Eco di Bergamo 5.10.04
Quella «stella nova» cambiò il cosmo
Nel 1604 la comparsa di un astro luminosissimo: era l'esplosione di una supernova L'evento descritto da Keplero e Galileo. L'evoluzione delle galassie ebbe meno segreti
Folco Claudi
Ci vuole una bella immaginazione per riconoscere nel cielo stellato le figure mitologiche o di animali che dall'antichità danno il nome alle costellazioni. Una delle più immaginifiche è quella di Ofiuco («colui che porta il serpente») o, con una dizione derivata dal latino e non dal greco, del Serpentario, che ricorda la leggendaria figura di Asclepio, il medico che dai serpenti imparò il segreto della vita e della morte.
Fu perciò Zeus a causarne la morte – con un fulmine, ovviamente – ma riconoscendone i meriti gli riservò un posto in cielo. Compresa nel catalogo celeste di Tolomeo, la costellazione di Ofiuco è rimasta anche nella catalogazione moderna. La sua importanza storica è legata però a un fenomeno di importanza straordinaria: l'apparizione di una «nuova stella» molto luminosa, avvenuta giusto 400 anni fa, nell'ottobre 1604. L'improvviso aumento di luminosità, ben visibile a occhio nudo in un punto non distante dalla stella Theta Ophiuchi fin dal 9 ottobre, fu osservato il giorno 17 nientemeno che da Johannes Kepler, meglio conosciuto come Keplero, una delle figure più importanti per la storia della scienza e dell'astronomia in particolare.
Keplero – che diede anche il nome alla stella – fece una descrizione in un'apposita opera, il trattato «De stella nova in pede Serpetarii. Sulla nuova stella nel piede del Serpentario» dato alle stampe nel 1606. Ma Keplero non era l'unico astronomo con il naso all'insù nelle nottate di quel fatidico anno. Ad alcune migliaia di chilometri di distanza, c'era anche un quarantenne docente di matematica dell'Università di Padova, Galileo Galilei, non ancora famoso, che restò profondamente impressionato dall'evento. Ne rimane testimonianza in un opuscolo scritto in dialetto patavino pubblicato nel 1605, il «Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nova».
Ma che cosa videro in cielo i due grandi scienziati fino all'estate del 1605? Le sorgenti variabili di luce nel cosmo sono oggi classificate come supernove. Dal punto di vista fisico si tratta di una stella di grande massa che, giunta alla fine del suo ciclo vitale, esplode «in grande stile». Mentre la maggior parte delle stelle termina la propria esistenza in modo tranquillo, l'esplosione di una supernova è un evento che uguaglia in luminosità quello di una galassia contenente miliardi di stelle. Un evento catastrofico, dunque, di una potenza difficilmente immaginabile, che però nell'evoluzione di una galassia, preannuncia nuove nascite, poiché permette la sintesi degli elementi più pesanti del ferro. L'enorme energia che accompagna l'esplosione di una supernova proietta questi elementi a grande distanza, disseminandoli nello spazio. Da questi mattoni fondamentali della materia potranno poi nascere altre stelle e galassie e, almeno nel caso del nostro pianeta, esseri viventi. Questo è ciò che sappiamo oggi dell'esplosione di una supernova. E sappiamo anche con certezza che nel 1604 si trattò proprio di un fenomeno di questo tipo, così nel caso di un analogo fenomeno avvenuto in cielo solo 32 anni prima, nel 1572. Per i contemporanei dell'evento, in particolare per Galileo, la faccenda assunse tutt'altro significato.
Secondo la visione del mondo ereditata dagli antichi, fondata sulla cosmologia di Tolomeo e sulla fisica di Aristotele, tutto ciò che abitava il cosmo doveva rientrare in due precise categorie: la prima includeva tutte le cose presenti sulla Terra e nello spazio compreso tra la Terra e l'orbita della Luna; la seconda tutti gli oggetti celesti presenti oltre il mondo sublunare. Ciò che distingueva i due insiemi era la possibilità di mutare: nella prima sfera tutto nasce, si trasforma e muore; pianeti e stelle erano invece creati da Dio con un'essenza celeste e posizionati secondo un ordine perfetto e soprattutto immutabile.
Dove collocare dunque la stella nova? La cultura dominante avrebbe preferito liquidarla come un misterioso evento meteorologico, dunque compreso all'interno dell'orbita lunare, com'era avvenuto nel 1572. Nelle aule dell'Università di Padova invece Galileo era deciso a dare battaglia, con l'arma della propria ragione. Egli, pur non essendo un esperto di misure astronomiche, aveva una sufficiente confidenza con gli strumenti da riuscire a determinare approssimativamente la distanza del corpo luminoso e a stabilire che esso non si muoveva rispetto alle stelle fisse e che quindi non poteva essere di natura sublunare. Già seguace di Copernico, che nel 1543 aveva proposto il suo sistema eliocentrico, Galileo colse l'occasione della stella nova per portare avanti due idee fondanti per il successivo sviluppo della scienza moderna: la prima sosteneva che le misurazioni erano da preferire alle idee, per quanto antiche e accettate, dei filosofi; la seconda sosteneva che gli astronomi non dovevano occuparsi soltanto di fare calcoli matematici, ma anche indagare l'essenza delle stelle. Il già citato «Dialogo de Cecco», di tono sarcastico, era solo l'inizio. Vennero altre osservazioni astronomiche, nel 1609 e nel 1613, effettuate con l'uso del telescopio da lui inventato, che portarono Galileo a sostenere il sistema copernicano e a subire il processo dell'Inquisizione. Ma il nuovo pensiero scientifico, nato sotto gli auspici della stella nova, non poteva essere fermato. Il mondo chiuso – per parafrasare il titolo di un famoso saggio – cedeva il passo all'universo infinito.
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