martedì 22 marzo 2005

inaugurato il nuovo carcere per tossici a Castelfranco Emilia

Redattore Sociale 22.3.05
CARCERE
Casa di reclusione per tossicodipendenti di Castelfranco Emilia.
Il
Cnca non condivide l'iniziativa: ''Non serve un carcere modello ma un ripensamento del sistema. Preoccupa la trasformazione dell'educatore in guardia carceraria''

ROMA – Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) prende le distanze “da un’iniziativa di cui ha appreso notizia solo dai giornali: la proposta governativa di avvio di una nuova sperimentazione nell’area carcere e tossicodipendenze da attuarsi a Castelfranco Emilia, a partire dal prossimo mese di aprile e gestita da un “certo” privato sociale”.
Per la Federazione, “il silenzio su tale iniziativa sarebbe complice verso modalità che non solo non si condividono e nelle quali non ci si lascerà coinvolgere, ma nei riguardi delle quali è urgente una forte azione di contrasto”.
Il Cnca, a partire dalle numerose esperienze attive da anni nelle carceri italiani e svolte in collaborazione con gli operatori pubblici sia dell’area sanitaria che della Giustizia, esprime dunque preoccupazione per tale proposta e chiede l’avvio di una riflessione seria sulla questione carcere e tossicodipendenza, a partire dai seguenti punti.
“Da anni il Cnca, insieme a tutte le realtà che operano negli istituti di pena italiani, pone la questione carcere tra le priorità dell’intervento sociosanitario nel nostro paese. Si registrano punte di una gravità eccezionale: le numerose morti in carcere, le overdose, le varie forme di abbandono o l’assenza di interventi organici e strutturali per la scarsità delle risorse sia professionali sia economiche investite, fino a giungere alla totale assenza di interventi in alcune situazioni specifiche. Le persone tossicodipendenti in carcere risultano superare le 15.000 unità ogni anno; appare, quindi, necessario attivare un piano organico di interventi più che nuove progettazioni “spot” isolate, non ripetibili e di forte profumo elettorale e politico”.
Secondo punto toccato dal Cnca: “Le poche informazioni disponibili sull’esperienza di Castelfranco ci descrivono un capovolgimento della filosofia dell’intervento delle comunità in carcere, con l’assunzione di responsabilità contenitive e di supporto alla detenzione da parte degli operatori sociali. Tale trasferimento del percorso delle comunità e del ruolo degli operatori in un percorso per detenuti, pur se tossicodipendenti, comporta una rinuncia ai fondamenti stessi del percorso terapeutico, cioè la libera scelta e la responsabilità della persona nell’avvio e nel prosieguo del programma rieducativo - principi che il Cnca ritiene ineludibili nei propri interventi. In sé, la presenza degli educatori non modifica da sola la valenza puramente contenitiva che il carcere attualmente esplica. Ci preoccupa la proposta di trasformazione dell’educatore in guardia carceraria e del percorso terapeutico in lavoro in carcere. Riteniamo piuttosto che il lavoro sia estremamente utile ed efficace in contesti di affidamento e detenzione alternativa alla struttura carceraria stessa (la comunità o i servizi territoriali)”.
“Vogliamo poi con estrema franchezza esprimere anche viva preoccupazione per il ruolo improprio e inaccettabile che alcune organizzazioni del privato sociale hanno deciso di condividere nell'esperienza di Castelfranco Emilia – continua la nota del Cnca -. Riteniamo che si rischi una altissima ambiguità in cui le dimensioni educativa e trattamentale, come talvolta è già successo, si convertano in un’esperienza gravemente coercitiva, in una logica puramente dissuasiva, creando forte ambivalenza tra luoghi della giustizia e messaggi pseudo-trattamentali. I rischi che vediamo nell’iniziativa di Castelfranco Emilia ci paiono amplificati anche dal fatto che tale esperienza viene affidata a realtà del privato sociale di cui non condividiamo i dichiarati metodi di dissuasione e di contenimento, a volte estremi, che si vorrebbero legittimati dal fatto che il fine giustifica i mezzi”.
“Preoccupa anche l’assenza, nella proposta governativa, di una progettualità condivisa con la rete territoriale e lo scavalcamento delle competenze pubbliche territoriali – conclude la Federazione -. Riteniamo, invece, che vadano sviluppate progettazioni e percorsi condivisi con tutte le componenti sia pubbliche sia private che con il carcere collaborano: enti locali, Sert, comunità, associazioni, operatori della giustizia. Le numerose seppur faticose esperienze all’oggi avviate – a Milano, a Roma, a Firenze – ci insegnano come sia possibile un approccio diverso, tra carcere e territorio, tra pena e cura, tra reato e tossicodipendenza. Non servono le “pseudo carceri modello”; il carcere non può essere il nuovo scenario dello scontro politico, serve un progetto vero e complessivo con interventi organici e strutturali che prevedano un ricorso ben più significativo e integrato alle misure alternative alla detenzione”.
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Corriere della Sera 22.3.05

CASTELFRANCO EMILIA (Modena) - Per Roberto Castelli, ministro leghista alla Giustizia, è un fiore all’occhiello. Per l’opposizione è fumo negli occhi. Adesso l’Italia ha il primo carcere a custodia attenuata per i tossicodipendenti e un nuovo fronte di polemiche. Una struttura pilota per il governo, con meno inferriate e più riabilitazione. Un lager, un ghetto, una San Patrignano con le sbarre per il popolo anti. Una quarantina di «disobbedienti» ha bloccato la via Emilia per protestare, altri 150 manifestanti (un Coordinamento che riunisce Prc, Verdi, Cgil, Social Forum modenese) hanno scelto il contrasto morbido: striscioni e slogan. I primi hanno fatto arrabbiare gli automobilisti costretti a quasi 2 ore di blocco del traffico. I secondi hanno irritato i due ministri intervenuti all’inaugurazione. Carlo Giovanardi, responsabile per i Rapporti con il Parlamento, ha stigmatizzato il «furore ideologico» e la «disinformazione» attorno all’iniziativa. «Chi la paragona ad Auschwitz non sa di cosa parla». Roberto Castelli, contento per la realizzazione del carcere light per tossici, è stato pesante con un giornalista di Repubblica (preannuncio di querela) «reo» di aver indicato San Patrignano come modello di riferimento della struttura. Per il Guardasigilli, nessun appalto esclusivo alla Comunità fondata da Vincenzo Muccioli. «San Patrignano ha molti meriti, ma non vuol dire che gli daremo la gestione privatistica dell’istituto».
Per la prima volta un istituto penitenziario è inaugurato da due ministri. «Dimostrazione di quanto al governo stiano a cuore le politiche per i tossicodipendenti», ha detto Castelli. Per gli oppositori (che hanno manifestato anche a Roma, sotto il ministero della Giustizia) è stato uno spot elettorale.
Il problema droga in carcere è enorme: il 30% dei detenuti è tossico, il 40% di chi è in cella ha commesso reati legati alla droga. Castelli dice che la risposta dello Stato non può essere solo cella più chimica: «A lungo andare condanna i tossicodipendenti alla disperazione». Castelfranco sarà un’esperienza pilota: l’amministrazione penitenziaria chiama a collaborare le agenzie antidroga. La struttura è ricavata in un fortilizio voluto da Papa Urbano VIII. A vederla ha poco del carcere e molto della comunità: stanze a 2 o 3 letti con bagno, acqua calda e tv. Gli ospiti, tutti uomini, saranno un’ottantina: i primi 40 arriveranno dal 1° aprile. Scontano condanne a più di 4 anni e perciò non sono ammessi ai servizi sociali esterni. I detenuti lavoreranno in laboratori, stalle, serre, campi, ma ci sarà molta severità nel recupero. Chi sgarra torna in una cella tradizionale.