martedì 5 ottobre 2004

citato al Lunedì
i sogni nel Medioevo

Il Sole 24ore domenica 3.10.04, Pagina 33
Ad occhi chiusi
Sogni d'oro, Medioevo
Un'epoca in cui il sonno era una porta per vedere il futuro: da Elio Aristide a san Gerolamo, fino ai due santi Gregorio, il passaggio dal paganesimo al cristianesimo avvenne anche di notte
di Franco Cardini

Recensione di : Patricia Cox Miller, «il sogno nella tarda antichità», traduzione italiana di Francesco Zappa e RossellaLozzi, Jouvance, Roma 2004, pagg. 344, € 28

Il sogno ha sempre attratto il genere umano; l'età contemporanea, poi, vi si è immersa per quanto molti tra noi siano al contrario convinti di vivere in pieno stato di veglia, nella luce splendente del "Giorno della Ragione". Di rado si riflette su quanto la storia e la cultura contemporanee, nel XX secolo dominato dalla psicoanalisi e nel XXI egemonizzato dalla virtualità e ahimè dalla droga, siano fondamentalmente oniriche. Non a caso, quando noialtri parliamo di politica, ricorre sovente la parola "incubo". Che molto ha a che fare col sogno. E con la demonologia, naturalmente.
Di sogno, medici e psicanalisti a parte, si sono occupati storici, filologi e iconologi, soprattutto per l'antichità, il medioevo e la prima età moderna. Inutile far troppi nomi: ricordo, un po' alla rinfusa, Dario Del Corno, Jacques Le Goff, Tullio Gregory, Chiara Fragoni, Francesco Gandolfo. Nel Medioevo, molti scritti anche a carattere profetico, o giuridico e politologico, assumevano l'aspetto formale del sogno o prendevano avvio dal racconto "pretestuoso" di un sogno. Lo fanno anche il Roman de la rose e la Divina Commedia. Se uno voleva dire qualcosa sull'assetto politico del suo tempo, su come era malvagio e su come sarebbe stato auspicabile, ma temeva d'incorrere ciò dicendo nelle ire del suo sovrano o di attrarre l'attenzione dell'inquisitore più vicino, fingeva di essersi steso sull'erba di un verziere, una bella mattina di primavera, e di essersi fatto un sogno.
Dal sonno ci si aspetta di trarre informazioni per il nostro futuro. È un atteggiamento antico, che a suo tempo - come narra la Bibbia - fece la fortuna di Giuseppe figlio di Giacobbe presso il faraone. I sogni veridici, dicevano i Greci, escono da una porta di corno; quelli ingannevoli da una d'avorio. L'oniromanzia tradizionale assicura che i sogni più sicuramente portatori di verità si fanno verso il mattino. Chissà se quel che vale per le ore del giorno vale anche per le culture: ma purtroppo a questo riguardo qualunque analisi sarebbe viziata dal carattere convenzionale della nostra periodizzazione storica: quando delle "albe" e dei "tramonti", delle "primavere" e degli "autunni", delle età storiche, scadiamo in realtà arbitrariamente un tempo che d'altronde è tutto fuorché omogeneo.
Patricia Cox Miller, docente di materie religiose nella Syracuse University e studiosa di biografismo antico, si è occupata appunto di sogni in un libro uscito una decina d'anni fa presso la Princeton University Press, di sogni in quella che essa, con tutte le ragioni dal punto di vista della periodizzazione corrente, ha definito Late Antiquity: e indagando attraverso la scienza dell'interpretazione dei sogni - l'oniromanzia, appunto -, ha inteso indagare, come recita il sottotitolo del suo lavoro, sull'«immagination of a culture».
La ricerca della Cox Miller, che gli specialisti già conoscevano ma che ora grazie alla romana Jouvence viene posta a disposizione di un pubblico colto più vasto, parla davvero dei "sogni veridici", di quelli fatti in prossimità del mattino, se letta con gli occhi della medievistica: dal momento che la Tarda antichità può essere ben a ragione vista anche come l'alba del medioevo; e che questo libro, utile credo a comprendere alcuni aspetti della cultura antica, risulta al contrario utilissimo per capire quella medievale.
L'autrice indaga su alcuni testi scelti fra I e IV secolo, quindi in un lungo arco di tempo: e non bisogna certo farci ingannare, al riguardo, dall'effetto prospettico che induce sempre noi moderni a "schiacciare" il passato, in modo tale che, mentre ci sembra che (e abbiamo ragione) fra quel che siamo oggi e quel che eravamo trent'anni fa ci sia un abisso, consideriamo poi con disinvoltura come quasi coevi il Duecento e il Trecento, per non parlar dei secoli precedenti. C'era una bella differenza, fra l'età di Traiano e quella di Teodosio.
Eppure, un filo tenace univa quei tempi separati tra loro di quasi duecento anni. Si era esaurita la fede negli dèi tradizionali mentre la koiné culturale mediterraneo-orientale aveva creato nuove sintesi: erano affiorati bisogni nuovi, ci si era interrogati sempre più angosciosamente sul destino delle anime dopo la morte, si era affermata l'esigenza di divinità salvatrici, si era fatta strada l'idea già pitagorica e platonica (ma anche egizia: e, naturalmente, ebraica) di una divinità unica.
Studiando il Pastore di Erma, la Passio Perpetuae, i Discorsi sacri dedicati in pieno II secolo da Elio Aristide ai suoi sogni terapeutici, le esperienze oniriche di San Gerolamo e i sogni ascetici do Gregorio di Nazianzo e di Gregorio di Nissa nel IV secolo, la Cox Miller ci fa assistere non solo al «passaggio dal paganesimo al cristianesimo», bensì anche e soprattutto alla complessa e articolata inculturazione pagano-cristiana, alla molteplicità d'immagini e di concetti attraverso la quale le divinità elleniche e asiatiche si dissolvono e si risolvono nel biblico Jahvè che a "sua" volta assume tratti ellenistici, misterici e neoplatonici.
L'autrice non perde per fortuna tempo nel confutare vecchie posizioni, ancora di recente attardate sul discettare se la "credenza nei sogni" vada o meno considerata una "superstizione". Certo è che, nel tutt'altro che lineare passaggio dalle varie e fra loro diversissime forme di quella galassia di atteggiamenti filosofici e mistico-religiosi che noi rinchiudiamo stolidamente nella generica categoria del "paganesimo" al già più delimitato e rigoroso ambito del "cristianesimo" che vescovi e concilii cercavano disperatamente di precisare il più possibile, la letteratura dedicata non più tanto all'oniromanzia vera e propria quanto piuttosto al racconto (quanto fedele? E quanto consciamente fedele?) delle esperienze oniriche come fatto "significante" - dietro al quale scorgere una grazia divina o una tentazione diabolica - approdasse alla costruzione di un "linguaggio segnico" attraverso il quale diveniva possibile fornir concretezza, sotto il profilo dell'immaginazione e della comunicazione, a concetti quali il tempo, il cosmo, l'anima, l'identità personale. In questa ricerca convergono storia, filologia e semiologia per delineare un quadro ampio e profondo delle "risorse oniriche" della nascente cultura cristiana. Non oseremmo aggiungere: e del paganesimo al tramonto. Sia perché, appunto, la parola "paganesimo" è tanto generica da apparir grottesca; sia perché la discussione relativa al fatto che il paganesimo antico sia morto - se in tal caso se e fino a che punto anche per colpa o comunque a causa del cristianesimo - o si sia dissolto, o invece risolto se non metabolizzato al suo interno, salve poi facendo altre vere o false resurrezioni, è qualcosa che sembra lontana dall'essersi conclusa. Anzi: la discussione effettiva a tale riguardo è, forse, appena cominciata.