oltre tremila licenze. L'agosto scorso Pechino ha ospitato una conferenza internazionale sulla psicologia, la prima dedicata a questa disciplina in Cina.
COME VIENE GIUDICATO L'AMORE PER IL RISCHIO
Nella conferenza di Pechino gli accademici si sono trovati d'accordo sul prossimo obiettivo: trovare la "via cinese" alla psicoanalisi, creare cioè un modello di cura conciliabile con la cultura, la mentalità, la sensibilità nazionale. «La personalità è alla base della psicoterapia» spiega Wang Dengfeng, professore universitario della capitale, «la teoria occidentale della personalità non può essere valida in Cina. I popoli di culture così differenti pensano e si comportano in modo diverso. Ad esempio, una persona che ama il rischio è considerato un estroverso secondo i canoni occidentali. Questo è un giudizio positivo, un riconoscimento della fiducia in se stessi. In Cina vale il contrario. Una persona che ama il rischio viene considerata troppo emotiva, incapace di autocontrollo. In definitiva, una personalità debole».
ancora sugli antidepressivi
ricevuto da Francesco Troccoli
First World
FDA likely to add black box warning for antidepressants
William Kanapaux
09/24/2004
Dr. Robert Temple, the director of the FDA's office of medical policy, told a congressional committee that the agency will likely require a black-box warning on all antidepressant drug labels, CBS MarketWatch and other news sources report. A final decision on how to handle the warnings of a possibility of suicide risk from antidepressant use could come within days or possibly weeks, he said. A panel of outside experts recommended earlier this month that the FDA highlight the risk in the most serious warning label. Temple said that the FDA is "thinking about" adding a black-box warning to labels of antidepressants but that the decision is "by no means final," CBS MarketWatch reports. He noted that some groups have expressed concern to the agency that a black-box warning may scare physicians away from prescribing antidepressants to patients who need them. The FDA could instead decide to use a bolded-print label for a similar effect, he said. Temple also said at the hearing of the investigations subcommittee of the U.S. House Energy and Commerce Committee that the agency kept one of its researchers from presenting findings about the possible suicide risk of antidepressants last February because the data were unclear and needed more analysis, reports news sources. "We didn't think the information was wrong. We just didn't think it was ripe yet. We thought the cases needed to be looked at before a conclusion was reached," he is quoted as saying in news sources. "A premature conclusion ... would be a disservice to the public health."
First World
FDA likely to add black box warning for antidepressants
William Kanapaux
09/24/2004
Dr. Robert Temple, the director of the FDA's office of medical policy, told a congressional committee that the agency will likely require a black-box warning on all antidepressant drug labels, CBS MarketWatch and other news sources report. A final decision on how to handle the warnings of a possibility of suicide risk from antidepressant use could come within days or possibly weeks, he said. A panel of outside experts recommended earlier this month that the FDA highlight the risk in the most serious warning label. Temple said that the FDA is "thinking about" adding a black-box warning to labels of antidepressants but that the decision is "by no means final," CBS MarketWatch reports. He noted that some groups have expressed concern to the agency that a black-box warning may scare physicians away from prescribing antidepressants to patients who need them. The FDA could instead decide to use a bolded-print label for a similar effect, he said. Temple also said at the hearing of the investigations subcommittee of the U.S. House Energy and Commerce Committee that the agency kept one of its researchers from presenting findings about the possible suicide risk of antidepressants last February because the data were unclear and needed more analysis, reports news sources. "We didn't think the information was wrong. We just didn't think it was ripe yet. We thought the cases needed to be looked at before a conclusion was reached," he is quoted as saying in news sources. "A premature conclusion ... would be a disservice to the public health."
le donne musulmane in Italia
Corriere della Sera 28.9.04
Aisha, Samira e le altre: la poligamia in Italia
Migliaia di donne musulmane senza tutele. «Abusi e violenze, la legge non ci protegge dalla sharia»
di Magdi Allam
ROMA - Poligamia, tanta violenza e un secco rifiuto di «concedere» il ripudio. Perché Aisha è una schiava dei nostri tempi: è costretta a lavorare duro per mantenere il marito-padrone, deve rassegnarsi a farsi sfruttare fino all’ultimo dei suoi giorni. Se non si concede, se disobbedisce, se si ribella, lui ammazza di botte lei e la figlia, prende in mano l’acido e minaccia di deturpare i loro volti, esibisce una tanica di benzina e promette di dare fuoco alla casa. Alla fine lei si è fatta coraggio e l’ha denunciato alla Polizia. Ma la risposta è stata raggelante: le autorità italiane non possono intervenire fintantoché lei non dimostri di aver divorziato. Anche se in realtà il loro è un matrimonio islamico non riconosciuto dal nostro Stato. Indifferenti al fatto che il divorzio a una donna musulmana viene concesso solo in casi straordinari. Eppure succede in Italia: fette, esigue ma significative, del vissuto sociale dei residenti musulmani sono sottratte alle nostre leggi, sono sottomesse ai dettami della sharia , la legge islamica. A pagarne le conse guenze sono soprattutto migliaia di donne musulmane. Se, come attesta un’inchiesta da me svolta nel 2001, l’1,5 per cento dei musulmani in Italia sono poligami, significa che abbiamo a che fare con 15 mila casi, considerando anche le situazioni nei paesi d’origine. Pochi rispetto al milione di musulmani residenti, troppi per ciò che comporta sul piano della violazione della legalità e dei diritti fondamentali della persona. Il paradosso è che tutto ciò avviene, da un lato, all’ombra di un’interpretazione miope e burocratica del diritto internazionale che salvaguarda la legislazione del Paese d’origine degli immigrati in materia di stato civile e, dall’altro, di un atteggiamento fin troppo accondiscendente dei nostri magistrati all’insegna di una singolare percezione del relativismo culturale. La sentenza del tribunale di Bologna del 13 marzo 2003 ha indirettamente riconosciuto il diritto alla poligamia in Italia, sostenendo che «il reato di bigamia può essere commesso solo dal cittadino italiano sul territorio nazionale essendo irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero la cui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni».
Ebbene sono proprio le donne musulmane, vittime dei mariti-padroni, a contestare l’assenza di una legge che le protegga e a invocare l’intervento dello Stato italiano: «Sono da vent’anni in Italia. Ho sempre lavorato onestamente nelle case di tanti italiani - racconta Aisha -. Ho implorato mio marito di ripudiarmi. Ma lui non vuole. Gli interessa solo sfruttarmi». La figlia Huda ha tredici anni, è nata in Italia, ha studiato in Italia, i suoi amici sono italiani, si sente italiana al cento per cento. Quando negli scorsi giorni Aisha, 43 anni, presa dalla disperazione è stata tentata di fuggire nella sua Tunisia, Huda l’ha implorata: «Mamma non voglio, io voglio vivere in Italia». Ed è così che Aisha si è decisa a rivolgersi alle autorità di sicurezza. Perché anche lei si sente italiana. Il suo sogno è ottenere la cittadinanza italiana, farsi tutelare dalle nostre leggi.
Il matrimonio con Mohammad, cittadino egiziano, da tempo disoccupato e tossicodipendente cronico, fu celebrato nel 1990 in un ufficio di attività varie, gestito da un somalo a Roma. Si trattò del cosiddetto matrimonio islamico «consuetudinario» ( zawaj urfi ), che non necessariamente deve essere registrato. Per l’Italia non ha alcun valore legale. Eppure, sullo stato di famiglia, Aisha e Mohammad risultano sposati. Esclusivamente sulla base della constatazione della residenza domiciliare operata da un vigile urbano. «Lui mi nascose il fatto che aveva già una moglie e due figli in Egitto», ricorda Aisha. «Per me fu uno choc. Anche perché ero appena venuta fuori da un altro matrimonio poligamico. Il mio primo marito era sempre egiziano. Pure lui quando ci sposammo nel 1985 celò l’esistenza di una prima moglie italiana, da cui aveva avuto una figlia. Ho imparato a mie spese che cosa significa la poligamia: menzogne, sfruttamento, sottomissione e violenze».
Aisha, con voce sommessa, rammenta come, assecondando l’incessante corteggiamento di Mohammad, sia stata costretta a rinunciare al suo primogenito Omar, oggi un bel diciottenne con cittadinanza italiana ottenuta dopo essere stato adottato dalla matrigna italiana. Per Aisha è stato un duro colpo: «Forse è stato meglio così. Se Omar fosse rimasto con me, chissà che brutta fine avrebbe fatto». Per spiegarsi meglio dice: «Un giorno ho scoperto Mohammad che versava una polverina bianca nel bicchiere dell’aranciata di Huda, dicendole di bere. Io mi sono opposta. E’ un uomo senza scrupoli, è una bestia. Sarebbe capace di dare in pasto la figlia agli avanzi di galera che frequenta, spacciatori e consumatori di droga. Più di una volta mi ha teso il coltello alla gola minacciando di sgozzarmi se non gli davo centinaia di euro per comprarsi la droga. Negli ultimi tempi ho dovuto chiamare l’ambulanza due volte perché aveva assunto una dose eccessiva di stupefacenti».
Oggi Huda si presenta come una ragazza fragile, dallo sguardo perso, succube di un trauma non metabolizzato, parla poco e con difficoltà. Come lei in Italia ci sono tantissimi figli di famiglie poligame abbandonati a se stessi, spesso maltrattati, talvolta sfruttati, comunque segnati da un’esperienza indelebile: «Dobbiamo recuperare questi ragazzi vittime della violenza familiare, predisporre un programma di rieducazione psichica e sociale - chiede Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle donne marocchine -; lancio un appello al ministro delle Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, perché intervenga a tutela dei figli e delle donne musulmane vittime della poligamia e della violenza».
Di fatto l’Italia è piena di casi simili. E anche di più strazianti. Samira, una tunisina residente a Torino, da più di dieci anni non vede i suoi due figli sottratti con la forza dal padre egiziano e nascosti nell’abitazione della sua seconda moglie in Egitto. Pure lei implora l’intervento dello Stato italiano per restituirle i figli. Nel frattempo è costretta a subire le vessazioni del marito che vive da parassita alle sue spalle nel nostro Paese. E da Nuoro la marocchina Halima, seconda moglie di un connazionale, ha preso il coraggio di denunciare il fatto che il marito, nullafacente, si fa mantenere da entrambe le consorti e le costringe a condividere la stessa casa. I consolati arabi in Italia conoscono centinaia di casi che coniugano la poligamia alla violenza. Ma preferiscono tacere. Contando anche sulla ritrosia delle autorità italiane a intervenire.
Questo fenomeno rivela come in realtà il conflitto tra le culture sia interno alla galassia islamica prima ancora di esserlo tra l’Islam e l’Occidente. Il maschilismo, la misoginia, il fanatismo e la violenza sono fortemente contrastati dalle donne e dagli uomini musulmani fautori dell’emancipazione femminile e dello Stato di diritto. Ed è singolare che proprio nel momento in cui la poligamia risulta in declino nei Paesi musulmani, perfino in quelli più conservatori come l’Arabia Saudita, guadagna invece terreno tra le comunità islamiche in Italia e nell’Occidente laico e cristiano. Facendo leva su condizioni di vita relativamente migliori e tollerata da interpretazioni benevole di codici giuridici ipergarantisti. I casi di Aisha, Samira e Halima devono farci riflettere. Aiutandole a emanciparsi dai mariti-padroni, aiuteremo noi stessi a liberarci da un cavallo di Troia integralista e fanatico che inquina la nostra libertà e il nostro Stato di diritto.
Magdi Allam www.corriere.it/allam
Aisha, Samira e le altre: la poligamia in Italia
Migliaia di donne musulmane senza tutele. «Abusi e violenze, la legge non ci protegge dalla sharia»
di Magdi Allam
ROMA - Poligamia, tanta violenza e un secco rifiuto di «concedere» il ripudio. Perché Aisha è una schiava dei nostri tempi: è costretta a lavorare duro per mantenere il marito-padrone, deve rassegnarsi a farsi sfruttare fino all’ultimo dei suoi giorni. Se non si concede, se disobbedisce, se si ribella, lui ammazza di botte lei e la figlia, prende in mano l’acido e minaccia di deturpare i loro volti, esibisce una tanica di benzina e promette di dare fuoco alla casa. Alla fine lei si è fatta coraggio e l’ha denunciato alla Polizia. Ma la risposta è stata raggelante: le autorità italiane non possono intervenire fintantoché lei non dimostri di aver divorziato. Anche se in realtà il loro è un matrimonio islamico non riconosciuto dal nostro Stato. Indifferenti al fatto che il divorzio a una donna musulmana viene concesso solo in casi straordinari. Eppure succede in Italia: fette, esigue ma significative, del vissuto sociale dei residenti musulmani sono sottratte alle nostre leggi, sono sottomesse ai dettami della sharia , la legge islamica. A pagarne le conse guenze sono soprattutto migliaia di donne musulmane. Se, come attesta un’inchiesta da me svolta nel 2001, l’1,5 per cento dei musulmani in Italia sono poligami, significa che abbiamo a che fare con 15 mila casi, considerando anche le situazioni nei paesi d’origine. Pochi rispetto al milione di musulmani residenti, troppi per ciò che comporta sul piano della violazione della legalità e dei diritti fondamentali della persona. Il paradosso è che tutto ciò avviene, da un lato, all’ombra di un’interpretazione miope e burocratica del diritto internazionale che salvaguarda la legislazione del Paese d’origine degli immigrati in materia di stato civile e, dall’altro, di un atteggiamento fin troppo accondiscendente dei nostri magistrati all’insegna di una singolare percezione del relativismo culturale. La sentenza del tribunale di Bologna del 13 marzo 2003 ha indirettamente riconosciuto il diritto alla poligamia in Italia, sostenendo che «il reato di bigamia può essere commesso solo dal cittadino italiano sul territorio nazionale essendo irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero la cui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni».
Ebbene sono proprio le donne musulmane, vittime dei mariti-padroni, a contestare l’assenza di una legge che le protegga e a invocare l’intervento dello Stato italiano: «Sono da vent’anni in Italia. Ho sempre lavorato onestamente nelle case di tanti italiani - racconta Aisha -. Ho implorato mio marito di ripudiarmi. Ma lui non vuole. Gli interessa solo sfruttarmi». La figlia Huda ha tredici anni, è nata in Italia, ha studiato in Italia, i suoi amici sono italiani, si sente italiana al cento per cento. Quando negli scorsi giorni Aisha, 43 anni, presa dalla disperazione è stata tentata di fuggire nella sua Tunisia, Huda l’ha implorata: «Mamma non voglio, io voglio vivere in Italia». Ed è così che Aisha si è decisa a rivolgersi alle autorità di sicurezza. Perché anche lei si sente italiana. Il suo sogno è ottenere la cittadinanza italiana, farsi tutelare dalle nostre leggi.
Il matrimonio con Mohammad, cittadino egiziano, da tempo disoccupato e tossicodipendente cronico, fu celebrato nel 1990 in un ufficio di attività varie, gestito da un somalo a Roma. Si trattò del cosiddetto matrimonio islamico «consuetudinario» ( zawaj urfi ), che non necessariamente deve essere registrato. Per l’Italia non ha alcun valore legale. Eppure, sullo stato di famiglia, Aisha e Mohammad risultano sposati. Esclusivamente sulla base della constatazione della residenza domiciliare operata da un vigile urbano. «Lui mi nascose il fatto che aveva già una moglie e due figli in Egitto», ricorda Aisha. «Per me fu uno choc. Anche perché ero appena venuta fuori da un altro matrimonio poligamico. Il mio primo marito era sempre egiziano. Pure lui quando ci sposammo nel 1985 celò l’esistenza di una prima moglie italiana, da cui aveva avuto una figlia. Ho imparato a mie spese che cosa significa la poligamia: menzogne, sfruttamento, sottomissione e violenze».
Aisha, con voce sommessa, rammenta come, assecondando l’incessante corteggiamento di Mohammad, sia stata costretta a rinunciare al suo primogenito Omar, oggi un bel diciottenne con cittadinanza italiana ottenuta dopo essere stato adottato dalla matrigna italiana. Per Aisha è stato un duro colpo: «Forse è stato meglio così. Se Omar fosse rimasto con me, chissà che brutta fine avrebbe fatto». Per spiegarsi meglio dice: «Un giorno ho scoperto Mohammad che versava una polverina bianca nel bicchiere dell’aranciata di Huda, dicendole di bere. Io mi sono opposta. E’ un uomo senza scrupoli, è una bestia. Sarebbe capace di dare in pasto la figlia agli avanzi di galera che frequenta, spacciatori e consumatori di droga. Più di una volta mi ha teso il coltello alla gola minacciando di sgozzarmi se non gli davo centinaia di euro per comprarsi la droga. Negli ultimi tempi ho dovuto chiamare l’ambulanza due volte perché aveva assunto una dose eccessiva di stupefacenti».
Oggi Huda si presenta come una ragazza fragile, dallo sguardo perso, succube di un trauma non metabolizzato, parla poco e con difficoltà. Come lei in Italia ci sono tantissimi figli di famiglie poligame abbandonati a se stessi, spesso maltrattati, talvolta sfruttati, comunque segnati da un’esperienza indelebile: «Dobbiamo recuperare questi ragazzi vittime della violenza familiare, predisporre un programma di rieducazione psichica e sociale - chiede Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle donne marocchine -; lancio un appello al ministro delle Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, perché intervenga a tutela dei figli e delle donne musulmane vittime della poligamia e della violenza».
Di fatto l’Italia è piena di casi simili. E anche di più strazianti. Samira, una tunisina residente a Torino, da più di dieci anni non vede i suoi due figli sottratti con la forza dal padre egiziano e nascosti nell’abitazione della sua seconda moglie in Egitto. Pure lei implora l’intervento dello Stato italiano per restituirle i figli. Nel frattempo è costretta a subire le vessazioni del marito che vive da parassita alle sue spalle nel nostro Paese. E da Nuoro la marocchina Halima, seconda moglie di un connazionale, ha preso il coraggio di denunciare il fatto che il marito, nullafacente, si fa mantenere da entrambe le consorti e le costringe a condividere la stessa casa. I consolati arabi in Italia conoscono centinaia di casi che coniugano la poligamia alla violenza. Ma preferiscono tacere. Contando anche sulla ritrosia delle autorità italiane a intervenire.
Questo fenomeno rivela come in realtà il conflitto tra le culture sia interno alla galassia islamica prima ancora di esserlo tra l’Islam e l’Occidente. Il maschilismo, la misoginia, il fanatismo e la violenza sono fortemente contrastati dalle donne e dagli uomini musulmani fautori dell’emancipazione femminile e dello Stato di diritto. Ed è singolare che proprio nel momento in cui la poligamia risulta in declino nei Paesi musulmani, perfino in quelli più conservatori come l’Arabia Saudita, guadagna invece terreno tra le comunità islamiche in Italia e nell’Occidente laico e cristiano. Facendo leva su condizioni di vita relativamente migliori e tollerata da interpretazioni benevole di codici giuridici ipergarantisti. I casi di Aisha, Samira e Halima devono farci riflettere. Aiutandole a emanciparsi dai mariti-padroni, aiuteremo noi stessi a liberarci da un cavallo di Troia integralista e fanatico che inquina la nostra libertà e il nostro Stato di diritto.
Magdi Allam www.corriere.it/allam
violenze in famiglia
Corriere della Sera edizione di Roma 28.9.04
Dall’inizio del 2004 sono stati aperti 707 dossier, i «dottor Jekyll e mister Hyde» si nascondono in tutte le classi sociali
«Aumentano le violenze in famiglia»
Denuncia dell’associazione «Differenza donna»: gli abusi sulle partner in crescita dell’11 per cento
Lavinia Di Gianvito
Crescono le violenze in famiglia. Contro le donne e contro i bambini. Tra le mura domestiche mogli e figli vengono insultati, maltrattati, picchiati. Subiscono abusi sessuali e, nei casi più drammatici, le liti sfociano in spietati omicidi. Se poi il rapporto finisce, mariti, conviventi e fidanzati diventano ancora più aggressivi: il 60 per cento degli «ex» non abbandona la preda neanche quando la magistratura dispone l’allontanamento da casa. Per frenare tanta brutalità, nei casi più gravi resta solo il carcere. I dati raccolti da «Differenza donna» sono significativi. Il confronto fra il 2003 e il 2004 dimostra che la prepotenza maschile è aumentata dell’undici per cento. Ma chi ogni giorno assiste alle lacrime di mogli e madri disperate nelle due sedi dell’associazione non si sorprende: «Il trend è in salita da tre anni», sottolinea l’avvocato Teresa Manente. Il segno, sostiene, «di una restaurazione, di un ritorno alla cultura patriarcale».
Sono 707 i nuovi «dossier» aperti da «Differenza donna» in questi primi nove mesi dell’anno: in 360 casi le vittime si sono rivolte al centro antiviolenza di Villa Pamphili, in 347 a quello di Torre Spaccata. Tra il 1° gennaio e il 27 settembre 2003, invece, le due sedi dell’associazione avevano ricevuto, rispettivamente, 337 e 300 segnalazioni, per un totale di 637.
L’aggressore non è un emarginato. Anzi. «Chi maltratta la propria compagna è in genere un uomo "normale" - avverte Oria Gargano, responsabile della sede di Villa Pamphili -. Non è né tossicodipendente né alcolizzato né psicotico. Ha un lavoro e relazioni sociali. Spesso amici e conoscenti lo considerano simpatico e cortese».
I «dottor Jekyll e mister Hyde» sono diffusi in tutte le classi sociali: la violenza in famiglia non dipende dal reddito e dal titolo di studio. La stessa «trasversalità» caratterizza le vittime, che hanno tra i 25 e i 40 anni e che possono essere tanto disoccupate quanto manager. A renderle simili nella diversità, sono la solitudine e una grande fragilità psicologica, che nascono proprio dagli abusi subiti. «Sono condannate a un sistema di vita improntato ad aggressioni, minacce e ingiurie», sottolinea il pm Maria Monteleone, uno dei magistrati del pool antiviolenza della procura. E le prepotenze uccidono la libertà: «Una donna sottoposta a continue intimidazioni - dice Manente - è di per sé una donna subordinata». In più c’è la paura: «La tipica vittima di una persecuzione - spiega Gargano - crede che non potrà mai e in nessun modo sfuggire al suo aguzzino».
Invece sottrarsi al partner violento è possibile. Ma ci vuole determinazione. Ci è riuscita Elena (che in realtà ha un altro nome), una maestra di 32 anni, due bimbi, sposata con un falegname. Durante il primo colloquio nel centro di Villa Pamphili ha spiegato: «Mi voglio separare perchè mio marito mi offende, non mi ama più». Negli incontri successivi è emersa la verità: Elena aveva perso il conto delle volte che era stata picchiata e si era fatta medicare al pronto soccorso giurando di essere caduta. A poco a poco, la maestra ha raccontato anche che il marito la costringeva a vedere cassette porno e che le aveva proposto amori di gruppo.
«Nella maggior parte dei casi - spiega la Monteleone - le donne arrivano a denunciare le violenze subite quando non hanno altre possibilità. Dietro ci sono mesi, anni di maltrattamenti. La norma sull’allontanamento dalla famiglia è stata un passo avanti, ma è grave constatare che non basta: occorrono misure cautelari più severe, spesso la custodia in carcere».
Dall’inizio del 2004 sono stati aperti 707 dossier, i «dottor Jekyll e mister Hyde» si nascondono in tutte le classi sociali
«Aumentano le violenze in famiglia»
Denuncia dell’associazione «Differenza donna»: gli abusi sulle partner in crescita dell’11 per cento
Lavinia Di Gianvito
Crescono le violenze in famiglia. Contro le donne e contro i bambini. Tra le mura domestiche mogli e figli vengono insultati, maltrattati, picchiati. Subiscono abusi sessuali e, nei casi più drammatici, le liti sfociano in spietati omicidi. Se poi il rapporto finisce, mariti, conviventi e fidanzati diventano ancora più aggressivi: il 60 per cento degli «ex» non abbandona la preda neanche quando la magistratura dispone l’allontanamento da casa. Per frenare tanta brutalità, nei casi più gravi resta solo il carcere. I dati raccolti da «Differenza donna» sono significativi. Il confronto fra il 2003 e il 2004 dimostra che la prepotenza maschile è aumentata dell’undici per cento. Ma chi ogni giorno assiste alle lacrime di mogli e madri disperate nelle due sedi dell’associazione non si sorprende: «Il trend è in salita da tre anni», sottolinea l’avvocato Teresa Manente. Il segno, sostiene, «di una restaurazione, di un ritorno alla cultura patriarcale».
Sono 707 i nuovi «dossier» aperti da «Differenza donna» in questi primi nove mesi dell’anno: in 360 casi le vittime si sono rivolte al centro antiviolenza di Villa Pamphili, in 347 a quello di Torre Spaccata. Tra il 1° gennaio e il 27 settembre 2003, invece, le due sedi dell’associazione avevano ricevuto, rispettivamente, 337 e 300 segnalazioni, per un totale di 637.
L’aggressore non è un emarginato. Anzi. «Chi maltratta la propria compagna è in genere un uomo "normale" - avverte Oria Gargano, responsabile della sede di Villa Pamphili -. Non è né tossicodipendente né alcolizzato né psicotico. Ha un lavoro e relazioni sociali. Spesso amici e conoscenti lo considerano simpatico e cortese».
I «dottor Jekyll e mister Hyde» sono diffusi in tutte le classi sociali: la violenza in famiglia non dipende dal reddito e dal titolo di studio. La stessa «trasversalità» caratterizza le vittime, che hanno tra i 25 e i 40 anni e che possono essere tanto disoccupate quanto manager. A renderle simili nella diversità, sono la solitudine e una grande fragilità psicologica, che nascono proprio dagli abusi subiti. «Sono condannate a un sistema di vita improntato ad aggressioni, minacce e ingiurie», sottolinea il pm Maria Monteleone, uno dei magistrati del pool antiviolenza della procura. E le prepotenze uccidono la libertà: «Una donna sottoposta a continue intimidazioni - dice Manente - è di per sé una donna subordinata». In più c’è la paura: «La tipica vittima di una persecuzione - spiega Gargano - crede che non potrà mai e in nessun modo sfuggire al suo aguzzino».
Invece sottrarsi al partner violento è possibile. Ma ci vuole determinazione. Ci è riuscita Elena (che in realtà ha un altro nome), una maestra di 32 anni, due bimbi, sposata con un falegname. Durante il primo colloquio nel centro di Villa Pamphili ha spiegato: «Mi voglio separare perchè mio marito mi offende, non mi ama più». Negli incontri successivi è emersa la verità: Elena aveva perso il conto delle volte che era stata picchiata e si era fatta medicare al pronto soccorso giurando di essere caduta. A poco a poco, la maestra ha raccontato anche che il marito la costringeva a vedere cassette porno e che le aveva proposto amori di gruppo.
«Nella maggior parte dei casi - spiega la Monteleone - le donne arrivano a denunciare le violenze subite quando non hanno altre possibilità. Dietro ci sono mesi, anni di maltrattamenti. La norma sull’allontanamento dalla famiglia è stata un passo avanti, ma è grave constatare che non basta: occorrono misure cautelari più severe, spesso la custodia in carcere».
creatività...
Repubblica edizione di Firenze 28.9.04
Oggi e domani convegno al Palacongressi con esperti da tutto il mondo
I mille volti della creatività
Le mille frontiere della creatività. Non solo nell´arte, ma anche nella politica, nella fisica, nell´architettura, nel linguaggio. Dai brevetti al nuovo stile di vita, passando attraverso la letteratura, la moda, il cinema. Se ne parlerà oggi e domani a Firenze nel convegno «Nuovo e utile» che al Palacongressi vedrà riuniti psicologi, architetti, filosofi, etologi, sociologi provenienti da tutto il mondo per indagare i tanti campi in cui si esprime il creare, penetrando nei suoi aspetti economici, culturali e sociali. Un convegno per indagare, ma anche risvegliare. «Quello del declino intellettuale è un grande problema per l´Italia, legato alla scarsità di risorse che vengono impiegate nel campo dell´innovazione e della ricerca. Anche per questo crediamo molto al contributo che da studiosi ed esperti potrà emergere da questo convegno sulla creatività» dice Claudio Martini presidente della Regione Toscana che organizza il convegno insieme al Comune di Firenze e Firenze Fiera, con la direzione scientifica di Annamaria Testa e il sostegno di Gazzoni Ecologia. Le due giornate di studi vedranno la partecipazione di esperti dei più svariati settori provenienti da tutto il mondo, che interverranno per raccontare la creatività nei suoi meccanismi cognitivi e sotto gli aspetti economici, culturali e sociali. Tra i relatori, il filosofo Remo Bodei, il linguista Tullio De Mauro, la giornalista scientifica Sylvie Coyaud, il semiologo Ugo Volli. Al convegno verrà anche presentata la ricerca «La creatività e gli italiani», condotta da Eurisko per cercare di capire che cosa intendono gli italiani per creatività; quando e dove la creatività serve di più; i miti e i modelli creativi; se l´Italia è creativa. Su questo ultimo punto, in particolare, gli italiani danno giudizi contrastanti: l´Italia ai loro occhi è il paese della creatività nei settori dell´arte applicata (moda, cucina), mentre appare per niente creativa nei settori determinanti per lo sviluppo del paese (economia, finanza, ricerca scientifica).
Oggi e domani convegno al Palacongressi con esperti da tutto il mondo
I mille volti della creatività
Le mille frontiere della creatività. Non solo nell´arte, ma anche nella politica, nella fisica, nell´architettura, nel linguaggio. Dai brevetti al nuovo stile di vita, passando attraverso la letteratura, la moda, il cinema. Se ne parlerà oggi e domani a Firenze nel convegno «Nuovo e utile» che al Palacongressi vedrà riuniti psicologi, architetti, filosofi, etologi, sociologi provenienti da tutto il mondo per indagare i tanti campi in cui si esprime il creare, penetrando nei suoi aspetti economici, culturali e sociali. Un convegno per indagare, ma anche risvegliare. «Quello del declino intellettuale è un grande problema per l´Italia, legato alla scarsità di risorse che vengono impiegate nel campo dell´innovazione e della ricerca. Anche per questo crediamo molto al contributo che da studiosi ed esperti potrà emergere da questo convegno sulla creatività» dice Claudio Martini presidente della Regione Toscana che organizza il convegno insieme al Comune di Firenze e Firenze Fiera, con la direzione scientifica di Annamaria Testa e il sostegno di Gazzoni Ecologia. Le due giornate di studi vedranno la partecipazione di esperti dei più svariati settori provenienti da tutto il mondo, che interverranno per raccontare la creatività nei suoi meccanismi cognitivi e sotto gli aspetti economici, culturali e sociali. Tra i relatori, il filosofo Remo Bodei, il linguista Tullio De Mauro, la giornalista scientifica Sylvie Coyaud, il semiologo Ugo Volli. Al convegno verrà anche presentata la ricerca «La creatività e gli italiani», condotta da Eurisko per cercare di capire che cosa intendono gli italiani per creatività; quando e dove la creatività serve di più; i miti e i modelli creativi; se l´Italia è creativa. Su questo ultimo punto, in particolare, gli italiani danno giudizi contrastanti: l´Italia ai loro occhi è il paese della creatività nei settori dell´arte applicata (moda, cucina), mentre appare per niente creativa nei settori determinanti per lo sviluppo del paese (economia, finanza, ricerca scientifica).
lunedì 27 settembre 2004
il mondo etrusco
Repubblica 27.9.04
ARCHEOLOGIA
STORIA, ARTE E CIVILTÀ DEL MONDO ETRUSCO
GIUSEPPE M. DELLA FINA
Un libro che in tre anni arriva alla seconda edizione denota una sua vitalità notevole, ma soprattutto segnala un interesse vasto per il tema affrontato. La necessità di una revisione del testo si è resa necessaria infatti a causa dello sviluppo degli studi etruscologici che, nel breve arco di tempo trascorso, hanno visto l´allestimento di ben nove esposizioni di rilevanza internazionale, l´organizzazione di una serie d´importanti convegni e la realizzazione di scoperte in grado di gettare una luce nuova su una civiltà di grande rilievo nella storia della prima Italia. Il volume di Giovannangelo Camporeale, un´opera d´insieme sul mondo etrusco, si sta avviando di conseguenza ad affiancare e progressivamente a superare il classico Etruscologia di Massimo Pallottino.
Come è articolato lo studio? Appare suddiviso in due parti. Nella prima sono privilegiati i grandi temi (la formazione, la storia, l´arte, l´organizzazione politica, eccetera), mentre nella seconda viene presentata in maniera analitica la cultura delle singole città stato che costituivano la lega etrusca e dei loro territori. L´autore mostra così di ricollegarsi idealmente a due importanti tradizioni di studio che hanno fatto riferimento a Massimo Pallottino e a Luisa Banti, due studiosi con i quali Camporeale ha dialogato da sempre.
ARCHEOLOGIA
STORIA, ARTE E CIVILTÀ DEL MONDO ETRUSCO
GIUSEPPE M. DELLA FINA
Un libro che in tre anni arriva alla seconda edizione denota una sua vitalità notevole, ma soprattutto segnala un interesse vasto per il tema affrontato. La necessità di una revisione del testo si è resa necessaria infatti a causa dello sviluppo degli studi etruscologici che, nel breve arco di tempo trascorso, hanno visto l´allestimento di ben nove esposizioni di rilevanza internazionale, l´organizzazione di una serie d´importanti convegni e la realizzazione di scoperte in grado di gettare una luce nuova su una civiltà di grande rilievo nella storia della prima Italia. Il volume di Giovannangelo Camporeale, un´opera d´insieme sul mondo etrusco, si sta avviando di conseguenza ad affiancare e progressivamente a superare il classico Etruscologia di Massimo Pallottino.
Come è articolato lo studio? Appare suddiviso in due parti. Nella prima sono privilegiati i grandi temi (la formazione, la storia, l´arte, l´organizzazione politica, eccetera), mentre nella seconda viene presentata in maniera analitica la cultura delle singole città stato che costituivano la lega etrusca e dei loro territori. L´autore mostra così di ricollegarsi idealmente a due importanti tradizioni di studio che hanno fatto riferimento a Massimo Pallottino e a Luisa Banti, due studiosi con i quali Camporeale ha dialogato da sempre.
Bonito Oliva contro Andy Warhol:
superficialità e freddezza
Repubblica 27.9.04
Quando la merce diventa un classico
Esposti alla Triennale di Milano duecento suoi lavori, fra dipinti, disegni, sculture, ma anche fotografie, copertine e feticci
Con la sua presenza fredda, cancella ogni profondità, celebrando la superficie
L'individuo ripetuto in uomo massa, moltiplicato, diventa uno stereotipo
ACHILLE BONITO OLIVA
MILANO. La merce è la grande madre che accudisce il sonno, i sogni e gli incubi dell´uomo americano, che lo assiste in tutti i suoi bisogni, fino al punto di incentivare e creare altri nuovi consumi. La città è lo spazio, l´alveo naturale dell´american dream, inteso come sogno continuo di opulenza e di stordimento organizzato dalla merce. L´arte diventa il momento di esibizione splendente ed esemplare di tale sogno, la pratica alta che mette sulla scena definitiva del linguaggio lo stile basso delle immagini, prodotte dai mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità e dagli altri strumenti di persuasione occulta ed esplicita dell´industria americana.
Andy Warhol è l´artista della Pop Art che cerca di dare classicità all´oggetto di consumo. Una sorta di Raffaello della società di massa americana. Di tale grandezza ne è soltanto un´eco, forse non potrebbe essere altrimenti, la mostra «The Andy Warhol show» alla Triennale di Milano (fino al 9 gennaio 2005, catalogo Skira). Il gran magazzino espositivo, segnala l´iperconsumo di Warhol come icona, fino alla presentazione feticistica del suo scalpo (una delle parrucche). Questo ci consente un lamento, parafrasando Goya: il sonno della ragione genera mostre! Ecco quindi il «The Andy Warhol show» trasformarsi nel «The Andy Warhol show room». Lo show comprende 200 lavori tra dipinti (tra cui numerosi ritratti di attori e attrici, cantanti, stilisti, galleristi, artisti, e nobildonne) disegni, fotografie, opere grafiche, illustrazioni di riviste, sculture giovanili, feticci di scarpe, copertine di riviste e prove delle sue esperienze di precoce vetrinista della vita. Che comunque amava la vita, fino a farsi ferire dal femminismo della Solanas e a creare opere di gruppo con Basquiat e Clemente.
«Tutti si rassomigliano e agiscono allo stesso modo, ogni giorno che passa di più. Penso che tutti dovrebbero essere macchine. Penso che tutti dovrebbero amarsi. La pop-art è amare le cose. Amare le cose vuol dire essere come una macchina, perché si fa continuamente la stessa cosa. Io dipingo in questo modo perché voglio essere una macchina». Questo dichiara Andy Warhol in una intervista di Swenson, apparsa su Art News, nel novembre del 1963. Andy Warhol è l´artista che tenta di dare una classicità alla nuova arte americana. Lo standard viene assunto a livello antropologico: la cancellazione di ogni psicologia individuale e la celebrazione snobistica dell´inespressivo.
Con la sua presenza fredda e distaccata, Warhol cancella ogni profondità e i suoi quadri, i suoi ritratti, diventano la celebrazione della superficie. Così l´artista adopera nell´arte l´idea del multiplo, dell´oggetto fatto in serie: l´individuo ripetuto in uomo massa, in uomo moltiplicato, portato dal sistema in una condizione di esistenza stereotipata. Al prodotto unico subentra l´opera ripetuta, la cui ripetizione comporta non più un´angoscia esistenziale ma il raggiungimento di uno stato di indifferenza che diventa l´ottica attraverso cui Warhol guarda il mondo.
Infatti nei suoi quadri ogni intenzione di segretezza viene ribaltata in ostentazione, che è la premessa di quel consumo cui la civiltà americana non intende sfuggire. L´occhio cinico dell´artista ci restituisce una condizione oggettiva dell´uomo medio americano alla quale egli stesso non sfugge, cui non intende sfuggire, in quanto i modelli adoperati non sono fuori dalla realtà americana ma dentro. Dentro ci sono le espressioni, le facce inespressive dell´ uomo-folla, gettato nella sua solitudine quotidiana, separato dagli altri uomini, incidenti d´auto, nature morte di fiori, riprodotti con gelida allegria attraverso il procedimento meccanico della serigrafia.
Così Warhol ribadisce e accetta lo stato di manipolazione di ogni cosa, anche dell´uomo, senza disperazione, senza possibilità di alternativa, applicando la considerazione irreversibile dell´uomo come "uomo consumato". Anche l´artista vive dentro una realtà già definita, in cui ogni prodotto è segno della merce. L´uomo viene confinato nello stato paralizzato di voyeur, dove ogni evento è il portato di un futuro già fissato in una distanza dal mondo, diventata a sua volta condizione inerte dell´esistenza.
In una realtà così freddamente ordinata nei suoi eventi strutturali, lo stato incerto e eccentrico dell´omosessualità diventa un varco mobile attraverso cui Warhol tenta, mediante autogratificazioni (il vestire, l´amare, il vivere, il creare, il produrre nella comunità della Factory) di affermare la propria identità. E in una realtà tecnologica che tende alla moltiplicazione e a moltiplicarsi, l´unica maniera di affermare tale identità è il raddoppio di se stessi: il rapporto omosessuale con l´altro uomo. Tale procedimento passa inevitabilmente attraverso lo specchio, attraverso l´onanismo, l´esibizionismo, il narcisismo, per cui ogni rapporto è pura tensione, possibilità bloccata nel suo nascere che definisce l´uomo come semplice voyeur della propria solitudine e del mondo.
L´accumulo grammaticale delle immagini è l´effetto di una mentalità che non ha il mito della complessità del mondo ma che anzi ha individuato le istanze dell´uomo e l´ineluttabile e necessaria esibizione ditali istanze, collegata alla dimensione non negativa di spettacolarità insita nel sistema sociale e economico. Così Warhol situa le proprie immagini per associazione elementare, che riflette con cinica disperazione il destino dell´uomo: l´esibizione come esibizionismo, quale ineluttabile cancellazione della profondità e riduzione a uno splendente superficialismo. Lo spegnimento della profondità psicologica segna il punto di massima socialità nell´opera di Warhol.
Quando la merce diventa un classico
Esposti alla Triennale di Milano duecento suoi lavori, fra dipinti, disegni, sculture, ma anche fotografie, copertine e feticci
Con la sua presenza fredda, cancella ogni profondità, celebrando la superficie
L'individuo ripetuto in uomo massa, moltiplicato, diventa uno stereotipo
ACHILLE BONITO OLIVA
MILANO. La merce è la grande madre che accudisce il sonno, i sogni e gli incubi dell´uomo americano, che lo assiste in tutti i suoi bisogni, fino al punto di incentivare e creare altri nuovi consumi. La città è lo spazio, l´alveo naturale dell´american dream, inteso come sogno continuo di opulenza e di stordimento organizzato dalla merce. L´arte diventa il momento di esibizione splendente ed esemplare di tale sogno, la pratica alta che mette sulla scena definitiva del linguaggio lo stile basso delle immagini, prodotte dai mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità e dagli altri strumenti di persuasione occulta ed esplicita dell´industria americana.
Andy Warhol è l´artista della Pop Art che cerca di dare classicità all´oggetto di consumo. Una sorta di Raffaello della società di massa americana. Di tale grandezza ne è soltanto un´eco, forse non potrebbe essere altrimenti, la mostra «The Andy Warhol show» alla Triennale di Milano (fino al 9 gennaio 2005, catalogo Skira). Il gran magazzino espositivo, segnala l´iperconsumo di Warhol come icona, fino alla presentazione feticistica del suo scalpo (una delle parrucche). Questo ci consente un lamento, parafrasando Goya: il sonno della ragione genera mostre! Ecco quindi il «The Andy Warhol show» trasformarsi nel «The Andy Warhol show room». Lo show comprende 200 lavori tra dipinti (tra cui numerosi ritratti di attori e attrici, cantanti, stilisti, galleristi, artisti, e nobildonne) disegni, fotografie, opere grafiche, illustrazioni di riviste, sculture giovanili, feticci di scarpe, copertine di riviste e prove delle sue esperienze di precoce vetrinista della vita. Che comunque amava la vita, fino a farsi ferire dal femminismo della Solanas e a creare opere di gruppo con Basquiat e Clemente.
«Tutti si rassomigliano e agiscono allo stesso modo, ogni giorno che passa di più. Penso che tutti dovrebbero essere macchine. Penso che tutti dovrebbero amarsi. La pop-art è amare le cose. Amare le cose vuol dire essere come una macchina, perché si fa continuamente la stessa cosa. Io dipingo in questo modo perché voglio essere una macchina». Questo dichiara Andy Warhol in una intervista di Swenson, apparsa su Art News, nel novembre del 1963. Andy Warhol è l´artista che tenta di dare una classicità alla nuova arte americana. Lo standard viene assunto a livello antropologico: la cancellazione di ogni psicologia individuale e la celebrazione snobistica dell´inespressivo.
Con la sua presenza fredda e distaccata, Warhol cancella ogni profondità e i suoi quadri, i suoi ritratti, diventano la celebrazione della superficie. Così l´artista adopera nell´arte l´idea del multiplo, dell´oggetto fatto in serie: l´individuo ripetuto in uomo massa, in uomo moltiplicato, portato dal sistema in una condizione di esistenza stereotipata. Al prodotto unico subentra l´opera ripetuta, la cui ripetizione comporta non più un´angoscia esistenziale ma il raggiungimento di uno stato di indifferenza che diventa l´ottica attraverso cui Warhol guarda il mondo.
Infatti nei suoi quadri ogni intenzione di segretezza viene ribaltata in ostentazione, che è la premessa di quel consumo cui la civiltà americana non intende sfuggire. L´occhio cinico dell´artista ci restituisce una condizione oggettiva dell´uomo medio americano alla quale egli stesso non sfugge, cui non intende sfuggire, in quanto i modelli adoperati non sono fuori dalla realtà americana ma dentro. Dentro ci sono le espressioni, le facce inespressive dell´ uomo-folla, gettato nella sua solitudine quotidiana, separato dagli altri uomini, incidenti d´auto, nature morte di fiori, riprodotti con gelida allegria attraverso il procedimento meccanico della serigrafia.
Così Warhol ribadisce e accetta lo stato di manipolazione di ogni cosa, anche dell´uomo, senza disperazione, senza possibilità di alternativa, applicando la considerazione irreversibile dell´uomo come "uomo consumato". Anche l´artista vive dentro una realtà già definita, in cui ogni prodotto è segno della merce. L´uomo viene confinato nello stato paralizzato di voyeur, dove ogni evento è il portato di un futuro già fissato in una distanza dal mondo, diventata a sua volta condizione inerte dell´esistenza.
In una realtà così freddamente ordinata nei suoi eventi strutturali, lo stato incerto e eccentrico dell´omosessualità diventa un varco mobile attraverso cui Warhol tenta, mediante autogratificazioni (il vestire, l´amare, il vivere, il creare, il produrre nella comunità della Factory) di affermare la propria identità. E in una realtà tecnologica che tende alla moltiplicazione e a moltiplicarsi, l´unica maniera di affermare tale identità è il raddoppio di se stessi: il rapporto omosessuale con l´altro uomo. Tale procedimento passa inevitabilmente attraverso lo specchio, attraverso l´onanismo, l´esibizionismo, il narcisismo, per cui ogni rapporto è pura tensione, possibilità bloccata nel suo nascere che definisce l´uomo come semplice voyeur della propria solitudine e del mondo.
L´accumulo grammaticale delle immagini è l´effetto di una mentalità che non ha il mito della complessità del mondo ma che anzi ha individuato le istanze dell´uomo e l´ineluttabile e necessaria esibizione ditali istanze, collegata alla dimensione non negativa di spettacolarità insita nel sistema sociale e economico. Così Warhol situa le proprie immagini per associazione elementare, che riflette con cinica disperazione il destino dell´uomo: l´esibizione come esibizionismo, quale ineluttabile cancellazione della profondità e riduzione a uno splendente superficialismo. Lo spegnimento della profondità psicologica segna il punto di massima socialità nell´opera di Warhol.
il "mondo nuovo"
animatori culturali e psicoterapeuti anziché docenti: ubbidienza e controllo
Repubblica 27.9.04
L'INTERVISTA
L'allarme del super-consulente
"Ma tra 50 anni gli insegnanti spariranno"
di c.m.c.
BOLOGNA - Norberto Bottani ha lavorato venti anni all´O. C. S. E., è stato consulente super partes per Berlinguer e per la Moratti. Per il Mulino ha pubblicato "Insegnanti al timone?". Ora dirige un centro studi a Ginevra, si occupa di sistemi scolastici e di numeri. Perché la questione per lui è tutta nei numeri.
Perché una questione di numeri e basta?
«L´insegnamento non è una vocazione, è un mestiere. Nell´Europa a 25 ci sono 7 milioni di docenti: pensare che ognuno di loro sia una personalità carismatica o che sia colto, equilibrato e dedito, è pura utopia».
Un giudizio molto perentorio, che lascia poche illusioni. E come sarà allora l´insegnante del futuro?
«Nel 2050 l´insegnante, così come lo conosciamo oggi, sarà estinto. Al suo posto ci saranno probabilmente gruppi di animatori culturali o psicoterapeuti. I luoghi che chiameremo scuole saranno, nel migliore dei casi, centri comunitari del sapere o centri culturali diurni».
Prospettiva curiosa, che fa riflettere. Eppure anche il docente del futuro dovrà pur possedere qualche qualità umana e professionale.
«Sono molto pessimista. Per far funzionare una massa di persone bisogna che queste siano ubbidienti, che siano seguite e che ricevano direttive chiare. Oggi non esistono più valori condivisi, ma saperi trasversali: dunque conterà solo la capacità di comunicare, e di collaborare insieme. L´insegnante come guida, come l´abbiamo inteso per secoli, si può dire, sarà solo un fantasma del passato».
L'INTERVISTA
L'allarme del super-consulente
"Ma tra 50 anni gli insegnanti spariranno"
di c.m.c.
BOLOGNA - Norberto Bottani ha lavorato venti anni all´O. C. S. E., è stato consulente super partes per Berlinguer e per la Moratti. Per il Mulino ha pubblicato "Insegnanti al timone?". Ora dirige un centro studi a Ginevra, si occupa di sistemi scolastici e di numeri. Perché la questione per lui è tutta nei numeri.
Perché una questione di numeri e basta?
«L´insegnamento non è una vocazione, è un mestiere. Nell´Europa a 25 ci sono 7 milioni di docenti: pensare che ognuno di loro sia una personalità carismatica o che sia colto, equilibrato e dedito, è pura utopia».
Un giudizio molto perentorio, che lascia poche illusioni. E come sarà allora l´insegnante del futuro?
«Nel 2050 l´insegnante, così come lo conosciamo oggi, sarà estinto. Al suo posto ci saranno probabilmente gruppi di animatori culturali o psicoterapeuti. I luoghi che chiameremo scuole saranno, nel migliore dei casi, centri comunitari del sapere o centri culturali diurni».
Prospettiva curiosa, che fa riflettere. Eppure anche il docente del futuro dovrà pur possedere qualche qualità umana e professionale.
«Sono molto pessimista. Per far funzionare una massa di persone bisogna che queste siano ubbidienti, che siano seguite e che ricevano direttive chiare. Oggi non esistono più valori condivisi, ma saperi trasversali: dunque conterà solo la capacità di comunicare, e di collaborare insieme. L´insegnante come guida, come l´abbiamo inteso per secoli, si può dire, sarà solo un fantasma del passato».
psichiatria e Casa Bianca
Corriere della Sera 27.9.04
Quando lo psichiatra entra alla Casa Bianca
IL CASO
Anticipiamo un capitolo dal libro di Mauro della Porta Raffo, «I Signori della Casa Bianca. Fatti, aneddoti & personaggi per capire la democrazia americana da G.Washington a G.W.Bush» (prefazione di Ferruccio de Bortoli) in uscita per le Edizioni Ares (pagine 256, € 12). Il libro intende svelare «tutti i come e i perché del sistema elettorale e del governo americano» attraverso la vita e le opere, i vizi e le virtù degli inquilini dello Studio Ovale.
di Mauro della Porta Raffo
Tempo fa, negli Stati Uniti, ebbe un qualche successo un libro (The arrogance of power) di Anthony Summers (già autore di una buonissima e documentata biografia di J. Edgar Hoover, per lunghissimi anni direttore del Fbi) dedicato a Richard Nixon. Il presidente del Watergate - ma, non dimentichiamolo, anche dell’apertura alla Cina e di altri grandi successi in politica internazionale - veniva presentato da Summers come un folle, capace di mettere in pericolo la sicurezza nazionale e di picchiare più volte la moglie perché schiavo di potenti psicofarmaci che assumeva per combattere ansietà, insonnia e altri sintomi nevrotici. A fronte di tali «rivelazioni» (in molti casi non provate e per altri versi già note), viene da chiedersi se in un sistema quale quello che regola la vita politica americana sia davvero possibile che un pazzo o, comunque, uno squilibrato arrivi alla Casa Bianca.
Guardando alla storia più recente delle elezioni presidenziali Usa, è nel 1972 che si corse, in questo senso, il pericolo più concreto. Allora, infatti, George McGovern, candidato per i democratici alla White House, scelse come suo partner il senatore Thomas E. Eagleton che risultò essere stato per lungo tempo in cura da uno psichiatra per gravi turbe mentali.
Se il caso - un vero e proprio «scheletro nell’armadio» - non fosse venuto alla luce e se McGovern avesse prevalso, Eagleton si sarebbe venuto a trovare molto vicino («a un battito di cuore», come si usa dire) al potere diventando il vicepresidente. Naturalmente, il senatore, sia pure con qualche incredibile titubanza, fu sostituito e nel ticket democratico prese il suo posto Sargent Shriver.
Se, al di là della corsa alla presidenza, si fa riferimento, invece, all’intera politica Usa, in molti casi, veri e propri folli hanno raggiunto cariche di grande responsabilità.
Particolarmente significative, a questo proposito, le storie di due fratelli della Louisiana, Huey - «The Kingfish», come era soprannominato - e Earl Long, la cui avventura terrena fu immortalata da Hollywood (il primo è protagonista dell’ottima pellicola di Robert Rossen Tutti gli uomini del re, premiata con tre Oscar, tratta dall’omonimo romanzo, che vinse il Pulitzer, di Robert Penn Warren; il secondo, del meno riuscito Scandalo Blaze, con Paul Newman).
Giunto al governatorato del suo Stato nel 1928, Huey, autodidatta, fluviale e abilissimo oratore, intrallazzatore e allo stesso tempo capace di realizzare per i suoi concittadini opere pubbliche di grande rilievo, divenuto in seguito senatore degli Stati Uniti, dopo avere appoggiato F. D. Roosevelt nella campagna contro Herbert Hoover, nel 1935 e in vista delle presidenziali fissate all’anno successivo, pensò seriamente a una propria candidatura e pubblicò un libello intitolato I miei primi cento giorni alla Casa Bianca. In quelle pagine, ipotizzava, per far fronte alla Depressione, un azzeramento di tutte le proprietà private e la ridistribuzione in parti uguali a tutti i cittadini dei capitali.
La sua corsa verso White House (Roosevelt ebbe a temerne l’impeto) fu fermata dai colpi di pistola di un medico di campagna che, uccidendolo, intendeva vendicare vecchi torti subiti dalla sua famiglia.
Earl Long - a propria volta, anni dopo governatore della Louisiana - pazzo come un cavallo, fu rinchiuso per ordine del locale parlamento in un ospedale psichiatrico dello Stato. Forte della sua carica, ritornò libero destituendo i medici di quel manicomio che, formalmente, risultavano alle sue dipendenze. Più volte confermato e altrettante volte contestato, alla fine, si candidò alla Camera del Rappresentanti nazionale. Eletto trionfalmente contro tutte le aspettative, morì subito dopo.
In conclusione, nulla nel meccanismo elettorale americano si oppone a che un demagogo o un folle arrivino ai vertici del potere.
Quando lo psichiatra entra alla Casa Bianca
IL CASO
Anticipiamo un capitolo dal libro di Mauro della Porta Raffo, «I Signori della Casa Bianca. Fatti, aneddoti & personaggi per capire la democrazia americana da G.Washington a G.W.Bush» (prefazione di Ferruccio de Bortoli) in uscita per le Edizioni Ares (pagine 256, € 12). Il libro intende svelare «tutti i come e i perché del sistema elettorale e del governo americano» attraverso la vita e le opere, i vizi e le virtù degli inquilini dello Studio Ovale.
di Mauro della Porta Raffo
Tempo fa, negli Stati Uniti, ebbe un qualche successo un libro (The arrogance of power) di Anthony Summers (già autore di una buonissima e documentata biografia di J. Edgar Hoover, per lunghissimi anni direttore del Fbi) dedicato a Richard Nixon. Il presidente del Watergate - ma, non dimentichiamolo, anche dell’apertura alla Cina e di altri grandi successi in politica internazionale - veniva presentato da Summers come un folle, capace di mettere in pericolo la sicurezza nazionale e di picchiare più volte la moglie perché schiavo di potenti psicofarmaci che assumeva per combattere ansietà, insonnia e altri sintomi nevrotici. A fronte di tali «rivelazioni» (in molti casi non provate e per altri versi già note), viene da chiedersi se in un sistema quale quello che regola la vita politica americana sia davvero possibile che un pazzo o, comunque, uno squilibrato arrivi alla Casa Bianca.
Guardando alla storia più recente delle elezioni presidenziali Usa, è nel 1972 che si corse, in questo senso, il pericolo più concreto. Allora, infatti, George McGovern, candidato per i democratici alla White House, scelse come suo partner il senatore Thomas E. Eagleton che risultò essere stato per lungo tempo in cura da uno psichiatra per gravi turbe mentali.
Se il caso - un vero e proprio «scheletro nell’armadio» - non fosse venuto alla luce e se McGovern avesse prevalso, Eagleton si sarebbe venuto a trovare molto vicino («a un battito di cuore», come si usa dire) al potere diventando il vicepresidente. Naturalmente, il senatore, sia pure con qualche incredibile titubanza, fu sostituito e nel ticket democratico prese il suo posto Sargent Shriver.
Se, al di là della corsa alla presidenza, si fa riferimento, invece, all’intera politica Usa, in molti casi, veri e propri folli hanno raggiunto cariche di grande responsabilità.
Particolarmente significative, a questo proposito, le storie di due fratelli della Louisiana, Huey - «The Kingfish», come era soprannominato - e Earl Long, la cui avventura terrena fu immortalata da Hollywood (il primo è protagonista dell’ottima pellicola di Robert Rossen Tutti gli uomini del re, premiata con tre Oscar, tratta dall’omonimo romanzo, che vinse il Pulitzer, di Robert Penn Warren; il secondo, del meno riuscito Scandalo Blaze, con Paul Newman).
Giunto al governatorato del suo Stato nel 1928, Huey, autodidatta, fluviale e abilissimo oratore, intrallazzatore e allo stesso tempo capace di realizzare per i suoi concittadini opere pubbliche di grande rilievo, divenuto in seguito senatore degli Stati Uniti, dopo avere appoggiato F. D. Roosevelt nella campagna contro Herbert Hoover, nel 1935 e in vista delle presidenziali fissate all’anno successivo, pensò seriamente a una propria candidatura e pubblicò un libello intitolato I miei primi cento giorni alla Casa Bianca. In quelle pagine, ipotizzava, per far fronte alla Depressione, un azzeramento di tutte le proprietà private e la ridistribuzione in parti uguali a tutti i cittadini dei capitali.
La sua corsa verso White House (Roosevelt ebbe a temerne l’impeto) fu fermata dai colpi di pistola di un medico di campagna che, uccidendolo, intendeva vendicare vecchi torti subiti dalla sua famiglia.
Earl Long - a propria volta, anni dopo governatore della Louisiana - pazzo come un cavallo, fu rinchiuso per ordine del locale parlamento in un ospedale psichiatrico dello Stato. Forte della sua carica, ritornò libero destituendo i medici di quel manicomio che, formalmente, risultavano alle sue dipendenze. Più volte confermato e altrettante volte contestato, alla fine, si candidò alla Camera del Rappresentanti nazionale. Eletto trionfalmente contro tutte le aspettative, morì subito dopo.
In conclusione, nulla nel meccanismo elettorale americano si oppone a che un demagogo o un folle arrivino ai vertici del potere.
all'origine dell'attacco cristiano al mondo classico
Cipriano tradì il mondo magico (200-258?)
Il Giornale di Brescia 27.9.04
Cipriano e Giustina
Sono due martiri ricordati nella liturgia romana al 26 settembre e in quella greca al 2 ottobre, dei quali si è impadronita la leggenda; cosicché risulta difficile, nella tradizione tramandata sul loro conto, distinguere la realtà dall’invenzione. Cipriano è presentato quale negromante e astrologo vissuto nella seconda metà del III secolo, il quale voleva l’apostasia della vergine Giustina; al contrario però egli stesso si convertì, fece penitenza e divenne vescovo di Antiochia; sia Cipriano sia Giustina subirono il martirio sotto Diocleziano. Un componimento poetico dell’imperatrice Eudossia, scritto nel V secolo, racconta tutto questo e precisa che i due martiri furono fatti decapitare a Nicomedia dall’imperatore, dove lo stesso Diocleziano li aveva inviati dopo averli sottoposti a lunghe torture; i loro corpi furono in seguito portati a Roma da alcuni marinai e in loro onore la patrizia Rufina fece edificare una basilica. San Gregorio Nazianzeno invece afferma in un sermone pronunciato nel 379 che il mago Cipriano, dotto in filosofia, si convertì, sì, al cristianesimo, ma fu fatto vescovo non di Antiochia bensì di Cartagine, dove si distinse con le sue virtù e i suoi scritti; durante la persecuzione di Decio, dunque verso il 250, fu prima esiliato e poi decapitato. Talché qualcuno ha identificato questo Cipriano con l’omonimo, famoso vescovo di Cartagine vissuto tra il 200 e il 258, e festeggiato il 16 settembre, il quale era un retore originario dell’Africa proconsalare che, convertitosi e ordinato vescovo, svolse un ruolo molto importante nella storia della Chiesa, compose numerosi trattati su diversi soggetti teologici, sfuggì alla persecuzione di Decio ma fu arrestato e decapitato durante quella successiva di Valeriano. Gli agiografi ritengono che, sebbene il culto di san Cipriano e di santa Giustina si sia diffuso nel Medioevo sia in Oriente che in Occidente, la loro Vita, già nota nel IV secolo, sia priva di valore storico e abbia un puro scopo edificante, e perciò il loro nome compare ora soltanto nei calendari locali. Vi si racconta, fra l’altro, che Cipriano tentò di convertire Giustina su richiesta di un pagano, certo Aglaide, che l’aveva chiesta in sposa ma ne aveva ricevuto un rifiuto poiché la giovane intendeva consacrarsi al Signore. Inutili furono tutti i tentativi e i sortilegi compiuti da Cipriano, il quale finì per riconoscere il suo insuccesso e si convertì; un lungo capitolo è dedicato al pentimento di Cipriano, che bruciò i suoi libri di magia e confessò pubblicamente i suoi misfatti; il giorno dopo ricevette il battesimo, a partire dall’anno successivo il vescovo gli conferì gli ordini sacri fino al sacerdozio e dopo sedici anni lo designò come suo successore. Durante il proprio episcopato Cipriano si adoperò in particolare a combattere gli eretici, mentre Giustina fu fatta diaconessa e messa a capo di un monastero.
Cipriano e Giustina
Sono due martiri ricordati nella liturgia romana al 26 settembre e in quella greca al 2 ottobre, dei quali si è impadronita la leggenda; cosicché risulta difficile, nella tradizione tramandata sul loro conto, distinguere la realtà dall’invenzione. Cipriano è presentato quale negromante e astrologo vissuto nella seconda metà del III secolo, il quale voleva l’apostasia della vergine Giustina; al contrario però egli stesso si convertì, fece penitenza e divenne vescovo di Antiochia; sia Cipriano sia Giustina subirono il martirio sotto Diocleziano. Un componimento poetico dell’imperatrice Eudossia, scritto nel V secolo, racconta tutto questo e precisa che i due martiri furono fatti decapitare a Nicomedia dall’imperatore, dove lo stesso Diocleziano li aveva inviati dopo averli sottoposti a lunghe torture; i loro corpi furono in seguito portati a Roma da alcuni marinai e in loro onore la patrizia Rufina fece edificare una basilica. San Gregorio Nazianzeno invece afferma in un sermone pronunciato nel 379 che il mago Cipriano, dotto in filosofia, si convertì, sì, al cristianesimo, ma fu fatto vescovo non di Antiochia bensì di Cartagine, dove si distinse con le sue virtù e i suoi scritti; durante la persecuzione di Decio, dunque verso il 250, fu prima esiliato e poi decapitato. Talché qualcuno ha identificato questo Cipriano con l’omonimo, famoso vescovo di Cartagine vissuto tra il 200 e il 258, e festeggiato il 16 settembre, il quale era un retore originario dell’Africa proconsalare che, convertitosi e ordinato vescovo, svolse un ruolo molto importante nella storia della Chiesa, compose numerosi trattati su diversi soggetti teologici, sfuggì alla persecuzione di Decio ma fu arrestato e decapitato durante quella successiva di Valeriano. Gli agiografi ritengono che, sebbene il culto di san Cipriano e di santa Giustina si sia diffuso nel Medioevo sia in Oriente che in Occidente, la loro Vita, già nota nel IV secolo, sia priva di valore storico e abbia un puro scopo edificante, e perciò il loro nome compare ora soltanto nei calendari locali. Vi si racconta, fra l’altro, che Cipriano tentò di convertire Giustina su richiesta di un pagano, certo Aglaide, che l’aveva chiesta in sposa ma ne aveva ricevuto un rifiuto poiché la giovane intendeva consacrarsi al Signore. Inutili furono tutti i tentativi e i sortilegi compiuti da Cipriano, il quale finì per riconoscere il suo insuccesso e si convertì; un lungo capitolo è dedicato al pentimento di Cipriano, che bruciò i suoi libri di magia e confessò pubblicamente i suoi misfatti; il giorno dopo ricevette il battesimo, a partire dall’anno successivo il vescovo gli conferì gli ordini sacri fino al sacerdozio e dopo sedici anni lo designò come suo successore. Durante il proprio episcopato Cipriano si adoperò in particolare a combattere gli eretici, mentre Giustina fu fatta diaconessa e messa a capo di un monastero.
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