martedì 22 marzo 2005

la pillola dell'obbedienza

L'Unità 22 Marzo 2005
La Pillola dell’Obbedienza
I bambini e l’abuso del Ritalin

Anna Maria De Angelis

Domenica 20 marzo ore 12.00. Sono seduta al Bar in piazza del Colosseo per la manifestazione contro il Ritalin, la pillola dell’obbedienza che serve a sedare i bambini che hanno l’«argento vivo addosso».
Ci sono gli amici del Coordinamento dei Genitori Democratici, Psichiatria Democratica, medici, pubblici amministratori, tanti bambini e tanta gente «abile» e «diversabile». Uno degli slogan scritti sulle magliette è «Diversi da chi? Visto da vicino, nessuno è normale». Ho appena salutato e scambiato due parole con Giusy e Tiziana.
Tra “Bocca di Rosa”, “Ciao bella Ciao”, i colori, le riflessioni, l'allegria e la rabbia, nel pagare il caffè mi ritrovo un biglietto da visita che mi ha dato uno psichiatra durante un convegno sul disturbo mentale. Nel retro leggo: «Occorre dimostrare con i fatti che la malattia mentale non crea fossati invalicabili né impedisce rapporti autentici tra le persone», Giovanni Paolo II novembre 1996.
Penso a mio figlio. È a casa per il week end; da più di un anno è ospite di una comunità terapeutica in psichiatria. Voleva venire anche lui, indignato per questo farmaco terribile, ma ha preferito rimanere a casa per riposarsi.
Mi rigiro il biglietto tra le mani, do uno sguardo alla gente che si assiepa intorno al banchetto delle firme, penso con sconforto ai bambini possibili soggetti inermi e inconsapevoli di tanta malvagità quale è la sedazione farmacologica, quando si siede accanto a me un'amica dell'associazione sulla salute mentale a cui ambedue apparteniamo. Mi chiede come sta mio figlio, io le chiedo di sua sorella, ci confrontiamo su comuni riflessioni in merito al Ritalin e agli psicofarmaci e a come i pazienti psichiatrici siano sempre più sedati (e spesso non curati). Ci ripetiamo le infinite risposte che gli operatori danno a utenti e familiari; sono sintetizzabili in «non ci sono le risorse». Federica allora mi chiede se ho letto la notizia di quella madre che ha ucciso la figlia neonata.
Cala il silenzio. È difficile capire chi è diverso, chi ha bisogno di ascolto, noi lo sappiamo… e poi.. di fronte a questa tragedia… Ci salutiamo con dolcezza.
Perché noi familiari non siamo aiutati di più? Abbiamo bisogno di un linguaggio semplice che arrivi al cuore e alla intelligenza di tutti senza banalizzazioni, penso.
E ripenso alla frase di Giovanni Paolo II, «occorre con i fatti…» . Rileggo mentalmente la notizia terribile apparsa sulle pagine dei quotidiani locali e nazionali su questa donna che ha ucciso la figlia appena nata. L'ha uccisa con un coltello, all'alba, a Roma. Un medico le aveva dato dei sedativi di notte. Sembra che nessuno del Centro di Salute Mentale l'avesse visitata dal 2003. Certo mi dico, i familiari non hanno chiamato il 118. Ma come è difficile farlo… ci si vergogna… è normale… E poi la psichiatra le aveva consigliato di non avere figli… Ma quando? E aveva parlato con il compagno? I familiari erano stati coinvolti? E quanto? Quanto resi partecipi e consapevoli di un disturbo a cui non si può fare la TAC? Senza criminalizzazioni e con un po’ di conforto. Morta la piccola Ilaria e uccisa per sempre nell'anima, Maria la madre, con un nome evocatore. A volte penso che sia un destino ineluttabile. Ma non è vero.
Se il Centro di Salute Mentale fosse stato aperto anche di notte con tutte le informazioni sul caso…
Se qualcuno avesse cercato Maria…
Saluto Giusy, entro in macchina e torno a casa da mio figlio e dalla mia famiglia.