venerdì 26 novembre 2004

Simona Maggiorelli, su Avvenimenti in edicola
pensiero debole e canone occidentale

Da Avvenimenti n 47 in edicola
La fine del pensiero debole
A Palermo un convegno per discutere sugli ultimi trent’anni di letteratura
di Simona Maggiorelli

A cavalcioni del nostro eurocentrismo, per secoli, ci siamo guardati allo specchio sicuri che il canone occidentale – sostanziosa sfilza di grandi libri, classici, testi irrinunciabili, da Omero a Dante , a Shakespeare fino ai grandi del Novecento europeo - dominasse a buon diritto la scena del mondo. Questo fino a quando, da regioni sterminate e lontane come la Cina, dal continente africano, dai Caraibi, dall’India si sono levate voci letterarie, diversissime fra loro, e molte di donna, che non si facevano complessi di parlare forte e chiaro, di praticare un proprio stile originale, con una vitalità di scrittura che li portava improvvisamente a erompere al centro della scena. Miracoli della globalizzazione e del mercato editorale. Anche. Ma quando queste voci si sono dimostrate durature e hanno cominciato a fioccare Nobel cinesi, arabi, africani, qualche nostra certezza ha utilmente preso a vacillare. Da granitico che era, “il canone occidentale”,(la definizione è del critico Harold Bloom) ha cominciato a scricchiolare, a diventare “ canone oscillante”. Come recita il titolo del convegno che riunisce a Palermo il gotha della critica letteraria per riflettere su quello che è avvenuto negli ultimi 30 anni, con l’esplodere del mercato editoriale, con il boom di internet e nuovi media, con circuiti sempre più diversificati e accelerati di informazioni. Un tema vastissimo su cui, fino al 27 novembre nella palermitana villa Zito, si confrontano generazioni diverse di studiosi: da illustri italianisti come Cesare Segre, a docenti universitari come Remo Ceserani, Giulio Ferroni e Romano Luperini, tutti e tre autori, con metodi e risultati differenti, di importanti manuali. E ancora, (ma la lista sarebbe ancora lunga) docenti e scrittori eccentrici come Salvatore Silvano Nigro e critici militanti come Alfonso Berardinelli e Filippo La Porta . Il clou, nella serata finale, con l’intervento di George Steiner, uno dei pochi critici letterari che, di fatto, piace a uno pubblico ampio, al di là di quello specialistico.

Maschio, bianco e morto
Solo con questo tipo di “phisique du rôle”, attaccano femministe, afro e omosessuali d’Oltreoceano è possibile aspirare ad entrare nell’olimpo della Letteratura. La polemica sul canone occidentale, prima ancora della teorizzazione di Bloom, è nata lì nelle università americane, dove, dice Remo Ceserani, “ in assenza di un sistema scolastico unificato, senza un ministero della pubblica istruzione e con una scuola media inferiore molto carente, nei college, specie quelli liberal, gli studenti leggono i cosiddetti grandi libri, considerati essenziali per avere una formazione di base: dalla Bibbia, ai poemi omerici, fino a Proust. Inclusi Dante e il Principe di Machiavelli”. Una bizzarra collana di perle d’Occidente verso la quale, afroamericani, ispanici , man mano che la società americana è diventata sempre più stratificata, hanno cominciato a sentirsi sempre più a disagio.
“Una polemica che specie nei cultural studies sociologici a volte ha assunto toni eccessivi”, smorza i toni Giulio Ferroni, che a Palermo parla di “ Decanonizzazioni”. “Un titolo ironico - dice - per l’uso smodato che si fa del concetto di canone, soprattutto secondo il modello americano. La parte più radical pretende che studiare una monaca del 500 sia più importante che studiare Shakespeare”. “Teorie da giardino chiuso, fiori di campus universitari”, incalza il professore. “Che non hanno nulla a che fare con le dinamiche che dominano la società americana, che purtroppo sono ben altre, con momenti di fondamentalismo reazionario molto più arretrati rispetto ai presunti valori borghesi rappresentati dalla grande letteratura”. Per poi aggiungere provocatorio:”A forza di contestare la tradizione letteraria occidentale si rischia di fare il gioco del nemico. Riscoprire il valore alternativo della grande tradizione letteraria che produce valori di tolleranza, senso del diverso, dialogo, apertura,credo serva più di qualunque forma culturale parziale e locale”. Un esempio? “ Basta pensare a certe culture regionali, addirittura inventate, come quella dei Celti utilizzata dalla Lega. E c’è gente che ci crede”.

Inno all’autore di culto
Ma la contestazione del canone, secondo Ferroni produce anche un altro fenomeno tipico dei nostri tempi: Il cult. “Mentre i valori del canone vengono attaccati - dice il professore - compaiono i culti: sacche che si rifiutano di essere universali, chiuse in se stesse. Il fatto che ci sia l’autore di culto, la musica di culto, il cinema di culto fa sì che i culti si ignorino a vicenda, quello di cui abbiamo bisogno, invece, è di un terreno di dialogo. L’universalismo è l’unica strada per creare apertura”. L’origine del cosiddetto “cult”, del resto, non è difficile da individuare: come altri fenomeni che dominano il mercato editoriale, in primo luogo, è il frutto di un’operazione di marketing. “Uno dei fenomeni più vistosi dell’ultima trentina di anni- dice Romano Luperini - è stata la cesura che si è venuta a creare alla metà degli anni Settanta”. In Italia coincise con il passaggio dalla generazione dei Calvino, Volponi, Sciascia, Paolini, da una generazione di scrittori intellettuali in grado di occuparsi di cultura ma anche di politica, a due generazioni del cosiddetto post moderno: quella di Tabucchi e Tondelli e quella più giovane dei cannibali. “Queste due generazioni - sottolinea Luperini - hanno avuto un rapporto molto diverso con il pubblico. Nel frattempo l’unica mediazione è diventata l’editore. Manca ormai quasi totalmente la mediazione rappresentata da gruppi, da riviste, dalla critica. Il rapporto autore consumo è mediato solo dall’industria culturale, gli autori sono solo sul mercato o tuttalpiù si riuniscono in clan per ragioni di visibilità non per ragioni di poetica, manifesti e battaglie comuni”. Senza contare il cambiamento profondo avvenuto nelle case editrici, “dove i redattori culturali non si chiamano più Pavese, Vittorini, Calvino- ricorda Luperini - ma sono persone che lanciano libri come qualsiasi altro prodotto”. E ancora considerando che sono in buona parte le case editrici a pilotare come vengono rimodellate forme e confini del canone letterario, contribuendo a ridisegnarne la galassia.

In fondo a via Boccaccio
“Le antologie sono un fenomeno particolare - racconta Ceserani - un po’ come lo stradario, a suo modo una forma di canonizzazione. Il criterio risorgimentale fa sì che anche oscuri poeti si trovino in centro. Via Carducci è quasi sempre centrale. Dante è al centro, quasi mai Machiavelli. A Bologna è oltre la tangenziale. In un sistema italiano fortemente religioso ha sempre avuto poca fortuna - dice il professore che in città insegna Letterature comparate -. Boccaccio ha una stranissima stradina senza sfondo, perché Boccaccio è un po’ boccacesco e quindi un po’ pericoloso”. Il meccanismo dello stradario è simile a quello delle antologie. “ Sono fortemente conservative, chi è entrato è difficile che ne esca – dice Ceserani -. Mentre entrarci è complicato. Le antologie sono basate su altre antologie e si trascinano una dentro l’altra. E’ un’operazione di oscillazione del canone. Naturalmente ogni tanto qualcuno dice basta cambiamo l’antologia, le scelte”. E nel fare le scelte fondamentale resta sempre la prospettiva. “In un momento di integrazione europea -dice Luperini - sarebbe importante che gli strumenti che contribuiscono alla formazione del canone: programmi scolastici, manuali, antologie, fossero almeno aperti a uno sguardo europeo”. Uno sguardo allargato che già , per esempio, farebbe cadere a picco le quotazioni di Alfieri e Parini, che fuori da un ottica risorgimentale hanno poco senso, mentre per restare al Settecento, aumenterebbero moltissimo quelle di Goldoni. Un movimento verso una sprovincializzazione della cultura nostrana che, è evidente, cozzano vistosamente contro la riforma Moratti, una riforma di tipo nazionalistico, regionalistico, tradizionalistico”.

Briciole di post moderno
”Ma c’è una novità in questo quadro - assicura Luperini- gli studenti universitari non ne possono più dell’ilare nihilismo degli anni scorsi, s’impegnano. E’ la fine del pensiero debole, delle filosofie nihilistiche o ontologiche per cui interessarsi di problemi politico culturali sarebbe chiacchera come diceva Heidegger. Un nihilismo - continua il professore - che nelle università negli ultimi vent’anni ha preso il posto delle filosofie cosiddette essenzialistiche come marxismo e psicoanalisi e che poi è stato speso per colpire ogni forma di impegno, finendo per fare il gioco di Berlusconi”. Oggi insomma, questa cultura appare sempre più inadeguata rispetto alla nuova situazione storica. “La cabala, l’”indecidibile”, questa cultura oggi non regge più - dice Luperini - se ne sono accorti anche i loro teorici che hanno nel frattempo hanno cambiato filosofia”. E con punta acida: “Certo stupisce che nessuno di loro , a cominciare da Gianni Vattimo, abbia sentito il bisogno di fare la minima autocritica”. Un segnale di leggera ripresa, secondo il docente senese si scorgerebbe anche nella produzione letteraria, nell’ultimo Balestrini, ma anche in Nove e Ammanniti. E ci sarebbe tanto più in poesia con libri come quello di Ferrari, e Benedetti, “ tutto fuor che post moderni”. Più cauto il giudizio di Ceserani che con la sua solita bonomia abbozza: “Non ho mai creduto che la caduta del muro abbia cambiato il mondo o che lo abbia fatto l’11 settembre. I processi sono più lunghi, le grosse trasformazioni non avvengono in un giorno, quello che vedo intorno è una società molto globalizzata con pochissimo slancio modernista per cui non ci sono molti progetti di cambiamento del mondo” E in letteratura? “Un po’ di energie in giro ci sono: c’è molto sperimentalismo, anche se un po’ a vuoto. Di solito non sono così pessimista, ma noto poca libertà e creatività. Su tutto hanno una forte prevalenza delle leggi del mercato”.