sabato 2 ottobre 2004

da Giotto a Malevic

Il Messaggero Sabato 2 Ottobre 2004
Aperta alle Scuderie del Quirinale la mostra che raccoglie 190 opere di maestri italiani e russi
Da Giotto a Malevic, il filo rosso
di FABIO ISMAN

«Galleria d’inestimabile valore», sancisce il ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani; «la visita mi ha procurato grandi emozioni», confessa il suo omologo Alexander Sokolov (che è anche buon violinista), lieto perché, appena tornato a Mosca, lo attende la firma di un accordo tra l’Accademia di Santa Cecilia e il Conservatorio di Mosca; «la Russia porta fortuna alle Scuderie del Quirinale», celia Gianni Borgna, assessore alla Cultura, pensando all’inaugurazione con gl’impressionisti dall’Ermitage; Irina Antonova, che dirige il museo Puskin, dove la mostra si trasferirà nel 2005, e, da sempre, è il nume tutelare dei beni culturali nel suo paese, ammette che gli studiosi italiani e russi, organizzando la rassegna, «non sempre erano d’accordo; ma il clima di lavoro è stato magnifico»: alle Scuderie del Quirinale, la mostra Da Giotto a Malevic, la reciproca meraviglia (fino al 9 gennaio, catalogo Electa) apre in modo solenne. Allinea quasi 190 opere nell’arco di otto secoli, tra cui molti capolavori dei due Paesi; è il primo atto di un ”festival russo”, che animerà Roma a dicembre.
Dalla comune genesi bizantina (eccezionali icone, splendidi oggetti dal Tesoro di San Marco), all’epoca in cui l’Italia (Vladimir Sedov) «esportava la bellezza»: e il Rinascimento della penisola muta anche le immagini sacre, introduce il ritratto in quella terra immensa e lontana, dove già alcuni italiani costruivano fortezze e palazzi (e non potevano più tornare in Italia, perché lo zar temeva di perderli); fino ai tempi in cui, con Pietro il Grande ed Elisabetta, nasce il collezionismo (ed ecco un Tiepolo, ecco i Canova finiti così lontano), gli italiani firmano la nuova città del Nord (Trezzini, Rinaldi, Rastrelli, Quarenghi, Rossi, tanto che il famoso scrittore, chimico e astronomo Michail Lomonosov sospira: «Come sei bella, a Roma sei diventata simile»); e al Novecento, in cui le avanguardie dialogano a distanza, e Marinetti, nel 1914 in Russia per mietere proseliti, viene malamente respinto e tacciato di provincialismo.
Il tutto, attraverso dipinti significativi (pur se mancano i Tiziano che l’artista aveva nello studio alla sua morte, venduti dai Barbarigo all’Ermitage), con accostamenti che parlano da soli: Foscolo è accanto a Puskin; a distanza di dieci anni, due principesse di Hayez e Zarjanko sono nella medesima posa, così come lo erano stati, nel secolo prima, il conte Razumovskij ritratto di Pompeo Batoni e un Demidov di Dmitrij Levickij; il barbone di Pellizza da Volpedo nell’ Autoritratto si misura con l’onor del mento di Ivan Siskin, pittore eternato da Kramskoj. E siamo alle “sfide della modernità”: da Giotto, a Malevic; con contorno di De Chirico, Modigliani, Boccioni, dei primi Morandi e Carrà; e di Tatlin, Larionov e Gonciarova, nonché due artisti russi che la Russia riconosce scarsamente come propri, Chagall e Kandinskij: signori, la mostra è servita.