venerdì 26 novembre 2004

Stefania Rossini (lei!)
su Donald W. Winnicott

L'Espresso 26.11.04
Il seno della mamma. Il matrimonio bianco. Fino agli incesti "psicoanalitici". Un biografo racconta i segreti di Winnicott, tra i più amati e geniali seguaci di Freud.
TROPPE DONNE SUL LETTINO
di Stefania Rossini

Sigmund Freud diffidava talmente dei suoi futuri biografi da decidersi a distruggere gran parte delle sue carte private per difendersi dal loro sguardo intrusivo. Donald W. Winnicott non se ne è curato. Uomo aperto e comunicativo, teorico prolifico e generoso, ha lasciato tante tracce di se da far pensare che non temesse costruzioni postume sul suo percorso intellettuale e sulle sue vicende private. Chissà se oggi, dopo aver letto alcune pagine della monumentale biografia che gli ha dedicato Robert Rodman ("Winnicott. Vita e opere", Cortina editore, tra pochi giorni in libreria), se ne pentirebbe.
Rodman è uno psicoanalista che opera in California, precisamente a Beverly Hills, e ha un occhio, diciamo così, psico-hollywoodiano su come si racconta una storia. Pur avendo già curato con grande rigore una prestigiosa edizione critica delle lettere di Winnicott, deve aver deciso che una biografia è un'altra cosa e che il pepe del particolare scabroso e dell'interpretazione sagace aiutano a narrare meglio una vita. Forse ha ragione, perché il volume che ha scritto si legge d'un fiato nonostante la mole quasi eccessiva della documentazione. Ma è anche vero che, uscito in Usa appena un anno fa, il libro ha diviso i winnicottiani sparsi per il mondo. Accolto con entusiasmo da molti cultori appassionati delle sue opere, come la filosofa statunitense Martha Nussbaum, non ha convinto tutti gli psicoanalisti che si rifanno al suo pensiero, che sono stati infastiditi dall'insistenza interpretativa di alcuni aspetti privati e intimi della sua vita.
Tra questi spicca il riferimento frequente, quasi un filo narrativo, alla sua presunta impotenza sessuale. Un matrimonio mai consumato, ma portato avanti per 26 anni con una donna palesemente disturbata, la prima moglie Alice Taylor, è il punto di leva che serve a Rodman per incursioni psicologiche in un'infanzia con troppe donne (una mamma che non "accettava di eccitarsi mentre lo allattava", due sorelle rimaste sempre vergini, una tata), in un rapporto freddo con il padre e in problemi di identità legati addirittura all'aspetto. A 9 anni il piccolo Donald si sarebbe guardato allo specchio decidendo di essere "troppo carino", mentre da adulto la sua voce sarebbe rimasta "femminea". Secondo Rodman, Winnicott troverà pace, e forse anche appagamento sessuale, solo nell'incontro con la seconda moglie, Clare Britton, sposata nel 1952. Si deciderà a lasciare la prima moglie dopo sette anni di relazione clandestina con Clare, dopo aver aspettato la morte del padre novantaquattrenne alla cui figura non riusciva a contrapporsi e dopo un primo grave infarto.
Tutta roba documentata, intendiamoci, o comunque basata, in un lavoro di ricerca durato più di vent'anni, su centinaia di lettere, di carte e di colloqui con persone che erano state vicine al grande analista. Come la moglie Clare che, prima di morire nell'84, aveva consegnato al biografo tutta la corrispondenza, o come Marion Milner (la celebre autrice di "Le mani del dio vivente") che ha incontrato più volte Rodman, dandogli numerosi suggerimenti.
Il contatto con i superstiti di quella grande fioritura teorica che, tra gli anni Trenta e i Sessanta, ha fatto di Londra la culla della nuova psicoanalisi, forma del resto la parte più interessante del libro. E ci porta di peso all'interno di quell'intreccio di umori e di persone che qui si dipana in tutta la sua intricata geografia.
Con particolari spesso inediti, c'è il rapporto con la grande maestra Melanie Klein: folgorazione iniziale, collaborazione e poi un distacco così netto che fece dire a Winnicott: "Quando comincio a parlare con Melanie della sua teoria della prima infanza, mi sento come uno che parla di colori con un daltonico". Intanto Melanie era stata il suo supervisore clinico, mentre lui era l'analista del figlio di lei, Eric, e concludeva la sua seconda analisi con Joan Rivier, intima della Klein. Si può aggiungere che Donald analizzò la Milner mentre lei si occupava della famosa paziente Susan, per anni ospitata generosamente a casa Winnicott, e così per molti altri episodi noti e non noti. Incesti psicoanalitici, si direbbe oggi. Ma Rodman ha l'accortezza di ricordarci che, tra pionieri ancora intenti a definire gli strumento per l'esplorazione dell'inconscio, i criteri etici odierni sarebbero anacronistici.
Quando arrivarono gli anni '50, la biografia ha un salto di qualità e la lente si concentra sulla smagliante produzione di Winnicott che, con il suo secondo matrimonio, sembra aver trovato anche la definitiva vena creativa. Restano palesi antipatie personali del biografo, come quella verso Masud Khan, allievo e grande amico di Winnicott, che Rodman detesta più di quanto il controverso psicoanalista morto pazzo, ma autore di pagine meravigliose, si meriti. Si aggiungono note su altri protagonisti della scena psicoanalitica inglese, come Wilfred Bion, ma la forza delle nuove idee di Winnicott sullo sviluppo infantile occupa pienamente la descrizione dei suoi ultimi decenni di vita.
Pediatra di formazione, Winnicott non aveva mai abbandonato il bamabino come oggetto centrale del proprio interesse speculativo. Per questo non si era mai chiuso del tutto in uno studio: aveva fatto lezioni alla radio, lavorato nelle istituzioni ed era anche stato in un'organizzazione che si prendeva cura di bambini difficili allontanati da Londra durante la guerra. Più tardi aveva persino aperto una casa accanto alla propria dove ospitava quegli adolescenti in difficoltà che, a suo parere, non dovevano vivere con genitori intrusivo o persecutori. La sua attenzione teorica si concentrò sulle fasi precoci dello sviluppo e sul rapporto madre-bambino, lasciando in eredità alcuni concetti originali di cui la psicoanalisi non può più fare a meno.
La più conosciuta è la teorizzazione della "mamma sufficientemente buona", cioè quella mamma capace di adattarsi totalmente ai bisogni del bambino, ma anche capace poi di ritirarsi, facendolo passare dall'illusione onnipotente alla graduale disillusione che ne farà un individuo separato. La più difficile è "l'angoscia del crollo", vicina a un sentire terrorifico impensabile, che spesso i pazienti in analisi temono al punto da preferire a essa il buio della psicosi. Però, dice Winnicott, si tratta di un'angoscia già vissuta in un'epoca della prima infanzia in cui non esisteva ancora la capacità di sostenerne l'impatto.
Ma l'idea più affascinante resta quella dell'"area transizionale" occupata nell'infanzia da quel ponte che il bambino costruisce tra la fusione con la madre e il mondo esterno, e che nell'età adulta diventa il luogo dell'esperienza culturale.
Tra gli aneddoti che Rodman dedica all'argomento c'è una curiosa lettera che Winnicott, ormai settantenne, indirizzò ad Arthur Miller. Voleva sapere se il commediografo avesse tratto dalla lettura dei suoi lavori l'idea degli oggetti transizionali presenti in "Jane's blanket". E aggiunse: "Spesso mi sono chiesto se anche Schulz che ha descritto quel personaggio dei Peanuts con un oggetto transizionale abbia letto ciò che ho scritto". Miller gli rispose freddamente che ci aveva pensato da solo, mentre l'autore di Linus e della sua coperta non si fece vivo. Scrive Rodman che qui "il narcisismo di Winnicott è piuttosto evidente: voleva avere una prova di quanto i suoi contributi avessero modificato il modo delle persone di osservare la realtà". Ma non si accorge che ha già risposto lui stesso in 500 pagine che, sia pure con andamento controverso, raccontano la vita semplice e il pensiero smagliante dell'uomo che ha innovato come forse nessun altro la dottrina di Freud.