La Stampa Tuttolibri 11.9.04
Addio bellezza classica Gli dei hanno abbandonato la Terra
Federico Vercellone
QUANDO si menzionano classici poco noti presso il grande pubblico sorge immediatamente un sospetto. Perché mai lo avranno messo da parte se è un classico e cioè qualcuno che dovrebbe poter dare conferma della propria attualità in ogni momento, sotto qualsiasi cielo? Si potrebbero intraprendere a questo proposito numerosi discorsi, tutti importanti e impegnativi a cominciare da quello circa l'appannarsi della tradizione culturale, non solo di quella propriamente classica. Nel caso di Karl Wilhelm Ferdinand Solger, figura eminente della cultura filosofica tedesca di età romantica e idealistica, collega di Hegel a Berlino a partire dal 1811 e da questi tenuto in alta considerazione, viene invece da pensare che la sua colpa sia l'indipendenza intellettuale che lo rende difficilmente catalogabile nelle grandi voci di repertorio come, per esempio, "romanticismo" e "idealismo". Solger è inoltre un autore non molto prolifico. Pubblica, in vita principalmente due opere, Erwin. Quattro dialoghi sul bello e sull'arte nel 1815, i Dialoghi filosofici nel 1817; i Dialoghi filosofici su essere, non essere e conoscere compaiono postumi. E' un autore chiave in questo periodo anche perché rielabora in termini consapevoli i grandi temi dell'estetica a lui contemporanea. Egli dialoga, oltre che con Hegel, con Kant, Schiller, Fichte, con la costellazione romantica per elaborare una posizione del tutto originale che fa di lui una sorta di ponte verso l'Ottocento maturo e non soltanto, ma anche verso l'estetica novecentesca. E' quanto testimonia Erwin recentemente comparso da Morcelliana nell'eccellente edizione italiana a cura Marco Ravera. Al centro della riflessione di Solger c'è un tema che consente di guardare molto in là nel tempo. Si tratta dell'ironia alla quale la considerazione della bellezza viene inestricabilmente congiunta. E' un tema che fu particolarmente caro anche alla prima generazione dei romantici tedeschi, con il quale si pongono le premesse della tradizione propriamente moderna, quella, per intenderci, che attraverso il realismo conduce all'avanguardia. Sull'ironia si fonda una poetica della creaturalità e del finito ben diversa da quelle ispirate dalle filosofie dell'idealismo che tendono a vedere nell'arte una diretta manifestazione dell'assoluto e del divino. Bisogna innanzitutto dire, in questo quadro, che Solger rifiuta la tradizione classicistica di una bellezza intesa come pienezza formale. Non abbiamo più dinanzi agli occhi il fulgore della bellezza classica, per la quale ogni divinità dell'Olimpo circoscrive una determinata sfera dell'essere. E' così che, per esempio, se a Poseidone competeva il dominio dei mari, ad Ares apparteneva invece l'universo del conflitto e della guerra, e ad Afrodite i territori di eros. Quest'ordine, che derivava da una partizione delle diverse sfere dell'essere, coincideva per il greco con la bellezza. Questo ci consente tra l'altro di vedere che già nell'antichità la bellezza ha un significato che si estende ben oltre la sfera dell'arte per contemplare un ambito che può a buon diritto definirsi come metafisico, nel quale in altri termini si rivelano l'ordine universale e le leggi eterne che lo regolano. La rivoluzione imposta dai romantici e poi in termini più compiuti da Solger rivela invece la prossimità essenziale dell'ideale moderno dell'arte con il cristianesimo. Anche in questo caso tuttavia, come per altro già avveniva con i Greci, l'arte non assolve semplicemente una funzione decorativa ma realizza ed esibisce un ordinamento dell'essere. Tuttavia non abbiamo più a che fare con una forma che integra armonicamente e senza sforzo i propri contenuti; si profila piuttosto un ideale della non continuità tra forma e contenuto. Ora l'assoluto e il divino hanno abbandonato la terra che può solo avere memoria di questo tragico distacco. E' un distacco che il cristianesimo vive come uno dei propri eventi essenziali attraverso la kenosis, quell'abbassarsi di Dio nelle vesti dell'umano così radicale da accogliere la morte come l'estremo di questo percorso. La forma - intesa sulla base di quest'esperienza fondamentale - deriva da una volontaria autolimitazione, da un tragico ritrarsi dell'assoluto. Essa è ciò che resta dopo questo ritrarsi della sostanza: un puro nulla, il nulla ironico dell'apparenza. E' anelito ed evocazione quello che viene così ad esprimersi, consapevolezza che l'arte così come l'essere nel suo insieme non coincidono con il loro ideale. Che cosa ha a che fare tutto questo con l'arte moderna? Molto, poiché per un verso se l'arte sa di non poter incarnare l'ideale essa si sente anche emancipata, finalmente libera di distogliere lo sguardo dagli spazi celesti per volgerlo verso il basso, e scoprire così la realtà senza la necessità di abbellirla o edulcorarla. Tuttavia non è soltanto la via verso il realismo quella che viene ad aprirsi in questo modo. A partire dall'ironia rintracciamo un cammino che ci guida ben oltre, sino all'avanguardia poetica del ’900, ad autori come Beckett e Paul Celan, i quali non riconoscono alla propria arte lo statuto della bellezza compiuta, ma le affidano la speranza del suo ritorno da una lontananza che si è fatta incommensurabile. Sono i classici del "nuovo" ideale dell'arte.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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