domenica 24 ottobre 2004

storia delle donne
tre streghe nel Ponente ligure

Corriere della Sera 24.10.04
CULTURA
Un’indagine di Stefano Moriggi racconta le persecuzioni in Italia prima di Salem e di Loudun
in un intreccio all’italiana

Lo strano caso delle streghe che evitarono il rogo
una recensione di Giulio Giorello

La storia
Il libro di Stefano Moriggi, «Le tre bocche di Cerbero» (edito direttamente nei Tascabili Bompiani) indaga uno dei casi più affascinanti, misteriosi e feroci di stregoneria avvenuti in Italia, e più precisamente a Triora, piccolo borgo del Ponente ligure tra il 1587 e il 1589. Moriggi cerca di ricostruire che cosa si nascose dietro la misteriosa scomparsa delle donne accusate di stregoneria, torturate dall’Inquisizione e infine deportate da Triora.
«La vigilia del 24 giugno, giorno in cui ricorre la festa di San Giovanni Battista, compatrono di Triora, riaccendono ogni anno, a notte iniziata, dei fuochi di fascine di legna detti falò nell’interno dell’abitato di Triora e paesi circonvicini e sul colle antistante alla chiesa di S. Zane (da Zuane, uguale Giovanni) sul Monte Ceppo». Così leggo ne Le streghe e l’Inquisizione di Francesco Ferraironi (un classico, 1955, di storia della stregoneria) cui attinge anche Stefano Moriggi in questo Le tre bocche di Cerbero. Poiché si tratta del Ponente ligure, zona geografica che mi è abbastanza nota (la famiglia di mio padre era dell’alta Val Bormida), mi ha richiamato i falò della mia infanzia che costellavano le colline, quasi a voler rompere il buio notturno e a regalare ancora frammenti dello splendore di quei giorni che sono tra i più lunghi dell’anno. Il buon reverendo Ferraironi scrupolosamente aggiungeva che tutti quei fuochi «che si accendono in Liguria per la festa di San Giovanni non hanno alcuna relazione con la stregoneria», in quanto si limitano a esprimere «gioia popolare»! Il che mi riconforta, perché debitamente aiutato e/o sorvegliato da mio nonno e da mio padre, da ragazzino ne accendevo uno anch’io in un campo della nostra casa di campagna - e mi spiacerebbe passare (insieme con babbo Carlo e nonno Giulio) per uno che fa parte di una qualche «ribalda» setta di stregoni. Comunque, Triora ha davvero conosciuto la sua caccia alle streghe nel terribile triennio 1587-1589. Superstizioni, accuse, furori popolari, timori dei maggiorenti (quando vi videro coinvolte le loro «matrone») e soprattutto accanimento persecutorio da parte di magistrati «laici» che solo l’intervento dell’Inquisizione romana riuscì alla fine a «moderare». Un caso molto europeo (e tutto italiano) che solo per avventura (e magari per tirchieria) non si concluse con le fiamme dei roghi. Il libro di Stefano Moriggi non solo ricostruisce le modalità dei processi, ma cerca di gettare qualche luce sulla misteriosa scomparsa delle donne accusate, torturate e infine deportate da quell’antico borgo dell’alta Valle Argentina. È l’occasione per scandagliare gli inizi della nostra modernità e i tratti peculiari della cultura del nostro Paese - all’apparenza così devoto, di fatto così sensibile all’utilità del Male. (Ma non vogliamo svelare qui l’intrigo politico e i nomi dei veri colpevoli). Come scrive lo stesso autore: «Nella pavimentazione della piazza centrale di Triora, davanti alla chiesa parrocchiale, spicca lo stemma civico: Cerbero, il favoloso cane a tre teste e quindi a tre bocche, latinamente tria ora». Un nome, un destino? Stefano Moriggi è una sorta di Candide postilluministico che non si fida troppo dei fanatici (i magistrati, laici o religiosi che siano, che assurgono a deuteragonisti del suo racconto); che contro di loro fa propria l’ammonizione dell’illuminato gesuita Friedrich von Spee (1631: «Chi poi si sentisse ardere di indignazione contro il delitto di stregoneria tenti di controllarsi un poco e unisca a sì gran zelo razionalità e ponderazione»); che non ama l’evocazione né di un Dio né di un Diavolo «tappabuchi», come non la amavano Hume o Voltaire; che non esita a ricorrere alla critica filosofica di Ludwig Feuerbach quando vuol mostrare che tralasciare la componente diabolica finisce col «mutilare violentemente» il Cristianesimo stesso; che nello smontare l’ideologia sottostante della caccia alle streghe si serve dei sofisticati strumenti dell’epistemologia contemporanea; che ricorre alla teoria dei memi di un naturalista come Richard Dawkins per contenere gli effetti di una lettura troppo relativistica della faccenda... Ma che infine tempera alcune delle sue considerazioni più speculative con il riferimento al suo Papa preferito, quel Paolo VI che, con la sua audace ammonizione circa la presenza del Demonio, non aveva avuto esitazione a sfidare il senso comune di laici e cattolici troppo «secolarizzati».
Alcune delle ricostruzioni di necessità congetturali che l’autore propone in questo Le tre bocche di Cerbero, e forse non poche delle sue tesi circa il ruolo svolto dal Maligno nella formazione della moderna coscienza europea potranno sembrare incompiute o addirittura appena abbozzate. E ciò non solo perché ogni autentica ricerca è interminabile; e nemmeno, nella specifica questione di Triora, per la non disponibilità di molte fonti dirette o altro prezioso materiale, ma proprio per il carattere intrinsecamente ambiguo di quell’Aleph dello spazio-tempo della geografia italica che viene normalmente etichettato come la caccia alle streghe trioresi. Stefano Moriggi ha il dono della chiarezza e della piacevolezza di stile - due doti essenziali per non lasciarsi risucchiare dal fascino perverso di quelle alture, dove, stando alla leggenda, il cane infernale avrebbe fatto cadere la sua bava affinché potessero germogliare i fiori della trasgressione.
Il testo qui pubblicato è una parte della postfazione che Giulio Giorello ha scritto per il libro di Stefano Moriggi, «Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora: le streghe prima di Loudun e di Salem», Tascabili Bompiani, pagine 224, 7,50, in libreria da mercoledì 27 ottobre
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