lunedì 8 novembre 2004

un comunicato ricevuto da Annalina Ferrante

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LE RELAZIONI DI ANNA HOMBERG E MARCELLA FAGIOLI

AL CONVEGNO


"Gli aquiloni volano con il vento: Il primo anno di vita"
tenutosi a Roma il 28 ottobre scorso

Dr.ssa Annelore Homberg:
L'identità personale del primo anno di vita

Dr.ssa Marcella Fagioli:
La realtà biologica umana

i due testi citati
nella relazione di Marcella Fagioli:

La Repubblica
01-06-04, pagina 18, sezione COMMENTI
Lettere
Il manifesto contro il dolore Domenico Gioffrè, Mario Luzi, Tullio De Mauro, Silvio Garattini, Rita Levi Montalcini, Franco Mandelli In occasione della "Giornata nazionale del sollievo" celebrata domenica, desideriamo rendere pubblico il manifesto "Contro il dolore non necessario". Il dolore è nei suoi aspetti morali e fisici intrinseco all' esperienza dell' uomo. Ma, concentrandoci sulla sofferenza del corpo, non possiamo non recriminare quanta parte di essa sia dovuta a incuria, inesperienza, poco amore per il malato. Il dolore può arrivare al punto di rendere desiderabile la morte. I suoi confini sono indifesi e aperti a ogni estrema soluzione. Perché il dolore insostenibile logora insieme con il corpo l' equilibrio morale e psichico di chi ne è colpito, degrada il suo contegno, annienta la sua dignità. Questo dolore iniquo vogliamo combattere; esso è puramente distruttivo. I suoi effetti sono spesso atroci, le premure solidali e affettuose non bastano ad alleviarli. Si rende pertanto necessario e doveroso adottare provvedimenti terapeutici per controllare e ridurre la sofferenza fisica in modo da evitare che la persona nella sua totalità sia miseramente avvilita e degradata. Occorre dunque una svolta culturale nel campo della nostra medicina, che trasformi l' opera del medico da "curare" in "prendersi cura" nel rispetto di due fondamentali diritti del malato: non soffrire dolori inutili e mantenere la propria dignità e un tenore decoroso di vita durante la malattia. Vizi politici italiani sulle elezioni europee Alfonso Lentinello alfonso.lentinello@poste.it Vorrei far notare ai nostri rappresentanti politici, tutti, che le elezioni a cui andiamo incontro si chiamano "europee". Perché allora si parla solo ed esclusivamente di problemi squisitamente nazionali? E neanche di problemi economici, ma solo di problemi politici tutti italiani! Incidenti, finito l' effetto patente a punti Antonio di Gennaro Napoli Negli ultimi giorni una serie di gravissimi incidenti: cinque persone investite sulle strisce pedonali, uno scontro frontale con due morti. Sembra proprio che l' effetto patente a punti stia scemando. Soprattutto nelle città i controlli scarseggiano, gli automobilisti se ne rendono conto e tornano all' antico. Basta mantenersi nei limiti di velocità per vedersi superare da chiunque, camion compresi. Del resto, tutti i provvedimenti seri sui temi della circolazione, in Italia sono sempre finiti in barzelletta. A proposito, quanti usano, le luci di giorno in autostrada? E il giubbotto riflettente? Tasse in diminuzione? Non per chi compra casa Daniela Carlotti d_carlotti@yahoo.it A proposito di diminuzione delle tasse. Peccato che l' ultima Finanziaria abbia aumentato l' imposta di registro sulle compravendite immobiliari. In pratica, sono aumentate le tasse sull' acquisto delle case. In un momento in cui i prezzi del mattone sono alle stelle, e ciò nonostante molte persone, scottate dalla Borsa e deluse dai titoli di Stato, fanno enormi sacrifici per comprare casa, cosa fa il nostro governo? Aiuta i cittadini riducendo almeno le tasse sull' acquisto della prima casa? Vara misure per calmierare i prezzi? Interviene sulle agenzie immobiliari che raddoppiano le provvigioni facendole pagare sia a chi compra che a chi vende? No! Aumenta le imposte. Grazie!I processi Sofri a "Reperto Raiot" Sabina Guzzanti Vorrei rispondere alla lettera di Enzo Sellerio, che contesta un passaggio del mio spettacolo. Mi accusa di non so quale "omissione", ricordandomi che "in tre dei sette processi Sofri è stato assolto e dopo la condanna definitiva ha scelto la via del carcere a quella di un facile e comodo espatrio". Come ha ricordato Valentini su Repubblica, Sofri ha avuto 11 gradi di giudizio. è stato giudicato da 99 giudici, fra togati e popolari. Solo una volta è stato assolto e un' altra la Cassazione ha annullato la condanna ordinando un nuovo giudizio. In tutto due verdetti favorevoli e 9 sfavorevoli compreso quello definitivo, che poi è l' unico che conta. è stato fatto anche ricorso alla Corte di giustizia europea che lo ha respinto perché "irricevibile". Aggiungo che trovo discutibile affermare che "Sofri ha scelto il carcere", tutti i detenuti l' hanno "scelto", cioè non sono fuggiti; evidentemente la latitanza non è considerata dai più un "facile e comodo espatrio". Per motivi di spazio non posso confutare le affermazioni di Sellerio una per una come vorrei. Mi limito a dire che il senso di quello che affermo in "Reperto Raiot" è inequivocabile e finora largamente condiviso dal pubblico. Premesso che sarei felice se Sofri uscisse di galera perché ritengo che il carcere sia uno strumento inutilmente crudele quasi per chiunque, è insopportabile che ci si occupi di giustizia solo quando riguarda persone potenti o famose e che vengano spacciate per battaglie di principio delle campagne che hanno come unico scopo la salvezza di uno solo e ignorano tutti gli altri che si trovano nelle stesse condizioni.

La Repubblica
24-05-04, pagina 35, sezione CULTURA
Il processo psicoanalitico: intervista a Jorge Canestri
Perché vado in analisi
'Quel che determina il trattamento non è l' obiettivo, impossibile da stabilire, ma il punto di partenza' Cosa vuol dire 'lavoro di trasformazione e qual è lo sco della terapia analitica? La relazione dello studioso argentino Non ci sono i pazienti, ma il paziente, lo stesso vale per l' analist La nostra è la scienza del particolare Soltanto un ciarlatano può promettere una guarigione. Noi possiamo solo dare la possibilità di cambiare
MILANO LUCIANA SICA

Cos' è il processo psicoanalitico? Che vuol dire lavoro di trasformazione? Qual è la finalità della cura analitica? Lo chiediamo a un allievo di Willy e Madeleine Baranger, a uno studioso decisamente versato per le più sottili disquisizioni di natura teorica: è Jorge Canestri, psicoanalista argentino di sessantun anni, in Italia dal '76, l' anno del golpe militare nel suo Paese. Con Jacqueline Amati Mehler e Simona Argentieri, ha scritto La Babele dell' inconscio, un saggio di un certo successo ristampato di recente da Cortina. Il concetto di processo e il lavoro di trasformazione era il titolo della sua relazione al congresso milanese. Un tema nevralgico per la psicoanalisi, su cui la letteratura è ampia, e i modelli teorici anche molto diversi. Lei lo definisce un "progresso attraverso il cambiamento", e però - quasi paradossalmente - non verso qualcosa ma da qualcosa~ Da cosa, dottor Canestri? «Dal punto in cui si trova il paziente quando chiede una consultazione e comincia un' analisi, vivendo una condizione più o meno acuta di sofferenza. Lo stato iniziale possiamo immaginarlo come uno stato primitivo, e in ogni caso il processo ha inizio da lì, da quel punto in poi: sappiamo da dove si parte, ma la direzione della cura - pensata, è ovvio, in termini di miglioramento - non ha né può avere un obiettivo prestabilito una volta per tutte. Di fatto è "qualcosa" che probabilmente si determinerà strada facendo, secondo quello che i francesi chiamano l' après coup, e cioè la risignificazione - ma solo a posteriori - di quanto è accaduto durante il percorso analitico». Non a caso lei cita Machado, i due famosi versi dei Cantares: Caminante no hay camino,/se hace camino al andar~ Ma può davvero bastare l' idea - per quanto suggestiva - del "fare strada", senza nessun riferimento più preciso a un obiettivo finale? «Si potrebbe dire genericamente che l' obiettivo finale è il raggiungimento di uno stato di salute, ma a quel punto bisognerà almeno chiedersi cosa s' intende per salute, nozione non proprio facilissima da definire. In che consiste, infatti, la salute? Può bastare forse la scomparsa dei sintomi per "star bene"? La stessa ambizione di eliminare radicalmente i tratti psicopatologici è a volte del tutto irrealistica. Pensi ai pazienti gravi, gente che magari a diciassette anni è stata ricoverata in manicomio e ora ne ha cinquanta: in questi casi è molto improbabile, se non impossibile, l' uscita definitiva da uno stato patologico». In certi casi, è vero, è forse già tanto evitare il suicidio, ma - mi permetta d' insistere - rimane l' impressione che, in analisi, l' obiettivo della cura è da sempre troppo indefinito. Un certo rifiuto del concetto di "malattia" porta anche a respingere la nozione di "guarigione", che pure non andrebbe sbrigativamente liquidata~ è un' impressione che a lei sembra totalmente sbagliata? «In parte sì, perché già Freud si prefissava di trovare una cura utile a certe patologie come l' isteria, "malattie" che non avevano una base organica ma procuravano comunque una grande sofferenza, e che la psichiatria tradizionale non era in grado di affrontare~ Il punto è che, strada facendo, Freud capì che la scomparsa isolata del sintomo non implicava una condizione di benessere mentale e che quindi il concetto stesso di guarigione andava profondamente ripensato». Ci sono autori, come Meltzer, che pensano al trattamento analitico privilegiando l' idea di una riorganizzazione complessiva della personalità. A lei non sembra un' idea, anche questa molto suggestiva, ma in fondo del tutto sfuggente? «Dipende: è sempre il punto di partenza del singolo paziente a determinare il percorso di un trattamento, o in altre parole l' incidenza che ha sul processo psicoanalitico la patologia che l' analista prende in considerazione. Vede, non ci sono i pazienti, ma il paziente, non esistono gli analisti, ma l' analista, questo è il punto. Le generalizzazioni non stanno in piedi, non reggono proprio, ed è questa la ragione di fondo per cui, da Popper a Grunbaum, la "scientificità" della psicoanalisi è stata messa duramente sotto accusa: perché appunto non si tratta di una scienza del generale, ma dello squisito particolare. Noi possiamo tentare delle nosografie, e infatti distinguiamo tra depressi, nevrotici ossessivi, isterici, psicotici~ ma sappiamo anche che queste elencazioni un po' astratte sono molto relative~». Perché? «Perché non ci sono mai due casi uguali, perché ogni essere umano è un sistema complesso, molto sui generis, e guarda caso sono proprio le neuroscienze a esserci di grande supporto quando descrivono il cervello di ogni soggetto, anche dal punto di vista dei collegamenti nervosi, come qualcosa in tutto simile all' impronta digitale: e cioè qualcosa di unico e irripetibile. Oggi sappiamo anche che il cervello comincia a organizzarsi prestissimo, già in fase prenatale~». Se questo è vero, si può dire che i fattori ambientali agiscano sull' organizzazione del cervello, e dunque della mente, sin dall' inizio della vita? «Sì, e purtroppo con una buona dose di casualità. Voglio dire che se si è fortunati, si potrà fare un certo percorso più o meno armonico, ma se invece si è sfortunati quel percorso sarà distorto sin dall' inizio, e nessuno potrà restituire quello che disgraziatamente non si è avuto~ Era una pura fantasia della guarigione quella che gli antichi chiamavano la restitutio ad integrum, il ritorno a una sorta di ideale stato originario. Questo purtroppo non è possibile, solo un ciarlatano potrebbe garantire un risultato finale di questo genere~». Più realisticamente, cos' è che voi analisti potete garantire? «Più realisticamente, ed è quello che facciamo, possiamo migliorare le condizioni complessive del soggetto, concedergli la possibilità di non ripetere gli stessi meccanismi sbagliati, e dunque di cambiare, ma sempre tenendo conto di come quel soggetto stava prima dell' analisi». Il problema è che a volte i vostri pazienti non sembrano cambiare affatto. A lei non capita mai di sentire frasette del tipo "Quello sta in analisi da una vita e sta peggio di prima"? «Mi è capitato molte volte. è così: in analisi si può anche non cambiare, a volte si può addirittura peggiorare, senza dubbio registriamo dei fallimenti terapeutici~». Ci sarà almeno un modo per scongiurarli, tenendo conto di quello che significa impegnarsi in una cura, tra l' altro molto costosa, come l' analisi? «Innanzitutto l' indicazione deve essere giusta, nel senso che ci sono pazienti per i quali l' indicazione dell' analisi non è quella corretta. L' analista dovrebbe essere sempre una persona esperta, ma in ogni caso ci sono incontri che funzionano e altri che non funzionano. Capita che il lavoro di un analista - anche molto brillante - con quel particolare paziente non ottenga risultati, questo è possibile, e allora l' analista dovrebbe avere la correttezza di dire: mi dispiace, ma questo lavoro non sta procedendo nel verso giusto, cercherò di orientarla verso un altro collega, o anche verso un' altra terapia~». Dovrebbe dirlo, ma lo fa davvero? Non è contemplata l' ipotesi dell' analista che s' intestardisce anche quando non vede nessun miglioramento del suo paziente? «Ammetto che non sia un' ipotesi del tutto astratta. Ma c' è anche il chirurgo estetico che insiste con una serie di lifting che comunque vengono malissimo: cioè pazzi ce ne sono dappertutto, anche nella psicoanalisi».
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