lunedì 8 novembre 2004

7 novembre 2004
LIBERAZIONE A PAGINA 10!
L'UNITÀ A PAGINA 2!

ringraziando Eros Cococcetta ed altri compagni e compagne

L'articolo di pagina 10 di Liberazione del 7 novembre 2004:

Al dibattito sulla nonviolenza il leader comunista avverte sui pericoli della vittoria di Bush
Ingrao: «Ho paura per il mondo come in quei giorni del '42»

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«Il secolo che abbiamo alle spalle dette l'impressione che Hitler avesse vinto. Mi ricordo quel maggio e giugno in cui pensavamo tutto perduto. Ora è diverso. Però attenti. Negli Usa ha vinto l'uomo della guerra preventiva. Appena usciamo da qua, ricordiamoci, ricordate alla gente questa paura. Ma anche la speranza: la guerra preventiva, noi, i popoli del mondo non la faremo passare. E' questo il mio augurio». E' un Pietro Ingrao molto turbato per le sorti del mondo quello che parla davanti a una platea di duemila persone. Una folla, richiamata dal tema della nonviolenza, che accoglie l'anziano leader della sinistra e il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, con applausi a scena aperta. Li acclama come simboli di una politica non astratta, ma capace di toccare il cuore del cambiamento: la trasformazione prima di tutto, soprattutto dell'essere umano. Ingrao cammina e parla lento. Ma i pensieri vanno veloci, connettono passato e presente: «Ho un ricordo dolce di quel maggio del '45, quando arrivò la notizia che Hitler si era ucciso, che la guerra era finita». Bertinotti si alza e lo abbraccia: insieme hanno lanciato la sfida, il sogno della pratica politica della nonviolenza. Insieme ne costruiscono il ragionamento. «Senza sogni non si vince - dice il segretario del Prc -. Sia la nonviolenza l'inizio del nostro sogno». Le persone presenti in sala si alzano in piedi ad applaudire.

E' venerdì sera a Roma. L'iniziativa è organizzata nel centro Dionisya, presso villa Piccolomini, dalla libreria "Amore e psiche". La libreria ha dodici anni di vita, tutti legati al lavoro trentennale dello psichiatra Massimo Fagioli, alla sua proposta dell'analisi collettiva. Quando Sonia Marzetti e Luca Bonaccorsi iniziano a preparare la serata non pensano a un tale successo. Ma lavorano tosto e a poco a poco le adesioni diventano sempre più numerose, tanto da richiedere una sala più grande. Neanche questa è sufficiente. Nella sala accanto viene allestito uno schermo che trasmette l'incontro in diretta. Da una parte ci sono mille persone, dall'altra altrettante. Quando Bertinotti entra in sala viene accolto con un'ovazione. «Non mi capitava da tanto tempo di essere così emozionato. Di aver paura mi capita spesso, ma di essere così emozionato no». Gli uomini e le donne presenti ridono, ascoltano attenti. Molti di loro hanno letto gli atti del convegno dedicato alla nonviolenza del Prc e il saggio di Bertinotti Per una pace infinita. Fanno domande molto difficili. Chiedono di declinare la nonviolenza in termini filosofici, antropologici, psicoanalitici. Interrogano il confine tra il bene e il male.

In sala sono presenti Fagioli e il regista Marco Bellocchio. E' presente anche la sorella di Ingrao, Giulia. Giulia prende la parola prima di Pietro. Chiede, in modo semplice, netto, una cosa difficilissima, ma non impossibile: far diventare la nonviolenza il punto di partenza per la trasformazione dell'essere umano. E' la richiesta di una politica che tocca il cuore delle cose. La sua identità.

A sdrammatizzare ci pensa Pietro Ingrao: «Perbacco quanto parlate difficile» dice tra le risate liberatorie. E lancia la proposta di raccogliere in un libro gli interventi della serata. Lui ci vuole pensare. Sono questioni grosse che richiedono tempo. Una cosa però ha molto chiara: l'attualità. La preoccupante attualità: «La mia generazione ha commesso degli errori. Ma è stata anche una protagonista importante: della lotta sociale, della pace. E' un impegno che fa onore a questo paese. Ha aiutato a sconfiggere il nazifascismo. Badate: è stata proprio dura. Eravamo a un pelo dalla rovina. Io, ora, mi sento di nuovo in ansia. Sento l'ansia perché vedo tornare un'esperienza umana che ha già stravolto il Novecento. La vittoria di Bush è sconvolgente. Netta. E a me spaventa. Questo uomo è colui che ha compiuto il rilancio grave e terrificante della guerra. La nostra riflessione sulla nonviolenza è chiamata a confrontarsi con questo elemento. Siamo minacciati».

Ritorna il filo rosso della memoria: «Mi ricordo l'emozione che provai quando giunse la notizia della fine della guerra. Mi viene in mente ogni volta che sfoglio le Lettere dei condannati a morte della Resistenza. Erano lettere scritte quasi tutte da giovanissimi. Si possono sintetizzare in poche parole, semplici: "Sto per morire, fatevi coraggio". Oppure: "Muoio, con una speranza per voi". Queste frasi rendono bene quella che a me sembrava la novità del Novecento. Mi ingannavo: pensavo che quella esperienza terribile avesse segnato un confine. Poi la delusione, ancora una volta. Dopo quell'esperienza era nata una parola: disarmo. Ora è scomparsa. Ne sono nate altre due. Guerra e aggiungo: guerra preventiva. E' quello che mi spaventa di più. La guerra non è più neanche mascherata come difensiva. E' diventata preventiva. E chi l'ha teorizzata ha vinto. Fausto - Ingrao si rivolge direttamente al segretario del Prc - quando hai scritto i libri sulla nonviolenza, non lo pensavamo ancora. Invece è accaduto. Parte decisiva della vittoria di Bush è venuta dalle fasce sociali che non sono ricche. Io oggi sono davanti a questa angoscia: i nostri hanno votato l'uomo della guerra preventiva. Mi sento imbarazzato a ricordare queste verità davanti a una platea così calda e direi fidente».

«Che fare allora?» si chiede Ingrao. «Bertinotti ha il merito, in parte ce lo ho anche io, di aver ritirato fuori quelle due paroline: non violenza. Non le pronunciava più nessuno. Neanche quel Papa che pure io rispetto. Sono turbato. Ma vedere questa sala mi piace. Mi dà speranza. Che facciamo? Come rendere quelle due paroline un po' matte, forse un po' ridicole se sentite pronunciate durante un comizio, un modo per impedire che la guerra preventiva vada avanti? Spero ardentemente che non ce la facciano. La speranza siete voi».

Quando Ingrao finisce di parlare, la tensione è forte. Il clima conviviale è però immutato. Si parla di Bellocchio, del suo cinema che da Pugni in tasca a Buongiorno, notte ha chiuso con il bisogno di mettere in scena personaggi violenti. «Attento - scherza Ingrao - che prima di fare la politica, volevo diventare regista». Bertinotti: «Mi trovo tra un Ingrao che se avesse fatto il regista, avrebbe fatto anche meglio. E un regista che si commenta da solo. Anche se - continua il gioco Bertinotti - se devo scegliere tra i suoi film e sentire Bellocchio che parla del proprio cinema, corro a vedere i film». Ancora risate e applausi. Ancora la voglia di stare insieme. «E' solo l'inizio di un percorso» ripetono in molti alla fine, mentre Bertinotti e Ingrao si salutano e salutano i presenti. Un inizio niente male.

Angela Azzaro
angela. azzaro@liberazione. it

L’UNITA’ del 7 Novembre 2004, pagina 2
Libreria «Amore e Psiche» di Roma lui e Ingrao davanti a mille persone a discutere di non violenza
Bertinotti, più Gandhi che Marx


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ROMA Un grande evento culturale, un incontro e un confronto di alto valore e spessore politico da cui non sono emerse incompatibilità, anzi convergenze sul tema della “non violenza”.
Cos Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione Comunista, parla dell'incontro e confronto, promosso dalla libreria “Amore e Psiche”, avuto insieme a Pietro Ingrao con l'Analisi Collettiva dello psichiatra Massimo Fagioli, con oltre mille persone «dotate di una fantastica capacità di relazionarsi con il mondo e con la politica».
Con trent’anni di ritardo, essendosi tenuto stretto il marxismo e il comunismo a lungo, Fausto Bertinotti metaforicamente si fa l’analisi per abbracciare il verbo della nonviolenza e Gandhi. Le piacevoli sorprese sulla strada di una nuova cultura di sinistra che Bertinotti, più di altri da questa parte, sta cercando e praticando. E, in fondo, dimostra che ci sono basi da cui partire.
Tanta emozione mista ad imbarazzo per la qualità degli interventi e delle domande. «Sono state due ore intense e piene di emozione - racconta Bertinotti - È accaduto l'inimmaginabile, mai avrei pensato di trovarmi di fronte ad una platea con tanti giovani così competente ed attenta, preparata e piena d'interesse per la politica che al contrario non sa parlare alla gente ed ai giovani: penso che abbia funzionato l'argomento, la scintilla è stata la non violenza».
Ed ecco allora il feeling che si stabilisce dopo un'oretta tra il politico di professione ed una platea di gente comune, tanti giovani, psichiatri e psichiatre, architetti, avvocati, medici, insegnanti e cineasti come Marco Bellocchio.

«Seppure questa fantastica realtà fa ricerca sulla psiche e sul profondo dell'essere umano - osserva ancora Bertinotti - è capace di relazionarsi con la cultura, con la politica, con quel che accade nel mondo». Insomma, sono lontani davvero gli anni in cui la sinistra non riconosceva e osteggiava l'Analisi Collettiva nata spontaneamente nel 1975 a Villa Massimo: oggi è un fatto e una realtà storica innegabile. «Dialogo e confronto con questa realtà? Caspita se sono possibili - precisa Bertinotti - anche se quest'area culturale è costruita sull'indagine del profondo dell'essere umano, sulla psiche umana». Non si tratta dunque di qualcosa di astratto e astruso.
«Tutt'altro - continua entusiasta Bertinotti - Ci accomuna una ricerca: la prassi della non violenza, come renderla pratica quotidiana».
Insomma un incontro tra esperienze diverse ma ricco di convergenze. «Indubbiamente è stato un grande evento culturale per la città e la politica», conclude il leader di Rifondazione Comunista.
(v.c.)

Liberazione del 7 novembre 2004
pagg. 2-3
ELOGIO DELL'IDEOLOGIA
Intervista a Fausto Bertinotti di Piero Sansonetti

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Fausto Bertinotti è convinto che la vittoria di Bush sia il risultato di una vera e propria "rivoluzione" compiuta dalla destra americana. Ed è anche convinto che per fronteggiare questa rivoluzione di destra ci sia un solo modo: la sinistra deve tornare - diciamo così - all'ideologia.
Cioè deve ricostruire un suo sistema di pensiero, di interpretazione del mondo, di progetto universale. Una nuova ideologia della sinistra, secondo Bertinotti, ha tre pilastri:
l'altermondialismo (cioè la certezza che un altro mondo è possibile), la non violenza, e l'aspirazione all'uguaglianza.

Partiamo da una rapida lettura dei giornali di questi giorni. Il più autorevole quotidiano europeo, "Le Monde", venerdì ha messo in prima pagina questo titolo: "La rivoluzione conservatrice assicura la rielezione di George W. Bush". Bertinotti, sei d'accordo?

Si, sono d'accordo. La vittoria di Bush è la sanzione elettorale di un lungo processo: la costruzione di una politica rivoluzionaria di destra...

La parola rivoluzionaria è molto forte. E' appropriata?

Nel nostro linguaggio, no. Nel nostro linguaggio "Rivoluzione" vuol dire trascendimento della società capitalistica, e allora non va bene. Se invece alla parola rivoluzione diamo un significato non marxista, allora quella di Bush è una rivoluzione: è una rottura con il passato, con il paradigma che fin qui ha usato la destra.

Qual era il paradigma?

Dopo il crollo del muro di Berlino si è sprigionata una spinta che puntava a cancellare le ideologie. Questa spinta proveniva soprattutto dall'America. E ha avuto successo. Ha dissolto le ideologie. E' stato un passaggio fondamentale della storia recente. Cosa si intendeva per ideologie? Si intendeva una idea del mondo, articolata, precisa, che desse risposte alle domande fondamentali della politica e della civiltà. Via tutto: demonizzato, demolito, tabula rasa. E' nato così il pensiero unico che ha dominato gli anni novanta. E questo - il pensiero unico - era il paradigma della destra. Chi è restato fuori dal pensiero unico? Solo piccole minoranze, che io definirei "resistenziali" (come noi di Rifondazione) le quali comunque sono state messe fuori dalla grande scena politica, e cioè, ad esempio, dalla possibilità di governare. Il pensiero unico ha divorato tutto: idee, tendenze, modi di vedere, capacità critiche. Il pensiero unico è lui stesso un'ideologia, nato dal dissolvimento delle altre ideologie, ma ha la capacità di non sembrare tale. Si presenta non come ideologia ma come senso comune, e si presenta con la forza dell'assioma, del punto di vista indiscutibile. Cosa dice questo assioma? Semplicemente che con la caduta del comunismo scompaiono tutte le idee e le aspirazioni che il comunismo portava, e sostanzialmente scompare l'aspirazione all'uguaglianza. Quindi gli Stati perdono gran parte delle proprie incombenze e dei propri poteri, e al mercato viene assegnato il compito di diventare il regolatore di tutto e di essere la Weltanschauung - l'anima e il cervello - della politica moderna. Questo diventa il punto di partenza incontestabile di ogni possibile discussione.

Tu mi stai descrivendo quello che è successo negli ultimi quindici anni. Le elezioni americane però segnano uno scarto. Non è successo che il pensiero unico si è rotto e la nuova ideologia bushista è andata oltre?

Esattamente. E' successo proprio così. Il bushismo è un'uscita da destra dal pensiero unico. Capisci cosa hanno fatto? Prima hanno costruito il campo del pensiero unico, hanno annientato le ideologie che si opponevano, hanno chiuso tutti dentro quel recinto, e poi hanno detto: adesso basta, ora realizziamo noi una nuova ideologia, di destra, partigiana, che spariglia di nuovo il gioco. In questo senso parlo di rivoluzione conservatrice. Bush ha fatto questo. Ha detto: pensiero unico? Ciarpame, lasciamolo all'Europa. Noi costruiamo una nostra idea del mondo che supera tutte le contraddizioni. Ce ne infischiamo se il liberismo ha prodotto crisi e non ricchezza, ce ne freghiamo se le tensioni nel pianeta anziché ridursi si sono acuite, noi abbiamo un mandato che ci viene da Dio e lo portiamo avanti. Come? Con il mercato, con la guerra, con le crociate ideologiche, con qualunque cosa serva a farci prevalere. Perché? Chi ci da il diritto? Il diritto ci deriva dal semplice fatto che noi siamo il bene e il resto è male. E' male chiunque e qualunque cosa si opponga.

Qualunque cosa si opponga all'Occidente?

Direi di più: qualunque cosa si opponga al dominio imperiale degli Stati Uniti. E' una idea assolutamente estremistica, ma è un'idea compatta del mondo. Ed è un'idea che è riuscita a unificare attorno a se tutta la destra americana e ha portato a quel clamoroso successo elettorale. Perché? Perché loro dopo avere nel decennio scorso demolito la politica e teorizzato la necessità di demolire la politica, poi sono tornati per primi alla politica, e l'hanno ricostruita sulla base di un'idea etica assoluta. Il massimo dell'ideologia. Quella che dicevamo prima: il bene contro il male.

Secondo te in questa ideologia c'è una "vision"? Voglio dire: è un'idea che corrisponde alla certezza che solo un governo nordamericano del mondo, e un accentramento delle risorse in Occidente, può produrre sviluppo e aumento della ricchezza, e dunque poi garantire la salvezza del mondo? C'è questa idea salvifica, o invece è solo "difesa del bottino"?

Questo secondo me è incerto. Loro non sono portatori di un'idea ottimistica del mondo. Quando metti così in rilievo l'idea del male da battere, l'accento va sulla necessità dello scontro, non sul fine dello scontro. Non vedo un fine. Il fine viene in qualche modo assorbito dalla speranza di vittoria contro il male. Cosa nascerà da quella vittoria è molto vago. Loro, in quella costruzione ideologica, possono omettere di dire che tipo di assetto del mondo e delle società vogliono. L'obiettivo è più semplice: la sconfitta del male. La guerra entra come elemento permanente perché è una lotta tra la vita e la morte. Porta la politica sul piano dell'assoluto. Cosa dicono gli americani ai poveri? Dicono: "ti capisco, tu stai male, d'accordo. Io non ti offro un miglioramento, ti offro di stare dalla parte giusta, dalla parte di Dio e dalla parte dei vincitori. Accontentati".

Allora introduciamo un altro tema complicato. Quello del diritto. A me sembra che la nuova ideologia della destra abbia rovesciato l'idea del diritto che era stata al centro del pensiero della borghesia in questi ultimi secoli.

Si, c'è una svolta. Tutto l'assetto politico istituzionale viene trasformato, in questa nuova logica. Lo sviluppo del pensiero borghese era arrivato al suo punto più alto nella definizione dello Stato di diritto e della democrazia rappresentativa. Filosofi di sinistra, come Habermas e Balibar, sono ripartiti da lì per ragionare sul futuro della nostra civiltà. Dal recupero di questo momento alto del pensiero borghese. La nuova destra fa l'operazione esattamente opposta: demolisce sistematicamente quel pensiero politico borghese. Dice: "questa roba non solo non ci appartiene ma nemmeno ci interessa. Noi siamo oltre". La nuova destra ha scelto la via della riedizione di uno Stato etico. Diverso dallo Stato etico di un tempo, quello basato sulla doppia sovranità, la sovranità religiosa e quella statuale, come era avvenuto in Europa prima della secolarizzazione. Il nuovo stato etico funziona riassumendo in una sola figura le due autorità: il comandante, il guerriero, la sua virtù; è lui che garantisce la lotta contro il male, insieme come politico e come autorità etica. Bush ha usato recentemente il termine "crociata", non in senso metaforico ma in senso proprio: la crociata, come quelle del medioevo. La crociata richiede la ridefinizione della organizzazione complessiva della società. E per ridefinire bisogna innanzitutto decidere qual è il soggetto centrale. Qual è il soggetto, cioè colui che dà legittimità? E' il popolo degli Stati Uniti d'America. E in questo modo la nuova destra coopta il popolo e annulla le differenze tra popolo e governo.

Cerchiamo di capire i confini di questa rivoluzione. E' un fatto che riguarda solamente l'America o tutto l'occidente?

In Europa per ora quel modello non può funzionare. Anche per i molti anticorpi che abbiamo. Siamo un po' vaccinati contro lo Stato etico. Però è indicativo il fatto che da qualche parte, anche in Europa, si inizi a pensare in quel modo. Prendiamo l'esempio del presidente del Senato, che non è cattolico, eppure spinge alla ricerca delle radici cristiane dell'Europa. Cosa è questa ricerca? Il sacro - il vero sacro - con tutto ciò non c'entra niente: è solo un pretesto per poter fissare una identità che permetta il governo del consenso. Mi spiego meglio: in una dimensione puramente economica e sociale, e laicamente politica, i conservatori non possono governare. Le destre, nude - cioè confinate nelle sfere del sociale, dell'economico e del politico - perdono. Le politiche neoliberiste sfasciano, producono dissenso, non aggregano. E allora hanno bisogno di una supplenza - di un "vestito" - di un grande integratore: il "sacro". Dietro al sacro si maschera questo obiettivo: costruire una ideologia conservatrice. La destra non trova nessun'altra strada per costruire questa ideologia.

E la sinistra? Ha bisogno anche lei di una ideologia? E' questo che le manca? E esistono le condizioni per ricostruire un'ideologia?

Secondo me sì. Le manca l'ideologia, le serve e si può costruire. Noi abbiamo dei semilavorati non disprezzabili che possono essere la base di questa ideologia. Stiamo meglio di quanto stessimo nell'89. Il crollo dei regimi comunisti dell'est ha lasciato tutto il movimento operaio orfano, tanto quello comunista che quello socialdemocratico, perché con quei regimi è crollato un pezzo del movimento operaio. Anche quelli che erano più critici verso il comunismo sovietico sono rimasti orfani. Faccio qualche esempio. Io credo che la socialdemocrazia svedese, che costruì quel capolavoro che è stato il compromesso sociale in Svezia, non avrebbe potuto potuto fare niente di quello che ha fatto se non ci fosse stata l'Unione sovietica. Naturalmente noi lo diciamo adesso, allora non potevamo dirlo. Un altro esempio, più drammatico: se noi leggiamo le lettere dei condannati a morte della Resistenza ci accorgiamo di come veniva percepito Stalin: come il simbolo di una liberazione. Lo dico senza problemi avendo io fatto una lotta spietata contro lo stalinismo. Però le cose erano così. Come superiamo la condizione di orfani? Questo è il problema. Detto in modo un po' grossolano, un po' impreciso, ma che serve a capirsi: la dialettica oggi è tra chi vuole tutto buttare, della nostra storia e del nostro patrimonio ideale e teorico, e chi vuole conservarne l'essenziale. Chi voleva disfarsi del patrimonio ideologico del passato per fare qualcosa di diverso, è stato travolto poi dalla furia del "disfarsi". Cosa è rimasto fuori da questa furia? Noi di Rifondazione, cioè la resistenza al pensiero unico. Ma anche noi siamo stati percepiti come il partito delle lotte, della radicalità, del conflitto sociale, non come il partito di una ideologia. Questa è la storia degli anni novanta. Poi però le cose sono cambiate.

Quando sono cambiate?

Con la nascita del movimento altermondialista, dei no-global. Del pacifismo di massa. Le forme di riflessione critica che si erano elaborate dentro il nostro campo - il campo della resistenza - a quel punto sono state riportate in un nuovo campo. Qual è questo nuovo campo? Quello dell'altro mondo possibile.

Ne devo dedurre che il movimento alermondialista è un movimento ideologico?

Evidentemente no, tutto si può dire meno che è un movimento ideologico in senso classico. Però è il primo fenomeno di massa che introduce un'altra idea del mondo. In questo senso apre al ritorno dell'ideologia. E' un paradosso, no? Il movimento realizza le condizioni per poter pensare alla costruzione di una ideologia. E infatti esercita una straordinaria attrazione non solo sulla sinistra radicale ma su pezzi significativi del mondo politico che precedentemente si era collocato dentro il pensiero unico e dentro la demolizione delle ideologie: correnti di partiti socialdemocratici europei, settori importantissimi dei sindacati. In questo quadro la sinistra radicale è collocata in una posizione di assoluto privilegio e di grandissima responsabilità: c'è in lei il combinato disposto di resistenza-radicalismo-innovazione-apertura ai movimenti, che le può consentire di guidare il processo di costruzione di una nuova ideologia. E' nella posizione migliore per mettere mano ai "semilavorati" e iniziare a perfezionarli. Però le manca ancora qualcosa. Le manca l'intellettuale collettivo. Quello che Gramsci chiamava l'intellettuale collettivo…

Non è una piccola mancanza…

No, me ne rendo conto.

L'intellettuale collettivo è il partito?

No, alla costruzione dell'intellettuale collettivo il partito deve partecipare, deve avere un ruolo importantissimo. Ma l'intellettuale collettivo non può essere il partito. Questo intellettuale collettivo, usando i vecchi parametri, dovrebbe essere organico al movimento. Dovrebbe essere costruito in relazione al movimento. E' questo che ci manca. Noi non abbiamo la determinazione in questo campo. I conservatori americani l'hanno avuta. Hanno investito soldi, idee, uomini, forze nei centri di costruzione del loro nuovo estremismo di destra. E ne è nata l'ideologia vincente bushista. Hanno anche avuto il coraggio di stare in minoranza, di sfidare il senso comune, il political correct, le regole, il clintonismo, eccetera. A noi è mancata finora questa determinazione.

Quali sono i pilastri di una ideologia di sinistra per il futuro?

Primo, la nonviolenza: cioè la critica radicale del potere, l'ipotesi di nuovi stili di vita, la messa in discussione delle relazioni nel profondo del profondo. L'idea della nonviolenza comporta lo stravolgimento della vita reale. Poi c'è il secondo pilastro, e cioè "l'altro mondo possibile". Il terzo pilastro è quello di sempre: l'idea di uguaglianza.

Tutto questo, e la vittoria di Bush, non mettono in discussione la prospettiva di governo della sinistra?

Secondo me no. Per una semplice ragione: non si può pensare che l'occidente si definisca per espansione e conquista del modello americano. Bisogna impedirlo, no? Dico l'occidente perché, fuori dell'occidente, gli Stati Uniti non hanno facilità di espansione: l'America latina e l'India stanno scegliendo vie lontane dagli Usa, e poi c'è Islam, che è contro gli Usa fino al terrorismo e alla guerra. L'Europa è in mezzo. Cosa fa? Pensare all'altra Europa vuol dire porsi il problema del governo. L'ipotesi di un passaggio di governo ha senso solo in questa prospettiva: progettare una ridefinizione dell'Europa. Se l'idea di occidente diventa quella di una civiltà contro le altre, occidente contro il resto del mondo, l'Europa è perduta. Se invece attraverso l'Europa si può immaginare di sconfiggere questa idea e costruire nuove relazioni, cambia tutto.

Questa intervista esce il sette novembre. Giorno famoso. Quel giorno, 87 anni fa, i rivoluzionari russi presero il palazzo d'inverno e avviarono il comunismo. Che mi dici al proposito?

Bertinotti ci pensa un attimo, sorride, mi guarda negli occhi e poi fa lui una domanda:

E se non avessero avuto torto a provarci?
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