giovedì 9 dicembre 2004

sinistra
un'intervista del manifesto a Fausto Bertinotti

Il Manifesto 9.12.04
BERTINOTTI: NESSUNO SI SENTA ESCLUSO
Incontro a sinistra. Il segretario del Prc dice sì: «Serve una discussione ampia e aperta, perché la sinistra di alternativa non inizia dove finiscono i riformisti»
Intervista a cura di Matteo Bartocci

«Non è che la sinistra di alternativa inizia dove finiscono i riformisti, per me dipende da dove sei collocato nella società». Fausto Bertinotti, per qualche giorno in vacanza lontano dall'italia, sostiene la proposta di assemblea avanzata dal Manifesto: «Tutto ciò che favorisce una discussione ampia tra le diverse forze che animano la sinistra alternativa secondo me è una buona idea. Per quanto ci riguarda - spiega Bertinotti - è un progetto che sosteniamo da tempo e il fatto che il confronto venga convocato dal Manifesto non può che essere d'aiuto, nel senso che nessuno può sentirsi escluso».
Chi dovrebbe partecipare?
Se pensassimo di parlare a un'area pari al 13 per cento dei voti che si collocano a sinistra dei Ds non avrebbe senso nemmeno iniziare a discutere. Sono convinto che la proposta del manifesto sia tanto più utile quanto più sarà aperta alla partecipazione composita diforze e soggettività politiche che si collocano nei partiti e nei movimenti, coinvolgendo associazioni, giornali, riviste, luoghi di ricerca.
Ma cosa può unificare soggetti così diversi tra loro? Perché si dovrebbe aderire?
Il primo punto, secondo me più importante anche dei contenuti, è il rapporto con i movimenti. È persino più importante del confronto programmatico in senso stretto. Perché quel rapporto definisce una determinata relazione con la società, anche se per sua natura «in progress» e a volte in forma incompiuta. Credo che a un confronto sulla sinistra alternativa debbano partecipare tutte le forze che in questi anni, a partire dal movimento dei movimenti, quello per la pace e del conflitto del lavoro, hanno scelto una collocazione interna e/o di confronto positivo con queste realtà.
Confrontarsi su quali contenuti?
Credo che il no alla guerra, la critica radicale alle politiche neoliberiste e l'opzione per una democrazia partecipata siano gli elementi programmatici da approfondire. Per inciso sono proprio gli argomenti che si devono alle esperienze di movimento.
Proprio i movimenti però sembrano ben poco convinti. Luca Casarini, per esempio, ha risposto al Manifesto che in questa fase «i movimenti devono difendersi dai partiti»
In un'area determinata dei movimenti è diffusa un'idea di società civile sostanzialmente priva del peccato originale, che curiosamente inizierebbe a manifestarsi proprio sulla soglia dei partiti. Io penso invece che quei partiti che si pongono, riuscendovi o meno, l'obiettivo di trasformare la società criticando l'ordinamento esistente costituiscono un elemento di organizzazione della società civile simile ai sindacati o ai movimenti stessi quando si organizzano in forme definite.
Tuttavia esiste davvero un problema di autonomia dei movimenti...
Esiste ed è fondamentale. Ma non vedo proprio che cosa ci sia da temere dal confronto. E poi non c'è nessuno che possa parlare a nome dei movimenti, se li intendiamo come quello per la pace o del conflitto del lavoro. Anche tra partiti e sindacati c'è sempre stato un rapporto complesso, con fasi alterne di dipendenza e autonomia. Come si fa a paragonare il sindacato degli anni '90 con quello dei consigli? Lo stesso vale per i partiti e per le componenti più organizzate dei movimenti. Io proporrei di indagare i movimenti secondo la categoria «luxemberghiana»: una necessità storica, in cui a ognuno tocca fare la propria parte. Poi chi ha più filo tesse più tela. Per questo inviterei tutte e tutti a partecipare all'incontro del 15. Del resto sono molte le esperienze che criticano la democrazia rappresentativa, basti pensare al pensiero femminista. Per quale ragione esperienze che si rifanno al femminismo non devono essere presenti? E se possono essere presenti loro perché non altri?
Tornando all'assemblea, in passato molti tentativi di questo genere sono falliti. Perché? E cosa si dovrebbe fare per evitare che accada anche stavolta?
Il rischio di fallire c'è sempre. «Provare e riprovare» diceva Gramsci. Ma nel rattrappirsi delle esperienze precedenti vedo limiti che penso possano essere evitati in questa assemblea: il primo è stato la partecipazione con riserva, nel senso che ognuno è intervenuto avendo già in mente un esito definito del percorso. Così è venuto meno il valore del processo e del percorso largo da parte di tutti e sono subito aumentate le resistenze. In questo modo si è deviato dall'obiettivo immediato, che è un'iniziativa politica: la ricerca di un agire in comune. A questo tentativo «pratico» si accompagna stavolta il tentativo di una «ricerca» politica. Se non fosse impegnativo il termine, direi perfino una ricerca neo-identitaria di cosa dovrebbe essere oggi una sinistra. Per questo dobbiamo discutere al primo punto di «che cosa facciamo insieme qui e ora», a prescindere da dove siamo collocati. Su questo non devono esserci impedimenti: non è che la sinistra alternativa inizia dove finiscono i riformisti. Non è così: penso alla sinistra Ds, che costituisce una componente indispensabile di questo processo.Tutti, senza pregiudizi per la loro collocazione, devono partecipare.
Da cosa può iniziare questa «ricerca politica comune»?
Come dicevo, la sinistra di alternativa dipende da dove sei collocato nella società. Io indicherei nel precariato la cifra o il codice riassuntivo della condizione dei soggetti sociali a cui dobbiamo guardare prioritariamente. Se non fosse troppo, direi il «nuovo» e il «vecchio» proletariato: non penso a soggetti definiti come l'operaio o l'operatore di «call center» ma a una coalizione lavorativa socialmente ampia. Questa è la base e il fondamento che costituisce il problema irrisolto per noi e per tutte le diverse forze politiche, di movimento e sindacali. Come dare forza di azione collettiva e proiezione politica programmatica a questa realtà sociale.
Di questi giorni analisi terribili: due terzi dell'umanità guadagna, se va bene, 2 dollari al giorno. E la fame è una realtà per 850 milioni di persone. Che rapporto tra questo «collasso»mondiale e il «declino» italiano?
Non esiste una reale possibilità di fuoriuscire dalla crisi della politica senza una soluzione delle crisi mondiali. I problemi a livello nazionale ti si ripropongono sempre su scala europea e su scala mondiale. Puoi anche avere i piedi piantati a Scanzano e Melfi, ma devi anche essere in grado di stare in un sistema di reti che ti portano a Bombay e Porto Alegre. E poi, se uno volesse essere ambizioso, direi anche in Cina.
L'Italia va in Cina cercando più commercio, anche quello di armi. Ma il centrosinistra non sembra sconfessare questa impostazione...
In questa dimensione globale mi sembra siano in campo due partiti «borghesi». Uno è barbarico, lo chiamerei «della fortezza» perché propone dazi, barriere, più protezionismo. L'altro sembra più «dolce» ma è assai strampalato: confida nella bontà della globalizzazione e del liberismo senza accettare le sue conseguenze orrende, che arrivano a provocare una crisi della civiltà. La sinistra alternativa europea deve uscire da questa polarizzazione e tornare a riflettere sul controllo sociale dei processi economici.