martedì 19 ottobre 2004

il prof. Galimberti:
«qui occorre una psicoanalisi di massa...»

citato al Lunedì

Repubblica "D La Repubblica delle donne" sabato 16.10.04


L'IMPOTENZA DEL DOTTOR FREUD
PSICOANALISI
Un tempo era capace di spiegare una parte di noi. Oggi ci consegna la misura della nostra fragilità di fronte a un mondo instabile e imprevedibile, segnato da conflitti, torture, massacri. Morirà di asfissia? No, se rinascerà come etica sociale.
di Umberto Galimberti


Sono saltati i rimedi, le cure, le indicazioni terapeutiche. Le chiese sono deserte, le pratiche filosofiche si sono ritirate nella quiete delle aule accademiche, le pratiche psicoanalitiche hanno perso il loro referente, ossia la realtà, dal cui esame di individua, per scostamento, la nevrosi. Senza religione, senza filosofia, senza psicoanalisi, a trarre profitto è l'industria farmaceutica che seda l'anima e riduce l'inquietudine dell'individuo. Un'inquietudine che ha cambiato forma. Non più generata dal conflitto interiore fra passione e ragione che, su larga o su piccola scala, era stato il campo di gioco dei riti religiosi, delle pratiche filosofiche, delle cure psicoanalitiche, ma il conflitto fra la propria visione del mondo e il modo in cui oggi accade il mondo. Un modo che consegna all'individuo il senso della sua radicale impotenza. Come faccio a sopportare la colpa di essere un privilegiato nel mondo perché i miei figli non muoiono di fame e io non sono cacciato da casa mia dopo aver visto mia moglie uccisa a colpi di machete? Come faccio a vivere nell'imprevisto, dove ogni mezzo di trasporto è una potenziale minaccia, ogni volto appena dissimile dal mio è un volt inquietante? Dove colloco nella mia anima e dove sistemo nella mia ragione quei numeri approssimativi e indefiniti che dicono 15000 afgani uccisi per catturare Bin Laden e 20000 iracheni morti per deporre Saddam? Dove colloco, a partire dai miei parametri di civiltà, le torture nelle prigioni irachene, i prigionieri di Guantanamo, i bambini uccisi di petto e di schiena nella sperduta Ossezia, il rituale quotidiano delle teste che cadono, e questa volta non metaforicamente?
Dove colloco il mio futuro se anche la Cina, l'India e l'Africa si muovono per vivere come vivo io, e se io so di poter vivere come vivo solo se loro contengono e limitano le loro esigenze e possibilità di vita? Cos'è mai la mia vita e la mia realtà se la prima non è più scandita dalle dinamiche della mia esistenza e la seconda da quello spessore stabile e concreto su cui fin ora era possibile misurarsi, se l'una e l'altra si sono dissolte e volatilizzate in quell'unico misuratore di tutte le misure che è il denaro, che si produce anch'esso disancorato dalla realtà del lavoro, nella virtualità delle operazioni ?

È con la satana
[sic! Ndr] realtà, che la nostra anima, che nella realtà aveva la sua misura, sia per il suo equilibrio sia per il suo squilibrio, non ha più referente. E le parole che conosceva per nominare il suo dolore: peccato-redenzione nel registro religioso, angoscia e quiete in quello filosofico, governo di sé e nevrosi in quello psicoanalitico, sono diventate parole vuote che più non sanno nominare l'essenza del dolore, perché questo più non nasce nella nostra interiorità, ma dall'esterno giunge a contaminare e devastare l'anima.
Il lettino psicoanalitico ultima metafora dl raccogliemento prima religioso e poi filosofico, è vuoto, e le parole che giungono alle spalle degli ultimi pazienti ancora sdraiati sono parole fuori dal mondo, perché vanno a cercare l'origine del dolore nella biografia, mentre oggi sono la geografia e la storia a disanimare l'anima, a istillare sussulti d'angoscia.
L'individuo,nozione nata in Occidente con il concetto di anima, su cui l'Occidente ha costruito la sua cultura nella forma dei diritti e delle libertà individuali, non ha più molto senso se in gioco è l'indifferenza per la vita in generale, la sua sprecabilità, la sua inincidenza nell'andamento truculento del mondo. Il passato, in cui la psicoanalisi fa i suoi affondi per reperire le trame del disagio, è diventato così antiquato, diverso, quasi archeologico rispetto al presente, da non offrire nessuna chiave di lettura per riorientare l'anima nell'indecifrabilità dell'oggi, dove tutte le chiavi di lettura si sono perse nel disordine del mondo.
Il futuro poi ci è stato semplicemente tolto, sia quello religioso perchè Dio è morto, sia quello laico perché la rivoluzione è impossibile, l'utopia è lontana, la scienza progredisce in modo afinalizzato, spiazzando l'etica su cui avevamo costruito le nostre regole di condotta e conosciuto le nostre deroghe.
Il futuro-promessa, che alimentava in chiave religiosa la fede nella salvezza e in chiave scientifica il progresso, si è trasformato in futuro-minaccia, e anche l'ipotesi di Freud secondo cui la consapevolezza sarebbe subentrata e avrebbe preso il posto delle forze scatenate e sconvolgenti dell'inconscio (scrive letteralmente Freud:«Dov'era l'Es deve subentrare l'Io. Questa è l'opera della civiltà») si è rivelato un sogno, una vuota profezia.
Non è vero come titola un libro di Hillman:«Cento anni di psicanalisi e il mondo va sempre peggio». Il mondo di oggi non è "peggiore", non è uno scalino più sotto del mondo di ieri. Il mondo di oggi è un altro mondo, che ha percorso all'indietro il cammino che l'umanità ha compiuto quando si è congedata dalla violenza del sacro per giungere all'ordine della ragione.
Quando Dioniso entra a Tebe, ci riferisce Euripide nelle Baccanti, crolla il palazzo del re, il sovrano è ucciso, i vecchi si comportano come i bambini, le donne, come menadi, smaniano sul monte Citerone agitando un ramo di tirso, l'ordine della città è sconvolto. Non si può cacciare Dioniso, perché l'uomo nulla può contro la potenza devastante di un dio. Bisogna solo attendere che Dioniso se ne vada, che spontaneamente lasci la città (Deoconcedente).

Quest'immagine del sacro che irrompe nell'ordine e lo sconvolge sbaraglia tutti i nostri strumenti terapeutici
idonei solo a correggere e migliorare un ordine, e perciò langue la religione, che a furia di occuparsi dell'ordine del mondo ha dimenticato le orme del sacro, e langue la psicanalisi che, tutta raccolta intorno all'interiorità dell'individuo, non ha strumenti per un'interiorità lacerata da un mondo dove il sacro ha fatto la sua irruzione e compiuto la sua devastazione. Per usare una metafora di Umberto Eco questo può sembrare il discorso tipico degli "apocalittici", ma quale altro discorso è possibile se gli "integrati" hanno trovato il loro rifugio tra i decerebrati a cui la televisione, lo stadio, la moda, lo shopping hanno fornito gli opportuni strumenti di rimozione che possono essere "letterali": «Non è successo niente che mi tocchi da vicino», «Questi fatti non hanno niente a che fare con me e quindi non mi riguardano», oppure "interpretativi" per cui la pulizia etnica si chiama "scambio di popolazioni", un massacro "danno collaterale", una deportazione "trasferimento di popolazione", una tortura "pressione fisica", un'occupazione "esportazione della democrazia", una guerra "missione di pace". A colpi di diniego, letterale e interpretativo, i decerebrati possono sentirsi integrati e non toccati dall'accadere del mondo.
La psicoanalisi, che ha inventato la parola diniego (verneinung), ha sempre lasciato fuori dalla stanzetta analitica il mondo. Forse lo poteva fare perché il mondo era stabile, e se crollava, come nella prima e nella seconda guerra mondiale, si ricostruiva su schemi da secoli collaudati. Oggi questi schemi non valgono più, perché la nostra casa (l'Europa) non è più il mondo, ma una piccola parte del mondo, e l'uomo che la psicoanalisi ha conosciuto, è, come dice Gunter Anders, "antiquato".
Qui occorre una psicoanalisi di massa, simile a quella che un giorno hanno compiuto le religioni quando hanno insegnato a "non uccidere", "non rubare", "non nominare il nome di Dio invano". Non con gli strumenti della religione, perché Dio è morto, ma con quello strumento più modesto, a disposizione di tutti gli uomini, che si chiama "etica". "Etica sociale" che deve irrompere nel chiuso delle stanzette analitiche perché non è salute ma follia pensare di salvare la propria anima nel più completo disinteresse per tutto ciò che accade nel mondo. In caso diverso anche la psioanalisi andrabbe a rinforzare gli eserciti della rimozione e, così facendo, tradirebbe se stessa perché sua è la parole "rimozione" e sua è l'indicazione della salute come scavo per far riemergere il rimosso.