mercoledì 13 ottobre 2004

le malattie mentali in Cina

clarence.com
Martedì 12 Ottobre 2004, 13:53
Salute: Cina, i disturbi mentali sono la prima 'piaga'
Colpa della modernizzazione


Pechino, 12 ott. (Adnkronos Salute) - I disturbi mentali rappresentano una vera e propria 'piaga' per la Cina, e rappresentano il ''maggiore problema di sanita' pubblica del Paese''. Circa 16 milioni di cinesi, infatti, soffrono di una qualche forma di disagio mentale, dunque circa l'1,34% della popolazione, ha riferito oggi lo stesso ministro della Sanita' di Pechino. ''Tutta colpa della modernizzazione - ha spiegato - che ha 'spazzato via' le tradizioni culturali del Paese e della famiglia''. I piu' vulnerabili sembrano essere gli appartenenti a quattro categorie di persone: giovani, donne, anziani e sopravvissuti a disastri. Per loro in agguato schizofrenia, depressione e Alzheimer, ''i tre grandi disturbi mentali 'made in China'''. ''Il Paese sta attraversando un periodo di profondi cambiamenti - ha spiegato il direttore del Dipartimento per il controllo delle malattie del ministero della Sanita' cinese - e sono aumentati esponenzialmente i conflitti e le pressioni. E la trasformazione della famiglia e della struttura della societa' ha contribuito ad aumentare l'incidenza dei disturbi mentali''. Una previsione suffragata dai dati dell'Organizzazione mondiale della sanita' secondo cui ''nel 2020 un quarto di tutte le patologie registrate nel Paese asiatico saranno di natura mentale''. E sembra che al governo di Pechino oltre ai risvolti sanitari interessino anche le conseguenti ''pesanti ripercussioni economiche che deriveranno da questo aumento incontrollato''. (Sch/Adnkronos Salute)

Repubblica 13.10.04
Tutto, dalla scuola alle cure mediche, è ormai a pagamento. La pressione scatena ondate di suicidi e massacri "stile Columbine"
Cina, la rabbia degli orfani del Welfare
Aumentano povertà e casi di violenza. Allarme dell'Accademia di scienze sociali
Ripudiate tutte le politiche egualitarie di cui il paese era simbolo
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
FEDERICO RAMPINI

PECHINO - Xue Ronghua, 24 anni, si è costituito al commissariato di polizia della sua città, Nanchang, dopo aver pugnalato a morte due coetanei e averne feriti gravemente altri cinque. Gli mancava solo un mese per laurearsi in medicina all´università statale dello Jiangxi. Ma Jiajue, studente al college dello Yunnan, ha ucciso quattro compagni a martellate e ha nascosto i cadaveri nei loro armadi. Lo hanno catturato dopo un mese di fuga nell´isola di Hainan. La Cina è turbata dai suoi «massacri di Columbine»: episodi di violenza in stile americano nelle scuole dove abitualmente regnano l´ordine e la disciplina. Il ministero della Sanità ha promosso un´inchiesta e i suoi risultati indicano che «dal 16 al 25% degli studenti cinesi ha disturbi mentali che variano dalla paranoia alla depressione». La facoltà di medicina dello Jiangxi - quella dove Xue ha fatto la sua strage - dà una cifra un po´ più bassa (10% di studenti affetti da turbe psichiche) ma nel gergo asettico dei ricercatori aggiunge questa notazione: «Gli studenti provenienti da famiglie povere sono mentalmente meno sani». I genitori di Xue hanno un reddito annuo di 2.000 yuan, cioè 200 euro, che sono pochi anche per vivere nel loro villaggio dello Jianxi. Il padre è un´ex guardia forestale, disoccupato, l´unico patrimonio di famiglia è un televisore in bianco e nero. Per mandare il figlio all´università hanno fatto 17.000 yuan di debiti. A scatenare la furia di Xue sembra essere stata l´insistenza con cui i professori gli ricordavano gli arretrati delle tasse universitarie da pagare. In quanto a Ma Jijue, veniva deriso perché la sua magrezza patologica lo rendeva «effeminato». Ma la scelta per lui era fra i libri e i pasti. Nel secco rapporto di polizia si legge che «fra gli studenti ricchi è buona usanza invitarsi a pranzo, i poveri che non possono permetterselo vengono bollati come degli asociali». Oltre alle violenze in stile Columbine, i suicidi tra studenti hanno un aumento esponenziale e il detonatore è quasi sempre lo stesso: i genitori contadini non riescono più a pagare gli studi, devono ritirare il figlio dalla scuola.
E´ la faccia nascosta del miracolo economico cinese. Balzato dal comunismo al capitalismo alla velocità della luce, questo paese ha ripudiato in modo drastico tutte le politiche egualitarie di cui era il simbolo. E´ una Cina senza Welfare, una società più simile al modello americano che al nostro. Qui lo Stato-minimo non garantisce quasi nulla, tutti i servizi si pagano e si pagano cari. Compresi i più essenziali: l´istruzione, la salute, la pensione.
Perfino la scuola elementare e media, teoricamente gratuita per le nove classi dell´obbligo, in realtà costa fino a 800 yuan all´anno solo di libri e «partecipazione alle attività didattiche». E´ un prezzo che nelle campagne provoca milioni di abbandoni ogni anno. All´estremo opposto c´è la nuova middle class che a Pechino manda i figli solo nelle scuole private come lo Huijia College: 40.000 yuan di gettone d´ingresso iniziale, più 20.000 yuan di retta all´anno per avere un´istruzione bilingue, corsi extra di matematica e scienze, una corsia preferenziale verso le università di élite come la Tsinghua o i college americani. In due decenni di rivoluzione di mercato lo Stato si è ritirato dai suoi compiti. Il risultato è un divario ricchi-poveri e città-campagna che ora la stessa Accademia delle Scienze sociali giudica esplosivo, la premessa di un disastro sociale, in un rapporto intitolato «La società opulenta, un nuovo problema per la Cina».
E´ lontano anche il tempo dei famosi «dottori a piedi nudi» nelle campagne cinesi della Rivoluzione culturale: un mito di sanità povera alla portata di ogni villaggio, che dietro la sua facciata idealizzata fece molti danni. Ma quell´utopia tragica è stata sostituita con la privatizzazione di quasi tutto.
«La maggioranza dei contadini non può permettersi più neppure una visita medica» ammette Fu Jing sul quotidiano ufficiale China Daily. Nel 2003 l´epidemia della Sars ha messo a nudo le falle paurose del sistema di prevenzione e di cura, soprattutto nelle zone rurali. La spesa pubblica per fornire l´assistenza sanitaria nelle campagne è irrisoria: un euro a persona all´anno. Il 90% dei contadini devono pagarsi ogni cura di tasca propria.
Quasi a scimmiottare l´infausto esperimento dei «dottori a piedi nudi» degli anni 70, quest´estate il governo ha mandato in giro gli «ospedali sulle ruote», un migliaio di mini-ambulatori su autobus che attraversano le campagne: una goccia nel deserto di assistenza. Nelle grandi città si sta un po´ meglio. Qui a Pechino lo Stato interviene, in cambio di una tassa sanitaria obbligatoria per tutti i residenti, che è di 150 yuan al mese per una impiegata di trent´anni. Ma anche per il ceto urbano la generosità del sistema ha i suoi limiti. Fino a 2.000 yuan all´anno (200 euro) il paziente deve pagare tutto di tasca propria, visite medicinali o ambulatorio. Sopra i 2.000 yuan scatta l´intervento pubblico ma in modo stranamente decrescente: lo Stato rimborsa il 90% delle spese sanitarie fino a 5.000 yuan, l´85% fino a 10.000, l´80% fino a 30.000 yuan e così via. Più ti ammali, meno lo Stato ti assiste. E naturalmente la rete di protezione urbana non vale per il sottoproletariato delle grandi metropoli, gli immigrati che affluiscono dalle campagne senza un regolare permesso di lavoro e di soggiorno, quindi non esistono per lo Stato. Questo esercito di nuovi poveri - ufficialmente il ministro degli Interni Li Xueju riconosce «mezzo milione di vagabondi e medicanti» - se non ha paura della polizia può andare nei ricoveri dei senzatetto. Al Welfare che non c´è si sostituisce la carità: solo a Pechino quest´estate hanno inaugurato quattro rifugi per homeless.
In questa Cina comunista solo per il nome del partito unico, non c´è Stato sociale neanche per la vecchiaia. Gli 800 milioni di contadini - il 63% della popolazione - non hanno diritto a una pensione pubblica. Nelle campagne l´unico sussidio di anzianità sono i figli, ragion per cui si sta rimettendo in discussione il controllo delle nascite basato sulla regola del «figlio unico». Non hanno pensione o assegno di disoccupazione i 28 milioni di senza lavoro ufficiali, né gli altri tre milioni che ogni anno vengono licenziati dalle aziende di Stato in cura dimagrante. In quanto ai giovani trentenni in carriera, quelli che parlano l´inglese e lavorano per le multinazionali a Shanghai e Pechino, hanno capito in che mondo vivono: oggi la Cina è il mercato più in crescita per l´assicurazione vita, i fondi pensione privati e individuali.
Solo ogni tanto la vecchia ideologia rialza la testa, prova a reagire contro gli eccessi e le durezze di questa Cina a due velocità. La settimana scorsa all´università di Yangzhou - la stessa in cui si laureò l´ex leader Jiang Zemin - alcuni studenti si sono ribellati di fronte al nuovo progetto di campus in costruzione. Nei piani dell´università è previsto un apartheid sociale. Da una parte i dormitori-caserma dei poveri, quelli che possono pagare solo 500 yuan all´anno. Dall´altra il pensionato dei giovani ricchi: camere da quattro letti, docce individuali, computer e Internet in ogni stanza. Sul sito dell´università lo studente Li Ren ha denunciato «una macchia sugli ideali di libertà e di eguaglianza nell´istruzione». Il suo docente di filosofia, Han Donghui, parla di una «distanza tra ricchi e poveri che ormai crea un vero estraniamento tra gli studenti». Ma la tensione non si trasforma in barricate, e fuori dal campus la notizia è stata accolta con rassegnazione.
Sul giornale locale il lettore Zhu Shugu ha scritto: «il campus è un microcosmo della nostra società, abituatevi».