La Stampa 19.10.04
UNA KERMESSE A ROMA PER DISCUTERE LO STATO DELLA DISCIPLINA
Conversando di storia
di Pierluigi Battista
LE televisioni rigurgitano di programmi dedicati alla storia. Le case editrici hanno trovato nella storia un filone redditizio. I giornali allegano con sempre maggiore frequenza fascicoli e volumi che hanno nella storia il loro baricentro. Nelle pagine culturali dei quotidiani e dei periodici le controversie di carattere storico non cessano di alimentare una (sana) vis polemica. Nella politica continua a far capolino la storia come arma contundente e principio di delegittimazione dell'avversario. Si moltiplicano in tutta Italia convegni su temi storici, come quello che si apre domani a Roma e che è diventato un appuntamento fisso di sempre maggiore prestigio. Però non tutti questi fenomeni portano in sé lo stesso segno e il fatto che la storia sia al centro di tanti e disparati indicatori della sensibilità culturale corrente non vuol dire che di esso si possa dare una lettura univoca. Un conto è infatti il trionfo mediatico ed editoriale della divulgazione storica. Di tutt'altro genere è il sempre più marcato emergere della storia come tema di infinite discussioni che dall'analisi del passato si riverberano ineluttabilmente sulle polemiche politiche dell'attualità.
La divulgazione storica presuppone infatti un accordo diffuso sui fatti della storia che si vogliono raccontare. Si «divulga» un sapere di cui non si contesta la consistenza fattuale, di cui si accettano le premesse e le conseguenze. La divulgazione popolarizza e rende di larga comprensione anche per un pubblico non necessariamente specializzato, anzi preferibilmente non versato nella materia di cui si tratta, una conoscenza che si dà per acquisita e passabilmente «certa», comunque non contestata nelle sue stesse fondamenta empiriche. Con l'ausilio delle immagini e addirittura con il supporto di apposite fictions, i programmi storici della televisione offrono per lo più una lettura popolare e comprensibile di fatti dati per acclarati e comunemente fatti propri da una collettività di lettori e di fruitori. Le biografie in genere molto amate dalle case editrici perché sempre molto apprezzate da chi acquista libri di saggistica partono un genere da un quadro documentario generalmente condiviso (a meno che non si fondino su una documentazione inedita destinata a smentire le letture tradizionali del personaggio biografato, ma questa è un'altra storia, singolarmente sospesa tra l'accuratezza delle ricerche archivistiche e il desiderio diffuso, e scandalistico, di frugare nella parte oscura o messa in ombra di quei personaggi). I supplementi di argomento storico dei giornali rivestono per lo più un carattere enciclopedico che tende a dare di un avvenimento, di un personaggio o di un'intera epoca tutto ciò che generalmente si sa e che è accreditato, senza strappi interpretativi troppo violenti, entro una prospettiva mediamente pacificata oppure secondo un'ottima dichiaratamente di parte se il giornale che allega il supplemento e il volume storico appare a sua volta molto connotato ideologicamente (difficile che i libri dell'Unità si discostino dalla vulgata di sinistra o che i volumi allegati al Giornale possano esibire un'impronta, per dire, marxista o genericamente progressista).
Le controversie storico-politiche che invece tengono banco anche nell'editoria, ma in special modo nella dimensione giornalistica e pubblicistica, e in molta convegnistica come quella che si esibirà a Roma con meritorio spirito aperto e pluralistico, indicano tutta un'altra temperie culturale. Non partono da una piattaforma di conoscenze acquisite e condivise, ma presentano delle spaccature finanche nella scelta dei fatti da trattare e nell'ottica con cui i singoli avvenimenti vengono soppesati e valutati. Si sta parlando ovviamente dei temi (quelli del fascismo e dell'antifascismo, del valore della Resistenza, del comunismo, ma anche del Risorgimento e della Rivoluzione francese) su cui più si è accesa la disputa storico-politica di questi anni. Ma in genere la frattura che ancora divide la comunità degli storici e di chi si occupa di storia nella comunicazione pubblica non è la conseguenza, bensì l'antefatto delle divisioni e delle controversie polemiche che a molti appaiono incomprensibili. Al cospetto di nuovi e irriverenti schemi interpretativi, i sacerdoti della vulgata politico-storiografica solitamente deplorano un incontinente «uso pubblico della storia», quasi a voler dimenticare che anche quella vulgata affonda le sue radici in un precedente «uso pubblico della storia» di segno ideologicamente opposto ma non meno pervasivo e vincolante. Oppure denunciano l'esilità delle «nuove ricerche» in grado di smentire il vecchio canone egemone. E invece gli stessi materiali d'archivio possono illuminare letture diverse, canoni contrapposti, chiavi interpretative più convincenti. Le discussioni storiche degli ultimi anni nascono appunto da questa discordia interpretativa, dall'uso di diverse chiavi che danno ai fatti gerarchie, significati, valutazioni completamente diverse l'una dall'altra. Non c'è per esempio discordia sul numero delle vittime del comunismo, quanto piuttosto sulla radicalità del giudizio negativo da formulare su un fenomeno che ha suscitato tante speranze ma ha costellato il suo cammino di lutti infiniti. Non si contestano le cifre fornite da Giampaolo Pansa dei «vinti» uccisi dopo il 25 aprile, ma il rapporto tra quel sangue e la valutazione di un fenomeno come la Resistenza. E così via. Malgrado i meritori sforzi del Quirinale, animati dalla convinzione che non si possa dare senso duraturo di comune appartenenza nazionale senza il riconoscimento di un passato comune, non solo le memorie appaiono tuttora divise, ma anche la storia non riesce a trovare un terreno comune in cui riconoscersi. Ecco perché le discussioni storiche, lungi dall'esaurirsi in defatiganti dispute su questioni altrimenti consegnate alla polvere del tempo, dimostrano un'effervescenza destinata a rinfocolarsi alla prima occasione. Senza scandalizzate deplorazioni.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»