mercoledì 2 febbraio 2005

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marketpress.info
GLI SCIENZIATI BRITANNICI SCOPRONO COME RENDERE LE CELLULE OCULARI SENSIBILI ALLA LUCE


Bruxelles, 2 febbraio 2005 - Un team di ricercatori dell'Imperial College di Londra e dell'università di Manchester ha scoperto come rendere le cellule oculari sensibili alla luce, aprendo così la strada a una possibile cura di alcune forme di cecità. Gli scienziati hanno scoperto che attivare il gene melanopsina nelle cellule che normalmente non lo utilizzano le si rende sensibili alla luce e in grado di generare segnali biologici. 'È da sottolineare che basta attivare un solo gene per creare un fotorecettore funzionale', ha detto Mark Hankins, dell'Imperial College di Londra. 'Secondo la descrizione classica, l'occhio contiene solo due sistemi sensibili alla luce, bastoncelli e coni. Ma negli ultimi anni si è sempre più propensi ad ammettere che abbia un terzo sistema, che usa la melanopsina, rimasto nascosto durante decenni di ricerche scientifiche', aggiunge Rob Lucas, dell'università di Manchester. La visione dipende dalla capacità dei bastoncelli e dei coni presenti nella retina d'interpretare i livelli di luce. La cecità spesso è dovuta a una malattia della retina che ne distrugge i recettori. Lavorando sui topi, il team ha constatato che le cellule in cui veniva attivato un gene di melanopsina agivano come fotorecettori. 'La scoperta potrebbe offrire agli scienziati lo spunto per curare la perdita della visione', ha spiegato Lucas. Fare in modo che le cellule dell'occhio reagiscano alla luce non è una cura per la cecità, ma i ricercatori stanno lavorando con gl'ingegneri medici su protesi retiniche che aiuteranno i pazienti con alterazioni della vista a vedere più chiaramente. I geni melanopsina potrebbero inoltre essere inseriti nelle cellule intatte delle retine malate, trasformandole in fotorecettori funzionali. Anche se è molto improbabile che possa in futuro permettere di recuperare completamente la vista, la scoperta permetterà però probabilmente di ristabilire la percezione in bianco e nero. Gli esperti ritengono che la scoperta consentirà di approfondire le conoscenze del sonno, dell'insonnia, della depressione e dei disturbi affettivi stagionali.

ilmattino.it
2 febbraio 2005
GLI INCONTRI DI AVERSADONNA
Ipnosi e conoscenza, la parola all’esperto


Aversa. Venerdì alle 17, presso la sala consiliare del Comune di Aversa, l'associazione culturale Aversadonna in collaborazione con l'assessorato alla Cultura presenta per l'edizione 2005 di «Incontro con l'autore» la conferenza di Angelo Bona su «Oltre il confine, l'Amore: l'ipnosi regressiva e l'apprendimento del sé». La serata sarà introdotta dalla presidente di Aversadonna, Nunzia Orabona. L’autore, proporrà alcune storie tratte dal suo ultimo lavoro, «L'amore oltre la vita: l'ipnosi regressiva e il segreto della reincarnazione». Il testo è una sorta di libro-terapia in cui vengono analizzati i casi di alcuni pazienti malati d'amore. Secondo Angelo Bona, attraverso l'ipnosi si rivivono, grazie alla memoria, i ricordi del periodo prenatale e di vite passate e questo ci può aiutare a capire noi stessi e soprattutto cosa significa amare. Per lo scrittore, medico anestesista e psicoterapeuta, il nostro spirito è in grado di apprendere, dai tanti percorsi che compie, la legge universale dell'amore. La parola amore può significare tante cose, può essere sinonimo di felicità, scoperta e piacere, ma può essere accostata anche al dolore e al tradimento. L'amore ci porta a fare i conti con la nostra anima e Bona ci aiuta ad entrare in contatto con la vera essenza di noi stessi per poter capire l'amore e capire la nostra personalità. Non sono molte le persone che conoscono questo tipo di psicoterapia che «conduce il paziente indietro nel tempo - spiega Bona - grazie ad essa è possibile recuperare ricordi dimenticati o contenuti profondi assopiti nell'inconscio dell'attuale vita o, come io sostengo, a favorire l'affioramento di memorie prenatali di vite precedenti».

ladige.it
2 febbraio 2005
Etica e malattia mentale:
la riflessione in psichiatria


Cosa c'entra la bioetica con la malattia mentale? E quali sono i problemi che l´etica impone alla pratica psichiatrica? Sono solo alcune delle domande che la dottoressa Lucia Galvagni, ricercatrice di bioetica, proporrà all'attenzione del pubblico nella conferenza alle 20.30 alla Sala della Tromba nel capoluogo.
Si tratta del secondo appuntamento degli incontri dal titolo «Salute mentale, empowerment e cittadinanza attiva» organizzati da Comune di Trento, Azienda Sanitaria provinciale, associazioni del Mutuo Aiuto e la Panchina.
Galvagni: il termine "etica" viene spesso associato alle questioni di cronaca più stretta. Che c´entra con la malattia mentale?
In effetti, sui giornali e in televisione le questioni che hanno più risalto sono quelle che noi chiamiamo dell´ "etica di frontiera", che riguardano spesso una scelta pubblica, che va fatta dalla comunità nel senso allargato e che richiede una decisione politica di avvallo. Si tratta dei temi della fecondazione assistita, delle cellule staminali, o questioni che tutti i giorni le persone che operano nella sanità e nella pratica clinica si trovano ad affrontare».
E nella malattia mentale?
«La malattia mentale è particolare, si accompagna a fasi acute e a momenti meno difficili. Se in tutti gli altri ambiti il paziente è sempre più sollecitato a dare il suo parere ed il suo consenso alle cure, nell´ambito della psichiatria la questione si fa delicata».
In quali termini?
«Nello stato più grave della malattia mentale, la persona non è in grado di fornire il proprio parere su una terapia o su un controllo. Le questioni etiche, qui, non sono teoriche, ma diventano pratiche, e riguardano il se, il quando, il come intervenire».
L'intervento può essere violento...
«Possiamo pensarle come forme di violenza, o diversamente come forzature per riportare il soggetto all´unità di sé stesso. Certi bioeticisti parlano di "violenza diabolica" e "violenza simbolica". Se la violenza è volta a riportare il paziente ad avere coscienza, ci pare legittima. E il punto di vista è duplice: da chi la riceve, e dall´operatore».
Quindi una violenza che è sempre legittima?
«Il tentativo è quello di trovare nuove forme di accompagnamento, di cura meno puntuale e non solo nei momenti acuti. Magari educando all´autonomia. Cercare quindi di aiutare le persone malate a prendere coscienza dei propri limiti. A pensare: "mi sento strano, mi sta per succedere qualcosa". Non è un'utopia, ma una sfida, e il lavoro nelle comunità va in questo senso».
Con quali risultati?
«Ad esempio prendendosi cura del malato non solo per la sua mente, ma anche per il suo essere un corpo. Con l'attenzione all'interiorità, ad uno spazio che deve restare personale».

clicmedicina.it
1 febbraio 2005
Calo della libido primo sintomo sentinella dell’ipogonadismo


L’ipogonadismo, o carenza di testosterone, colpisce in media il 6% degli uomini adulti. La vaghezza di alcuni sintomi, come l’astenia e la depressione, rende spesso difficile la diagnosi. Le ultime ricerche si sono concentrate dunque su quelli sessuali e, in particolare, sul calo del desiderio, che è risultato il sintomo sentinella più importante. Secondo uno studio dell’Unità di Andrologia di Firenze su 1300 adulti, un paziente su tre (30% dei casi), che si rivolge al medico per problemi di disfunzione sessuale risulta affetto da ipogonadismo.
“Dal nostro studio - spiega il professor Mario Maggi, Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Firenze – la frequenza di ipogonadismo tra i pazienti con disturbi sessuali risulta 5 volte maggiore rispetto alla popolazione adulta generale. Il dato è particolarmente importante per la diagnosi. Spesso, infatti, i pazienti non riconoscono gli altri sintomi e si rivolgono al medico solo in presenza di problemi nella vita sessuale”. Ma quali possono dipendere dall’ipogonadismo? “La ridotta presenza di desiderio e la conseguente riduzione dell’attività sessuale – continua Maggi –. L’azione del testosterone riguarda infatti la libido, poiché questo ormone ha la funzione di correlare il desiderio con l’atto vero e proprio, innescando l’inizio e la fine dell’erezione.”
Un’ulteriore conferma arriva dai dati relativi a circa 20.000 uomini, visitati nella Settimana della Prevenzione Andrologica dal 2001 al 2003, patrocinata dalla SIA, Società Italiana di Andrologia. “Mediamente oltre il 20% dei pazienti osservati lamenta un calo della libido: in questi casi è probabile che vi sia una diminuzione del testosterone. – spiega il professor Vincenzo Gentile, presidente SIA – Una valutazione dei livelli di testosterone circolante dovrebbe dunque considerarsi un test di routine.”
L’ipogonadismo è anche strettamente correlato all’avanzare dell’età, che comporta un calo fisiologico dell’1-2% della produzione di testosterone ogni anno. “Quando questo calo è importante può dare origine ai sintomi dell’ipogonadismo: in questo caso si parla di PADAM, Partial Androgen Deficiency of Aging Male – commenta il professor Giorgio Valenti, Ordinario di Geriatria dell’Università di Parma e presidente di ISSAM Italia (Sezione italiana di ISSAM, la Società internazionale che studia l’invecchiamento maschile) - Dopo i 50 anni i sintomi vanno ricercati oltre che nella sfera sessuale anche in quella psichica (calo di concentrazione e di memorizzazione e alterazioni del tono dell'umore) e in quella somatica (astenia, turbe del ritmo del sonno). In base alla gravità dei sintomi e dei livelli ematici di testosterone i pazienti con PADAM possono essere selezionati per il trattamento.”
L’ipogonadismo, se non trattato, può dare origine a complicanze importanti: astenia, depressione e problemi cognitivi, osteoporosi, anemia, aumento della massa grassa e diminuzione di quella muscolare.
La corretta diagnosi risulta molto importante per una cura tempestiva, possibile oggi grazie a terapie sempre più tollerate e efficaci. Recentemente anche in Italia è stato introdotto il testosterone in gel, la formulazione di più facile applicazione e che permette di ripristinare i livelli fisiologici del testosterone.
“Dagli studi la formulazione in gel risulta essere quella più adeguata al trattamento. L’ormone contenuto nel gel, infatti, viene assorbito nella cute e rilasciato lentamente in modo da determinare livelli costanti di ormone nel sangue nelle 24 ore.” – commenta il professor Vincenzo Mirone, Ordinario di Urologia, Direttore Scuola di Specializzazione in Urologia, Università Federico II di Napoli e presidente ESAU, European Society of Andrological Urology -. Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia di questa terapia. Contrariamente alle iniezioni e ai cerotti, il gel ha permesso di raggiungere livelli ottimali di testosterone già alla prima applicazione e di mantenerli anche nelle terapie a lungo termine. I pazienti hanno mostrato un miglioramento della funzione sessuale intesa come aumento della libido e della performance sessuale e un miglioramento dell’umore e stato di benessere. A lungo termine la terapia può inoltre migliorare la distribuzione della massa grassa e magra corporea e la densità minerale ossea. Rispetto alle vecchie cure, il gel evita inoltre gli effetti collaterali delle applicazioni, come il dolore delle iniezioni, le irritazioni cutanee dei cerotti e soprattutto le oscillazioni dei livelli di testosterone nel sangue.
Il testosterone è il più attivo e importante ormone maschile e permette il normale sviluppo dell’apparato genitale e, in generale, del fisico dell’uomo. È prodotto dalle cellule di Leydig del testicolo in quantità media di 5-7 milligrammi al giorno. Il livello circolante di testosterone normale nel maschio adulto è di circa 12 – 40 nmoli/l.
Sono ipogonadici i pazienti con livelli di testosterone inferiori a 7 nmoli/l e dunque da trattare. Nel caso i pazienti abbiano livelli inferiori a 12 nmoli/l, si parla si ipogonadismo lieve, e la presenza di sintomi può far decidere per il trattamento.