martedì 19 ottobre 2004

la nuova garzantina di filosofia

La Stampa 19.10.04
LA NUOVA GARZANTINA CONTIENE UNA SEZIONE DEDICATA ALLE 300 OPERE FONDAMENTALI DEL PENSIERO UMANO: NE PARLIAMO CON IL CURATORE GIANNI VATTIMO
Leggiamola con FILOSOFIA
di Bruno Ventavoli

C’ERANO 100 mila persone ad ascoltare i filosofi al festival di Modena, Carpi, Sassuolo. Sembra strano, ma la mente umana ha attratto quanto le gambe delle aspiranti veline. E non è un caso isolato. La filosofia esce sempre più dalle aule, per entrare nei teatri, nelle arene, negli spazi aperti della socialità. C’è sicuramente il richiamo dell’«evento», perché basta inventare un qualunque salone, magari dedicato al lombrico malese, per accumulare folle. Ma qui il discorso è più complesso. La filosofia non è più soltanto faccenda da geni distratti, con la testa talmente tra le nuvole che non s’avvedono dei pozzi e vi cadono dentro. Oggi parlare di filosofia significa confrontarsi con la complessità del mondo, in tutti gli aspetti, anche quelli che ci toccano direttamente. Quando vediamo il capitalismo impazzire negli scandali finanziari, quando cerchiamo di definire i confini della laicità e dello stato, quando parliamo di globalizzazione, clonazione o eutanasia, ci rendiamo conto che gli strumenti giuridici e scientifici a nostra disposizione sono insufficienti. Ed ecco allora tornare di moda il pensiero critico che incalza, indebolisce certezze, smaschera fantasmi. In questo clima di successo mediatico, esce la nuova edizione della Garzantina filosofica, che affronta il sapere umano dall’antichità a oggi. Gianni Vattimo ne è il curatore, in collaborazione con Gaetano Chiurazzi.
Professor Vattimo, la filosofia diventa un evento, attira pubblico. Che succede?
«Io comincerei molto brutalmente dicendo che la gente è stufa della tv, perché la tv si è autoconsumata, moltiplicandosi. Lo constato su me stesso. Non l’accendo più, non solo perché in Italia appartiene tutta a Berlusconi, ma perché non trovo più niente che m’interessi. Noia della tv a parte, credo che la popolarità della filosofia dipenda anche dalla gravità dei problemi in cui viviamo, dalla bioetica, alla politica, alla guerra, al rapporto tra mondi culturali diversi. Prima di andare a Lourdes facciamo ancora un tentativo di capire le cose con i concetti di cui disponiamo».
In che modo la filosofia può aiutarci a risolvere i problemi della modernità?
«Wittgenstein diceva “la filosofia può solo liberarci dagli idoli”. La filosofia in fondo ha una funzione più negativa che positiva. Un individuo che abbia letto molta filosofia non sempre è un uomo di forti convinzioni. In questo, paradossalmente, c’è una specie di equivoco anche nel desiderio diffuso di filosofia. Chi si rivolge alla filosofia pensa davvero di trovare un sostituto della religione? No, non credo. Io ho vissuto direttamente questa popolarità dei festival, per molti anni. Anzi, comincio persino a vergognarmi quando parto per l’ennesimo raduno. In questi luoghi la gente non si aspetta che uno gli spieghi come va il mondo o qual è il senso della vita. Vuole mobilitare liberamente dei concetti. Prendiamo ad esempio il successo dei caffè filosofici in molte metropoli del mondo, il pubblico li frequenta più per parlare che per ascoltare, ascolta un inizio poi comincia a intervenire. Nella filosofia la gente si aspetta un luogo di attività intellettuale, anche propria, piuttosto che un insegnamento da ricevere e da accettare».
Scorrendo la Garzantina sembrerebbe che la filosofia sia un sapere principalmente occidentale.
«Effettivamente è così, è un sapere che si è sviluppato nel nostro mondo. Mi è capitato qualche volta di andare in Giappone, chiedevo di parlare con un filosofo all’istituto che mi invitava. Mi facevano trovare o un giapponese che aveva studiato a Heidelberg, o un monaco buddhista. Insomma, non era tanto facile trovare un mio omologo».
Se in molti sensi la filosofia è una disciplina occidentale, significa che gli altri non la possono capire?
«Non credo questo. La filosofia semplicemente è una forma culturale abbastanza caratteristica dell’Occidente che cerca seriamente di non identificarsi semplicemente con il modo di vita occidentale. Per esempio, l’idea che si insegni filosofia in altre parti del mondo, non dipenderà dal fatto che anche là calcolano gli anni dalla nascita di Cristo, dipendono dalle banche americane, usano i nostri strumenti tecnologici, che si sono creati con la scienza europea moderna? E’ vero che molta scienza si è costruita in rapporto all’Islam, però, a un certo punto, si è sviluppata qui. La “mondializzazione” dell’Occidente è ambigua. Non possiamo dire che è solo cattiva. Certo, c’è un impero, c’è un dominio, ma c’è anche la diffusione di saperi scientifici e filosofici. Moltissimi indiani emigrano in Occidente di nascosto mentre sono pochissimi gli occidentali che emigrano di nascosto in India. Non dico che abbiamo ragione noi, ma effettivamente c’è una occidentalizzazione del mondo che realizza l’universalità del discorso filosofico come lo pensavano i nostri antenati. E mentre la realizza la mette in discussione. Non possiamo pretendere che tutti la pensino come Aristotele o Platone».
Pare quanto mai necessario ripensare a questioni che sembravano acquisite tipo cittadinanza, uguaglianza, democrazia stessa. La politica ha bisogno di filosofia?
«La filosofia ha la funzione di sdogmatizzare le nostre certezze politiche. Prendiamo i grandi filosofi del ‘900. Derrida è appena morto, era uno che non avrebbe mai giurato sulla verità assoluta delle nostre istituzioni. Non avrebbe mai occupato l’Iraq per esportare la democrazia. I filosofi non si comportano come Bush, ammettendo che sia in buona fede, cosa di cui dubito fortemente. Forse Heidegger avrebbe voluto esportare Hitler... ma a parte la battuta, nessuno dei grandi pensatori della modernità era certo delle nostre convinzioni politiche. Gli illuministi forse sono stati gli ultimi che avrebbero potuto pensare, paradossalmente, di esportare la democrazia, ma nemmeno loro, in quanto illuministi, potevano permettersi di essere dei fanatici, pensavano che occorresse discutere con la gente del luogo. Rispetto alla politica occidentale oggi la filosofia ha la grande funzione di insegnare ancora una volta a vincere le idolatrie. Il meglio della filosofia contemporanea è l’ermeneutica, il dialogo, il consenso informato, l’universalità come fatto che si costruisce nell’intesa piuttosto che con l’illuminazione».
Filosofia è anche etica. E in tutti i campi, dalla genetica agli affari, si invoca il ritorno della morale. C’è bisogno di lei anche qui?
«Ancora una volta la filosofia difficilmente insegna l’etica come sistema di principi. Ricordiamoci del demone di Socrate. Il demone diceva a Socrate cosa non doveva fare, non quello che doveva fare. I comportamenti di Socrate derivavano dai pregiudizi della polis, dal ventre, dagli istinti, dagli usi a cui era stato abituato. Il demone poneva un limite a questa appartenenza, dalla sopravvivenza quotidiana all’economia. E anche oggi, quando si parla di etica degli affari, secondo me, non si chiede all’etica di fornire un indirizzo positivo, ma di insegnare agli uomini d’affari ciò che non devono fare... non devono truffare, non devono ingannare, non devono malversare... L’etica può suggerire questo, e non consigliare in quali bond investire per essere morali. Le nostre azioni dipendono sempre in qualche dalle norme imposte e dalle aspettative degli altri. L’etica deve intervenire qui, sulla conformità dei comportamenti a usi, costumi, interessi. Il grande maestro di etica è Socrate, col suo demone, che dice continuamente ciò che non si deve fare».