domenica 19 dicembre 2004

sinistra, un'anteprima
intervista a Fausto Bertinotti

ANTEPRIMA: l'intervista a Fausto Bertinotti che uscirà sul prossimo numero di MATERIALI

Ripensare l’agire politico per costruire una nuova società
Intervista a Fausto Bertinotti
di Patrizio Paolinelli


Se c’è un punto che mette d’accordo quasi tutti gli osservatori politici è il fatto che Rifondazione Comunista costituisce oggi il partito italiano maggiormente impegnato nel ridiscutere se stesso fin nel profondo delle sue radici. Il via a questo processo di “autocoscienza” collettiva è stato dato da Fausto Bertinotti (nella foto). Gli cediamo subito la parola per comprendere lo stato dell’arte su una discussione tutt’ora in corso e che continuerà a lungo.
DOMANDA - Nelle tue «15 Tesi» affermi sostanzialmente che la profonda crisi della democrazia rappresentativa può essere risolta da una nuova politica di trasformazione e liberazione. Puoi approfondire questo passaggio?
RISPOSTA - «La crisi della democrazia si acutizza quando la corsa breve della crisi della politica incontra la corsa lunga della crisi di civiltà e quest’ultima è segnata dalla tendenziale divaricazione tra innovazione e progresso sociale. Intendo dire che la globalizzazione porta a una radicale modificazione sia del rapporto tra governati e governanti sia delle istituzioni democratiche come le abbiamo conosciute in Europa. In pratica è la trasposizione del modello statunitense su scala planetaria. Da qui la necessità di rifondare l’idea stessa dell’agire politico».
D - Attraverso quali momenti si concretizza questo processo di rifondazione dell’agire politico?
R - «Ti faccio un esempio concreto. Con le recenti elezioni europee si è espressa un’Europa sociale che con il suo voto ha segnato una sconfitta dei governi e si è opposta all’Europa politica. Da quel voto emerge un esito che può portare alla separazione tra masse popolari e politica. Separazione che si manifesta in vari modi: astensionismo elettorale o rifugio verso formazioni xenofobe. Parlo di processi non di risultati definitivi perché emerge anche un’opposizione che annuncia la possibilità di costruire un’alternativa di società. La possibilità di uscire da sinistra dalla corsa breve della crisi della politica e dalla corsa lunga della crisi di civiltà consiste nella capacità delle forze della sinistra radicale di incontrare questa opposizione sociale».
D - Da quanto affermi il rapporto con i movimenti risulta centrale nella prospettiva politica del PRC. Tuttavia, molti sostengono che i movimenti prima o poi passano mentre i partiti restano. Il rapporto tra Rifondazione Comunista e il movimento può ribaltare questa affermazione?
R - «La ripresa del conflitto di classe va letta dentro lo sviluppo dei processi che ho appena descritto. Mi riferisco alla crisi delle politiche neoliberiste, alla risposta regressiva delle classi dirigenti a quella crisi e all’impetuoso avanzare del movimento. E’ come se il movimento avesse arato il terreno e lo avesse concimato permettendo a tutti coloro che vi seminano sopra di raccogliere buoni frutti. Insomma, il movimento è riuscito a cambiare gli orientamenti profondi della società aprendo la possibilità di un nuovo punto di vista critico dell’esistente. In questo senso è definitivamente entrata in crisi l’idea secondo cui i movimenti sono incaricati di porre i problemi e i partiti sono depositari delle risposte. O, per dirla in altro modo, che i movimenti sono buoni quando le sinistre si trovano all’opposizione e debbano andare a casa quando governano. L’autonomia dei movimenti è la condizione essenziale per il loro sviluppo e per la possibilità stessa di incidere ne
lle scelte. Credo che un merito di Rifondazione Comunista sia quello di aver percepito subito la novità del movimento altermondialista e di avervi investito ogni energia in un rapporto di internità».
D - Il declino del neoliberismo quali scenari apre per la crescita della Sinistra Europea?
R - «Un’uscita da sinistra dalla crisi del movimento operaio del ‘900. E’ un’ipotesi praticabile per una ragione oggettiva: si va attenuando la rivoluzione restauratrice della globalizzazione capitalistica. Una rivoluzione che si presentava con la forza arrembante del pensiero unico, del dominio del mercato e dello sviluppo senza fine. Questo progetto ha perso gli artigli. Se li è spuntati sulla roccia prodotta dalle contraddizioni create dalla sua stessa politica andando poi ad impantanarsi nella recessione e nella guerra permanente».
D - Continuando a ragionare sul ruolo della Sinistra Europea esistono ragioni più soggettive per la sua azione politica?
R - «Sì. Consistono nell’irruzione del movimento altermondialista e dell’innestarsi su di esso del movimento per la pace. Consistono in un nuovo conflitto sociale e di lavoro che ha affermato la possibilità di costruire un mondo non soggiogato dalle logiche del mercato. L’instabilità prodotta dalle classi dirigenti e la contestazione delle compatibilità imposte dalla guerra e dal neoliberismo rendono attuale la costruzione di un’alternativa di società. L’Europa è oggi il centro della nostra riflessione, della nostra iniziativa e la costruzione del Partito della Sinistra Europea costituisce una leva fondamentale per dare corpo ad un’altra Europa. Anche qui, nella realizzazione di questa soggettività politica della sinistra radicale continentale, le discriminanti di fondo sono costituite dal rapporto privilegiato con i nuovi movimenti».
D - Qual il peso delle prossime elezioni regionali rispetto alla politica nazionale?
R - «E’ un appuntamento che può influire enormemente nell’acuire la crisi strategica delle destre. Crisi strategica perché investe il suo blocco sociale e si inserisce nel fallimento delle politiche neoliberiste in Italia e non solo. Un valore fondamentale delle prossime regionali sta nella possibilità di respingere definitivamente il progetto di ridefinizione reazionaria della Costituzione. Parlo proprio della cosiddetta devolution, ovvero la rottura del quadro di coesione dell’esigibilità dei diritti sul territorio nazionale che le destre cercano di realizzare. Parlo dell’attacco al contratto nazionale di lavoro, al cuore stesso del sistema di relazioni sociali, del welfare».
D - Sul piano operativo come ci si rapporta con i cittadini per battere la propaganda delle destre?
R - «Dobbiamo comunicare con forza il carattere socialmente regressivo dell’attacco alla Costituzione e del rapporto tra questo attacco e la demolizione di un sistema di diritti costruito con il conflitto di classe degli scorsi decenni. Dobbiamo far comprendere che le modifiche costituzionali non hanno nulla a che vedere con il potenziamento delle Regioni. Lo si vede benissimo dalla manovra economica che il governo ha varato: sottrae risorse, mezzi, strumenti agli enti locali su cui poi si scaricano i costi delle politiche antisociali e dei tagli praticati dal governo. Allo stesso tempo dobbiamo trasmettere nuovi progetti ed esperienze che emergono proprio localmente e contribuiscono a determinare un nuovo rapporto tra movimenti, scelte politiche, amministrazione. Penso al bilancio partecipativo, ai beni comuni, alle nuove municipalità».
D - Quale augurio per il nuovo anno senti di fare ai cittadini della nostra regione?
R - «L’augurio di un 2005 senza le destre al governo del Lazio e del Paese. L’augurio di una stagione politica che rompa con il neoliberismo e contribuisca all’apertura di un nuovo corso. Nel Lazio le opposizioni avanzano una candidatura importante, quella di Piero Marrazzo, che segna un rapporto intenso con la società civile. Un rapporto decisivo per la costruzione di un programma autenticamente riformatore. Come già avvenuto in passato il Lazio può annunciare il cambiamento che investirà l’intero Paese».