domenica 3 aprile 2005

i classici

Il Mattino 3.4.05
Vegetti: classici, maestri di politica
Salvo Vitrano
Via la polvere dai classici.

Platone o Senofonte, Eschilo o Aristofane, sono vecchi di millenni, ma se si prova a leggerli cercando di fare a meno dei pregiudizi della modernità possono apparire illuminanti e rivolti al domani più di molti contemporanei. Perché loro - come spiegò Nietzsche a proposito dei primi filosofi - non erano schiacciati come noi dal peso della tradizione. I temi e i problemi li decidevano senza farsi condizionare dalle convenzioni di scuole, accademie e consolidate ideologie. I classici antichi rappresentano lo «stato nascente» della nostra cultura. Cosa c’è di meglio che tornare a interrogarli quando la cultura occidentale, che nel loro pensiero ha le radici, sembra attraversare momenti di crisi? E questa è la prospettiva indicata dal ciclo di conferenze «I contemporanei del futuro», proposto a Napoli dall’Università Suor Orsola Benincasa a partire da martedì 5 aprile. Il titolo è lo stesso che inventò Giuseppe Pontiggia per un suo volume di «viaggio nei classici». In programma per le prime due giornate ci sono gli appuntamenti con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, docente all’Università di Pavia, che parlerà dello Ierone di Senofonte, martedì 5 mattina, e della discussione sulla tirannide tra Strauss e Kojève, mercoledì 6 mattina. Tema centrale la crisi della pratica e del concetto di democrazia, con possibili soluzioni. Silvia Vegetti Finzi, moglie di Mario, esperta e studiosa di psicoanalisi - insegna psicologia dinamica, anche lei all’Università di Pavia - parlerà di Edipo, del suo lungo cammino tra passato e presente, martedì pomeriggio, e dei suoi percorsi futuri, mercoledì pomeriggio. Tema centrale la struttura affettiva e formativa della famiglia: da quando un bambino cresceva tra un papà e una mamma, a un presente con ruoli familiari tendenti spesso alla frammentazione e alla dispersione, verso un futuro in cui potranno entrare in casa, in aggiunta a tv e videogiochi, androidi e robot. Tra fine aprile e maggio il ciclo di conferenze proseguirà con interventi di Franco Montanari (su Pindaro), di Guido Avezzù (su Sofocle), di Diego Lanza (su Aristofane), di Gennaro Carillo (ancora su Aristofane), di Luciano Canfora (sulla storiografia politica tra Tucidide e Sallustio). Il professor Mario Vegetti, autore di riletture importanti del pensiero filosofico antico - per esempio nel volume su L’etica degli antichi, pubblicato da Laterza - spiega: «I classici sono buoni per pensare. Pongono i problemi in modo radicale, ingenuo se vogliamo, e così vanno dritti all’essenziale. Perciò il dialogo di Senofonte tra il tiranno Ierone e il poeta Simonide è servito, ancora a metà 900, a due maestri del pensiero contemporaneo come Leo Strauss e Alexandre Kojève da paradigma per riflettere sul potere». Leo Strauss, pensatore oggi amato dai neocons americani, e non solo, pubblicò nel 1948 La tirannide: un’interpretazione dello Ierone di Senofonte, indicando nel velleitarismo del pensiero politico moderno una causa essenziale delle derive totalitarie. Per Strauss la democrazia in politica è il male minore, ma a farsi troppe illusioni sulla sua natura e sul suo funzionamento si rischia continuamente il peggio. Allo scritto di Strauss replicò nel 1950 Kojève con Tirannide e saggezza che tendeva, ricorda Vegetti, «a immaginare come soluzione alla crisi della democrazia una sorta di dispotismo illuminato, il cui modello a lui appariva Stalin». Erano gli anni della guerra fredda, il mondo da allora è cambiato parecchio. «Ma - dice Vegetti - Senofonte resta lì a definire nel suo dialogo i termini essenziali della questione. Se in un periodo di crisi della democrazia, come quello della Grecia mentre lui scriveva, la soluzione potesse essere un tiranno illuminato, ben consigliato da intellettuali e filosofi. Senofonte pensa di si. In età ellenistica varie esperienze sembrano dargli ragione. Per esempio con i Tolomei di Alessandria, che, senza democrazia, seppero governare con saggezza e promuovere straordinariamente le arti e la cultura. Alla loro corte gli intellettuali erano presenti e ascoltati». I governanti di oggi, più o meno tirannici, dovrebbero ascoltare gli intellettuali? «Oggi gli intellettuali nel senso tradizionale, individuale, non ci sono più. Nel senso che è illusorio fare affidamento su un loro ruolo come persone singole, se non come personaggi televisivi. È vano pensare che i consigli di un Vittorio Sgarbi o di qualunque altro personaggio possano avere decisivi effetti politici. Per rileggere utilmente Senofonte, che è persuasivo sulla funzione degli intellettuali, bisogna capire chi oggi questa funzione può svolgerla. Gruppi più che singole persone». Gruppi professionali? Scienziati, politologi, sociologi? «No - chiarisce Vegetti - non penso a specifiche categorie professionali. Partendo dall’intellettuale collettivo che Gramsci identificava con il partito, io penso a gruppi eterogenei che, pur non formati da intellettuali di professione, fanno lavoro con valore intellettuale nei campi, per esempio, della medicina, dell’informazione, dell’informatica. Questi gruppi potrebbero avere un più efficace ruolo politico». Non solo con i dialoghi filosofico-politici ma persino con i miti i classici possono insegnare molto al futuro. Freud interrogò il vecchio Edipo per esplorare l’inconscio, Silvia Vegetti Finzi è convinta che i miti siano utili: «I miti aprono la mente, sono spesso modelli efficaci dei rapporti affettivi e svelano molte cose che la scienza sta raggiungendo solo ora».