lunedì 8 novembre 2004

...e nel frattempo, il manifesto...

il manifesto 6.11.04
Trame per snodare il perturbante
Oggi e domani al centro congressi di Torino il primo convegno dedicato a «Contaminazioni. Voci e leggende metropolitane nell'epoca di Internet»: tramandate a voce, hanno segnato lo spirito del tempo
MARIA TERESA CARBONE

È passato quasi un quarto di secolo da quando, nell'agosto del 1980, uscì sul paginone culturale della «Repubblica» un lungo articolo di Italo Calvino, quasi un racconto in forma di reportage, titolato «La mano che ti segue». Ancora più cupo suonava l'occhiello: «L'incubo della violenza: storia vera di una ragazza sconosciuta». Calvino parlava di una vicenda ambientata in una Parigi notturna: protagonista una giovane donna (lo scrittore le assegnava un nome fittizio, Yvonne) inseguita e assediata nella sua auto da una banda di loubards, in fuga disperata, quando già i malviventi erano riusciti ad agganciare la macchina con catene di ferro. Un terribile ritrovamento concludeva la storia: «Con le gambe che le tremano, scende, gira intorno alla vettura. La prima cosa che vede è una specie di strascico che s'allunga al suolo. Una delle catene dei loubards è rimasta impigliata al mozzo di una ruota. Al termine della catena c'è attaccato qualcosa. Yvonne si china, fa per raccogliere l'oggetto, lancia un grido e si copre gli occhi. Lì per terra c'è una mano. Il polso troncato è stretto nel braccialetto d'acciaio cui è legata la catena». Dopo un quarto di secolo, la maggior parte dei lettori riconoscerebbe subito nella storia della povera Yvonne una delle più classiche leggende metropolitane, molto diffusa in tutto il mondo anglosassone e rimbalzata anche da noi, se non altro per i suoi echi cinematografici, da Mad Max di George Miller in poi. Del resto, lo stesso Calvino, che la presentava come una vicenda davvero accaduta, non escludeva del tutto che si trattasse di «una leggenda della metropoli moderna, che si tramanda di bocca in bocca». Era insomma, e non a caso, proprio la sensibilità di un autore che aveva amato con passione le fiabe classiche a individuare e addirittura a dare un nome, in anticipo sui tempi, a una delle nuove forme di tradizione orale della nostra epoca. Nel periodo successivo, e soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, le leggende metropolitane sarebbero diventate anche in Italia oggetto consapevole di studio e di analisi: a contribuire a questa diffusione furono le raccolte dello studioso americano Jan Harold Brunvand (pubblicate dalla casa editrice Costa & Nolan), i saggi dello storico Cesare Bermani (in particolare Il bambino è servito, edito da Dedalo nel `91), l'attività del Centro per la raccolta delle voci e delle leggende contemporanee, che nacque nel 1990 e che diventò un punto di riferimento per tutti i ricercatori della materia. Ma intanto, l'idea stessa di questo patrimonio di storie contemporanee, passate di bocca in bocca, si impose e si diffuse ben al di fuori dalla cerchia degli studiosi, trovando spazio sui giornali e alla televisione e incontrando infine, dalla metà degli anni Novanta in poi, un nuovo e formidabile mezzo di circolazione, la rete.
Contaminazioni - Voci e leggende metropolitane nell'epoca di Internet è il titolo del primo convegno italiano sull'argomento, che si tiene oggi e domani al Centro congressi di Torino, per iniziativa del Centro per la raccolta delle voci e delle leggende contemporanee, in collaborazione con il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, e con la partecipazione di numerosi esperti, italiani e stranieri, da Paolo Toselli, autore fra l'altro del recentissimo Storie di ordinaria falsità (Rizzoli 2004) a Jean-Bruno Renard, docente di sociologia all'università di Montpellier, al «grande pioniere» Cesare Bermani, che riproporrà nel suo intervento, Il presente inventato, un tema centrale nell'analisi dei miti contemporanei: il loro rapporto con la politica e la vita sociale.
Perché l'interesse delle leggende metropolitane non consiste (solo) nella loro capacità di raccontare in modo avvincente una ipotetica quotidianità, ma soprattutto nel mettere in luce, proprio grazie al meccanismo della fabula, i timori e le tensioni che attraversano la nostra società. Ha osservato a questo proposito un altro dei partecipanti al convegno torinese, Lorenzo Montali, come una delle funzioni delle leggende sia quella di aiutare un certo gruppo a familiarizzarsi con una realtà nuova o con oggetti sociali in qualche modo indefiniti o estranei, al punto che in certi casi il mito può addirittura trasformarsi in uno dei modi attraverso cui un gruppo costruisce il proprio sapere. Ma in parallelo, le leggende esprimono anche l'angoscia di fronte al nuovo, un'angoscia che può sconfinare con il pregiudizio, con il razzismo: interessante (e inquietante) da questo punto di vista può essere la recente leggenda sulla «Smiley gang» - a Torino ne parlerà Peter Burger, dell'università di Leiden - che, nata in Olanda e poi passata anche in Belgio e in Francia, ha seminato il panico su una presunta banda di stupratori di origine straniera.

il manifesto 6.11.04
CONVEGNO A NAPOLI
L'interpretazione tra psicoanalisi filosofia, letteratura
NICOLETTA MARTINELLI

Partite da Trieste - città a cui sono fortemente legati, se non proprio gli inizi, certamente i primi più decisivi impulsi alla diffusione della psicoanalisi in Italia - le giornate di studio dedicate al cinquantenario della Rivista di psicoanalisi toccano oggi Napoli e avranno come tappa finale Roma, ai primi di dicembre. Le pubblicazioni delle Rivista cominciarono all'inizio del 1955 per iniziativa di Cesare Musatti, dopo che una precedente Rivista italiana di psicoanalisi, fondata a Roma da Edoardo Weiss nel 1932, dopo solo due anni fu costretta dalle autorità fasciste, su pressione delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, a chiudere senza nemmeno poter distribuire in libreria gli ultimi due numeri stampati. Oltre a un convegno, la giornata triestina ha previsto la proiezione di un video di Mario Rizzarelli sulla Vienna di Edoardo Weiss, primo a praticare la psicoanalisi in Italia a partire dal 1918, e l'inaugurazione di una mostra documentaria, curata da Anna Maria Accerboni Ravanello alla Saletta Mostre del Teatro Verdi di Trieste. Mentre l'iniziativa del Centro veneto di psicoanalisi è stata l'occasione per ripercorrere inizi e fasi della storia della Rivista, l'appuntamento napoletano sarà votato a indagare I luoghi della interpretazione, con interventi - tra gli altri - di Agostino Recalbuto, Nestore Pirillo, Pierluigi Rossi, Felice Cimatti e Sarantis Thanopulos. Se è ovvia l'importanza della scrittura per la trasmissione, la divulgazione e la stessa costruzione di una disciplina scientifica, è ancora più decisiva per la psicoanalisi, che oscilla tra racconto orale e scrittura dei casi clinici, tra ricostruzione di una verità storica e costruzione di una corenza narrativa, affidata all'esercizio della interpretazione.
Spesso considerata una scienza di confine, la più scientifica delle discipline umanistiche e la più umanistica delle discipline scientifiche, la psicoanalisi è nata, più ancora che come una talking cure, come una writing cure. Essa germogliò infatti letteralmente in un medium di scrittura: gli incessanti e innumerevoli scritti scientifici, epistolari, autoanalitici del suo fondatore. E non poteva essere altrimenti se, come è stato spesso rilevato, lo stesso dispositivo della scrittura ha qualcosa di intimamente comune con quello instaurato dalla situazione analitica, già per il solo fatto di creare una relazione del tutto peculiare con se stessi, collocando chi scrive in margine ai propri pensieri. Lo scritto, notava infatti Freud, è in origine il linguaggio dell'assente. E la interpretazione - di cui oggi si parlerà al convegno napoletano - sia essa rivolta a testi artistici, filosofici, o al racconto di sé degli analizzati, è un momento imprescindibile, che non necessita di mobilitare una intenzione, perché governa in ogni istante la naturale attitudine della mente umana verso ogni oggetto che colpisca le nostre percezioni.