domenica 5 settembre 2004

il doppio

La Stampa Tuttolibri 4/9/2004
IL TEMA DEL DOPPIO ATTRAVERSA LA NOSTRA CULTURA DALLA TRAGEDIA GRECA ALLA PSICOANALISI ED ESPRIME LA DIFFICOLTÀ DI VIVERE CON SE STESSI
Oddone Camerana


NEL mondo primitivo poche cose facevano paura quanto i gemelli. Orrore e spavento di fronte ad essi, visti come la rappresentazione fisica dell'indifferenziato, dell'identico e del simmetrico in cui si precipitava quando i propri desideri impattavano uno sull'altro in modo speculare. Se infatti il desiderio di una persona assomigliava a quello del prossimo tanto da eguagliarlo e si fissava su un bene di cui c'era penuria, la violenza che per appropriarsene ne nasceva dava inizio alla sequenza interminabile di colpi e contraccolpi che la tragedia antica ha tramandato nelle vicende di interminabili vendette che vi sono narrate. Valga per tutte l'esempio del ciclo dell'Orestiade di Eschilo. Dalla crisi, detta «mimetica», perché originata da un desiderio simile a quello del modello-rivale, lo studioso francese René Girard ipotizza che ci si fosse salvati una prima volta per effetto dell'intervento di una violenza inflitta a un estraneo ai due contendenti, ormai resi perfettamente speculari e inesorabilmente simmetrici o «doppi». Avendo questa nuova violenza arbitraria, in quanto scaricata su un estraneo ritenuto ingiustamente colpevole, fermato quella cattiva e interminabile, si era gridato al miracolo. A ragion veduta, perché grazie alla vittima, che era stata per questo divinizzata, i due contendenti avevano ritrovato non solo la pace, ma anche la differenza tra di loro. Da doppi che erano diventati per aver desiderato la stessa cosa e cercato, senza uscirne, di dirimere la questione con una violenza speculare e doppia, essi erano infatti tornati ad essere differenti superando lo scoglio de «l'angoscia della differenza», come viene oggi definita la paura di non distinguersi dal prossimo. Terrorizzato dunque dai doppi, il mondo primitivo e antico aveva così trovato la soluzione ai problemi descritti, ma lo aveva fatto a scapito della vittima, una abitudine, questa, che, prosperata per chissà quanto, a un certo punto aveva dimostrato crepe incolmabili. A soccorrere il mondo dall'esaurirsi di una pratica durata fin troppo, aveva provveduto l'antropologia evangelica. Nessuno prima di Gesù aveva detto parole più illuminanti sull'orrore della voglia di imitazione che prendeva coloro che, per risolvere una situazione di crisi collettiva, aspettavano che uno gettasse la prima pietra sulla vittima per copiarlo secondo il rito persecutorio quanto liberatorio. Nessuno prima di Gesù aveva detto parole più chiare sulla attrazione da cui erano presi, specialmente se in giovane età, coloro che, inciampando in un ostacolo invisibile, imitavano chi suscitava scandalo.
Tutto ciò detto per ricordare brevemente che il tema del doppio, o dell'altro io, attraversa la cultura già dai primordi. Sennonché per sentirne parlare di nuovo e in termini insoliti bisogna arrivare ai secoli più recenti della vicenda umana, come dimostra la bella antologia in materia curata da Guido Davico Bonino per la Einaudi. Ciascuno preceduto da una preziosa guida alla lettura, i 24 racconti selezionati da varie letterature post-illuministiche configurano i diversi modi in cui il doppio è stato visto da altrettanti autori maestri del «narrar breve», da E.T.A. Hoffmann a Virginia Woolf e Franz Kafka. Si va dal velo di pizzo nero che copre il volto di un predicatore, agli equivoci provocati da due persone troppo somiglianti tra di loro, al doppio come fantasma, o come ombra che prende il sopravvento, o come sosia aguzzino. Il tema è per lo più angosciante come negli esempi citati, quando non è grottesco nella forma del doppio come frammento del proprio corpo nel celebre episodio del naso ambulante di N. Gogol, o quando non dà vita a situazioni di coscienza turbata e di identificazione come ne Il coinquilino segreto di J. Conrad. Certe volte prende l'aspetto di una relazione scientifica che fa pensare ai Casi clinici di Freud. Negli autori latino-americani assume i toni ingegnosi cari alla tradizione di questa area geografica, mentre nella letteratura europea più vicina ai nostri giorni si intreccia con le strutture del sogno o degli specchi, o con la dimensione dell'autismo, o con l'universo incombente della clonazione e quello della trasmigrazione delle anime. Per lo più scritti con grande maestria, i racconti sorreggono la sfida imposta dai fraintendimenti della realtà in cui precipita l'io interiore dei protagonisti. Il problema è come venire a patti con questo essere indefinito. Se lo uccidi, come propone E.A. Poe, o se cedi al suo dominio, come accade nell'episodio raccontato da H.C. Andersen, o te lo fai portare via, come succede nel già citato Il naso, sei comunque fottuto. Ci si chiede perché, a cominciare dal XIX secolo, il tema del doppio, che faceva parte del nostro patrimonio di conoscenze nel modo illustrato sopra, sia stato collocato in area fantastica, come recita il sottotitolo dell'antologia. La ragione di questa etichetta risale alla consuetudine di porre all'origine del doppio i miti fantastici di Narciso e dell'androgino, trascurando il fatto che alla sua base stia invece la realtà del conflitto tra Caino e Abele, i due fratelli mimetici emblematicamente in lotta per cercare di assicurarsi il bene indivisibile della stima paterna. Ispirandosi alle due leggende greche che, come tutte le leggende, nascondono invece di far luce sui fenomeni, in questo caso del doppio si finisce per allontanarsi dal tema in questione, per altro mai abbandonato dalla antropologia, per nulla fantastica, della tradizione ebraico-cristiana. Dalla patristica a Sant'Agostino, il quale nel dire: «Qui imitare noluit, necare voluit», sintetizza la deriva violenta del desiderio mimetico, a Pascal, così politicamente scorretto da non vergognarsi di dire che: «Tutti gli uomini si odiano naturalmente l'un l'altro», forse perché sorretto da una lingua in cui per desiderio e invidia c'è lo stesso termine envie; a Valéry, secondo il quale «gli uomini si distinguono da ciò che mostrano e si assomigliano in ciò che nascondono», è evidente come il filo rosso della realtà mimetica, che precipita il desiderio nel doppio contrario, non si sia mai perduto del tutto. Se dunque i narratori dei due secoli passati lo riscoprono, ancorché in forma fantastica, è perché sentono di dover reagire sia al mito ottimistico dell'illuminismo sulla bontà dell'uomo, sia a quello romantico dell'inalienabile proprietà dei desideri e della loro spontaneità. Più aderente alla realtà è Dostoevskij, che raffigura «l'altro io» in personaggi dopo averne tratto i connotati esplorando gli abissi dell'universo del sottosuolo: un popolo di ipocondriaci ossessionati, posseduti da copie di sé indotti, questi, a inseguire i loro modelli dall'insopprimibile bisogno di copiarne i desideri. Non è dunque motivo di stupore il fatto che, dando profilo caricaturale al fenomeno, ad un certo punto, da fantastica la letteratura diventa una branca o una specialità della psichiatria e, che, rinunciando al bisogno di raffigurare l'altro io in personaggi, in fantasmi, in apparizioni, in sosia e in presenze persecutrici, essa tende la mano alla scienza psichiatrica. Ed ecco allora lo psichiatra inglese R.D. Laing che ne L'io diviso presenta una casistica di catatonici e di schizofrenici come una serie di personaggi da romanzo. Ricordo che i duplicati, o meglio i posseduti dell'epoca classica erano i lussuriosi, i superbi, i golosi, gli avari, gli iracondi, gli invidiosi e, a modo loro, gli accidiosi presi dal nulla, antesignani dei nichilisti e degli indemoniati di Dostoevskij. I posseduti di oggi sono invece, per fare alcuni esempi, i drogati e i dopati, gli ammanettati mentali descritti da Ceronetti, gli sfiniti dalla fatica di essere se stessi, l'antiamericanismo ossessivo dei francesi americanizzati come tutti dal cinema, dalla Coca-Cola e da Internet, e tutti coloro che non riescono a sottrarsi dalla dipendenza di spiare coloro che odiano. Il doppio di cui parliamo non esiste in sé stesso. Detto in termini scientifici, è una figura relazionale, risultato di una struttura binaria. Si forma, e perché questo avvenga bisogna essere in due. Presi all'identica voglia, questi si fronteggiano e arrivano al punto di dimenticare il bene conteso - la stima del prossimo, ad esempio - e di provare il fastidio di vedersi uguali. La situazione assurda ma reale, descritta dal doppio, di cercare di distinguersi da chi si copia, è una scoperta recente, attorno alla quale si sono organizzate le leggi della pubblicità, della moda e del marketing, nonché dello snobismo, dove la dipendenza da coloro da cui si vuole differire è una ben nota ossessione. Certo, in epoca di individualismo e soggettivismo, come la nostra, è difficile accettare l'idea che il desiderio sia copiato, tanto più nei casi in cui si afferma l'idea-prestigio che sia bello dissimulare il desiderio, negarlo magari nel risentimento o nella capacità di dire di no. Tutte forme per nascondere la realtà del doppio in agguato, per redimersi dal quale la tradizione cristiana, come riportato da Tommaso da Kempis ne L'imitazione di Cristo, raccomandava un'imitazione senza pericoli. Oggi, in epoca secolarizzata che propone di essere modelli a se stessi, è con se stessi che si cerca almeno di convivere.