Corriere della Sera 24.2.05
«L’inizio fu magistrale». E l’inizio parte da Agilulfo e...
Serena Zoli
«L’inizio fu magistrale». E l’inizio parte da Agilulfo e San Colombano che si accordano perché i frati si insedino, coltivino, edifichino. È l’inizio del borgo avito, Bobbio, nel Piacentino, da cui si dipanerà la saga dei Bellocchio che Alberto, uno dei numerosi fratelli tra cui Marco, il regista, e Piergiorgio, lo scrittore, si incarica di raccontare, anzi evocare, in questo Il libro della famiglia che attrae già per l’aspetto esterno, da bel quadernone con la foto d’antan a tutta copertina. Chi segua l’invito non resta deluso. Preso da incanto per questi versi sciolti, leggeri e spesso leggiadri, e da fascinazione del rapido narrare per guizzi di immagini, per allusioni, per strappi da antiche carte, corre spedito lungo secoli di storia e lungo la piana fertile «di frutti e fiori e salami maturi» e il vivace Appennino dalle «uve amabili».
Si comincia con la citazione, tra Cinque e Seicento, della Cà de’ Bellocchii intesa come luogo, che diventa cognome ed emigra in città: due osti, un cavapietre, un vetturale, un sellaio... poi saranno impresari, mediatori, mercanti finché, a fine Ottocento - e da qui la corsa nel tempo rallenta - ci saranno case e ville e poderi da amministrare e far fruttare.
Spunta qui la «mania operosa» della dinastia, passa per la nonna Barbara la svolta dalle terre alla professione («la testa si fa pane e vino, e lo moltiplica»), il padre dell’autore, Bruno, sarà avvocato, meta raggiunta col concorso e il sacrificio di tutta la famiglia quando le famiglie pianificavano l’avvenire di ciascuno. E sarà «il principe», capace capofamiglia e aspro carattere, assecondato dalla sorella Laura che per lui ha rinunciato a una vita propria.
Per le donne, per «la costola di Adamo» come le chiama, Alberto Bellocchio mostra particolare sensibilità e capacità di ascolto. La quarta parte, «Il libro di Dora», segue la madre dai sogni e dalle voglie d’allegria di ragazza al peso della famiglia, numerosissima, che la consuma nel suo cerchio, «incompatibile coi tasti del pianoforte» e con la pittura che amava. Dora si perde, Dora ondeggia sotto una «fatale stanchezza», Dora si riprende, e riappare il sorriso, quando il marito è morto, i tempi sono più facili, i figli grandi. Poi «Dora vola via» e quest’ultimo canto è il più lirico. L’affetto non pesa, asseconda quel leggero svanire. Ma Dora ritorna, ancora più lieve, tra il solaio delle memorie, i fornelli dove cuoce la pietanza, il porticato ameno.
Bellocchio si ferma dove invece prende più respiro e spazio un altro «romanzo della famiglia» in versi, quel La camera da letto dove - un parmense stavolta - Attilio Bertolucci ripercorre il tempo degli avi ma molto di più dedica a una sofferta autobiografia. Alberto, invece, resta un intenso, a volte ironico e sorridente, «narratore».
Il libro: «Il libro della famiglia» di Alberto Bellocchio, il Saggiatore, pagine 280, 30
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