domenica 14 novembre 2004

sinistra
Imma Barbarossa: dal punto di vista delle donne

Liberazione 13.11.04
Espropri, visti dalla parte delle donne
di Imma Barbarossa

Era inevitabile che l'evento "conclusivo" della grande giornata di "San Precario" suscitasse perplessità, discussioni, prese di posizione nel movimento, nel Prc e in quanti/e (io tra questi/e) ritengono la disobbedienza un'esperienza e una pratica molto importante per la crescita diffusa di soggettività critiche dell'ordine capitalistico, dello sfruttamento globalizzato, del pensiero unico.

Ma, proprio perché la ritengo importante, credo che discuterne sia utile tra quanti/e praticano il movimento sia quello contro la guerra, le basi militari, gli inceneritori e gli strumenti di morte sia quello delle azioni dirette di occupazioni di case, spazi etc.

Anch'io come tanti/e ritengo politicamente sbagliata la conclusione della "liberazione delle merci", ma per ragioni un po' asimmetriche rispetto a tante che sono state fin qui esposte.

Non mi convince del tutto la ragione della semplice inefficacia: anche un'azione immediatamente efficace può risultare di corto respiro. Né l'accostamento (per disprezzo o per ammirazione) al '77 mi convince: l'assenza di passamontagna e di, sia pure gestuali, P38 è decisiva, nel profondo. Qui non c'entra la questione della legalità e illegalità: la critica dell'esistente si è affermata proprio perché ci sono state azioni "illegali", cioè contrarie alla legge vigente, anzi le leggi sono cambiate proprio perché c'è stato chi ha disobbedito. Né si tratta della questione violenza/nonviolenza: i "liberatori di merci" non hanno usato violenza, non hanno picchiato (spero!), non hanno compiuto vandalismi (spero!).

Ma allora? Tralascio le volgari demonizzazioni della destra e dei benpensanti, anzi credo che il nostro partito debba impegnarsi a contrastare ogni possibile strumentalizzazione e criminalizzazione del dissenso. E premetto che sono favorevole ad azioni di gruppo o individuali, come fermare i treni che portano armi e scorie, occupare basi militari, smontare le strutture dei lager per immigrati, boicottare, smontare i palchi dove si apprestano a parlare i ministri di guerra, ecc. Molte/i di noi sia da studenti che da docenti abbiamo partecipato ad azioni "illegali" e dirette nelle scuole: personalmente l'ho fatto molte volte. Ma ho anche "salvato" studenti fascisti dai pestaggi nelle assemblee. Questo è il punto: se l'azione diretta non suscita consenso, anzi suscita paura (ho visto in Tv una cassiera terrorizzata), non appartiene alla pratica della disobbedienza, ma ad una semplice e ahimè banale prevaricazione. Se domenica 7 novembre tutt'Italia smette di commentare le partite e commenta "l'esproprio proletario", non abbiamo ottenuto un gran risultato.

Mi si dice: il potere è violento, quello sì è violento, ci uccide, ci rapina, affama milioni e milioni di persone. E allora? Non dobbiamo non solo essere altro, ma anche "apparire" altro? Mi viene anche detto: usiamo i nostri corpi per rendere visibile l'oppressione. Non mi pare sia così. E per dire questo ho un punto di vista "privilegiato", quello di genere. Le donne sono state le prime disobbedienti nella storia dell'umanità, in gruppo e da singole. Hanno disobbedito al padrone che le sfruttava, ai giudici, alla morale repressiva. Si sono autodenunciate per interruzione volontaria di gravidanza, hanno aiutato le altre donne a trasgredire le leggi e la morale degli uomini. Hanno messo in gioco il loro corpo per rendere visibile la loro oppressione. Ma si sono anche ribellate ai loro compagni proletari ("la donna è il proletario dell'uomo", scriveva il buon vecchio Engels): ricordate "compagni nella lotta, fascisti nella vita? ".

Ecco, appunto: la rivoluzione più lunga è l'unica rivoluzione nonviolenta, l'unica pratica alternativa, almeno finora, ed è l'unica che ha davvero messo in discussione lo stato di cose presente, l'ordine costituito, l'ordine patriarcale. Ha disvelato la "neutralità" e la "naturalità" del patriarcato. Marx, che aveva disvelato la non "naturalità" dell'ordine capitalistico, non aveva potuto e saputo analizzare il patriarcato. Quanto di patriarcale c'è nella sinistra e nel movimento? Molto, e lo riconosco gli stessi compagni del movimento. Quanto di maschile c'è nell'esibizionismo, nella forzatura, in una radicalità tutta messa in scena, persino gettata sui media, più in superficie e meno in profondità, più nell'azione e meno nel vissuto? Un progetto politico di costruzione di soggetti critici non deve partire proprio dai soggetti? E la liberazione può prescindere dall'autoliberazione? Mi piacerebbe discuterne, a partire dalla "buona fede" di tutte e tutti, e soprattutto fuori dalle etichette.