La Stampa Tuttolibri 20.11.04
Maestro e allievo l’eros della dedizione
Le lezioni di Steiner: Socrate-Alcibiade, Abelardo-Eloisa, Heidegger-Arendt, un legame non per l'opera o lo studio, ma per la vita
di Ferdinando Camon
LA lettura di questo libro è un'avventura dello spirito. Steiner ragiona sui tipi di rapporto tra maestri e discepoli: i maestri che han distrutto i loro discepoli sia psicologicamente sia fisicamente («il dominio dell'anima ha i suoi vampiri»), i discepoli che hanno rinnegato e fatto morire i loro maestri, e infine il rapporto maestro-discepolo che genera un eros di reciproca dedizione, per cui insegnare diventa un insegnarsi, come nel legame Socrate-Alcibiade, Abelardo-Eloisa, Heidegger-Arendt. Un legame non per l'opera o per lo studio, ma per la vita. Si insegna «mediante l'esistenza». Perciò il mezzo primario per l'insegnamento è la parola, non la scrittura. La parola è contatto, la scrittura è distanza. L'insegnamento è lezione. Non in senso strettamente accademico: Schopenhauer e Nietzsche erano esterni all'università, Sartre insegnava al liceo, Wittgenstein disprezzava la cattedra, Freud non l'aveva. Non esiste vita all'infuori dell'insegnamento («io, pensionato, sono orfano», dice Steiner, che più tardi si vanta: «ho allievi in cinque continenti»). La fusione di insegnare con apprendere realizza una unione in cui è implicito l'erotismo: tanto è intenso il legame Socrate-Alcibiade, quanto è arido («desolato») il matrimonio di Socrate con Santippe (più avanti, all'intensità del legame Heidegger-Arendt fa da contrappunto il vuoto nel matrimonio Heidegger-Elfride, anche se Heidegger non lo ammette mai). La sessualità non può «mai» essere esclusa nel rapporto dell'insegnamento, perché è un rapporto che non esclude nulla. Il maestro dà più di quanto ha. Se dà quanto ha, è un pessimo maestro, che crea imitatori (come nelle scuole di scrittura, che sono un'assurdità). In realtà il vero maestro è colui che mette l'allievo in condizioni di superarlo. Il maestro deve «suicidarsi» nell'insegnamento, e trovare qui la propria realizzazione. L'allievo che non supera il maestro, magari perché muore prima, è un traditore. Anche se non c'è dolore più grande che vedersi superato, o spostato, o contraddetto. E' come sentirsi «nato per niente», per dirla con le parole di Tycho Brahe quando, in punto di morte, si vedeva smentito da Keplero.
I figli che uccidono i padri per diventare se stessi e crearsi lo spazio vitale, sono la spina dorsale nella ricerca di Steiner. Tra tutte, la storia di Heidegger che abbandona, umilia e deride il maestro Husserl, incamminandosi verso un'altra fenomenologia. Ma è soprattutto la storia del rapporto tra Brod e Kafka, in cui Brod, pubblicando postume le opera dell'amico-rivale, accetta di diventare un minore, un minimo, e di venire cancellato: qui «la suprema moralità diventa autodistruzione». Husserl aveva perso un figlio nella prima guerra mondiale, ma allevandosi Heidegger era convinto di essersi creato un altro figlio e un continuatore. La via per cui Heidegger scavalcò il maestro ha però dell'ambiguità per cui Heidegger tradisce anche se stesso, e le proprie premesse: quando Husserl viene espulso dall'insegnamento perché ebreo, Heidegger, che ha preso il suo posto ed è diventato rettore dell'università, mai lo aiuterà, e più tardi non andrà nemmeno al suo funerale, anzi eviterà persino di mandare un telegramma alla vedova. Su Heidegger che voleva diventare il Fuehrer del Fuehrer, Steiner ha qui delle pagine sottili ma non chiarissime, perché si fermano un passo prima della condanna. Come nel caso di Nietzsche (servì o non servì al nazismo per farsi un alibi?) o (ma niente lo costringeva a spingersi fin lì) a Toni Negri (è o non è responsabile dell'uso che han fatto delle sue teorie gli allievi asssassini?). Se il maestro è un pericoloso maestro, chi lo applica è lui responsabile dell'applicazione. Sì, sarà così. Ma il maestro è responsabile di aver costruito un sistema applicabile in quel modo, di aver condotto l'allievo a quel bivio. L'allievo fa il passo sbagliato. Ma è il maestro che lo ha portato a camminare fin sulla soglia dell'errore. Completando Steiner, vien voglia di pensare che se un maestro trova il trionfo nel vedersi scavalcato dal discepolo sulla strada della verità, un altro maestro dovrebbe trovare il fallimento nel vedere l'allievo, votato ai suoi principi, deviare verso il delitto o la strage. E' strano che un libro impiantato sul parricidio dei discepoli insista così poco, una sola pagina, su quei particolari maestri che han teorizzato il parricidio come insito nel dna dei figli, con tutto il seguito che ne viene, il senso di colpa e il bisogno di espiazione. Parlo dei grandi psicanalisti, Freud e Jung e Adler e Reich. Sì, questa è una critica al libro. Ma indica anche una voglia che il libro continui ancora, e non finisca mai.
(fercamon@libero.it)
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