sabato 2 aprile 2005

Liberazione 1.4.05
Ingrao a tu per tu con Ciampi: "Sulla guerra sta sbagliando"
di Castalda Musacchio

«Vorrà essere paziente, signor presidente della Repubblica, se sono un po' noioso e torno sull'articolo 11 della Costituzione. Ma mi sentirei un bugiardo se non dicessi che nel mondo si sta affermando la quasi legittimità della guerra e questo mi spaventa». La sala della Lupa è gremita fino all'inverosimile. Ingrao parla guardando direttamente negli occhi il Presidente Ciampi che è lì, seduto in prima fila, e che lo ascolta immobile. Ciò che colpisce è quel rispettoso silenzio che non si può che tenere di fronte a chi rappresenta una "parte del novecento", un protagonista della politica e della storia. Pietro Ingrao ha compiuto novanta anni. E non sembra affatto stanco di "fare" politica.

Ieri il suo compleanno è stato celebrato alla camera dei deputati. A dare inizio alla commemorazione il presidente della camera Casini che ha rivolto il suo benvenuto prima al segretario di Rifondazione poi a Ciampi. Una gaffe? Ingrao al suo novantesimo anno di vita ha di nuovo compiuto una scelta "disobbediente", controcorrente, quella di iscriversi a Rifondazione. Sarà per questo che viene da pensare che forse Casini quella gaffe - se è una gaffe - l'abbia fatta deliberatamente. E nella sala che ospitò per primi i deputati che fecero in anni bui la scelta dell'"Aventino" risuonano i toni intensi di parole pronunciate di fronte a chi "sa", un "patriarca" lo chiama l'amico Mario Tronti. Sì, Pietro Ingrao anche ieri seduto apparentemente distante, schivo anche nel giorno dei suoi festeggiamenti, appare come un vero "patriarca" della politica con la p maiuscola.

Persino ieri - di fronte a Ciampi, ad Amato e a D'Alema, a Fassino e a Rodotà, alla presenza del presidente della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti, ad amici come Valentino Parlato, a segretari come Fausto Bertinotti - non ha mancato di offrire a tutti una lezione di passione civile. Non si può che leggere così quell'accorato e polemico appello alla pace rivolto a Ciampi. Sarà forse questa la caratteristica che lo contraddistingue. Una caparbietà reale che lo ha accompagnato in tutti questi novanta anni.

«Un uomo - dice di lui Casini - che rappresenta un modello di indipendenza di giudizio». «Nell'esperienza di presidente della Camera, seguita a quella di presidente del gruppo comunista, Pietro Ingrao ha portato tutto se stesso». «Vi ha portato innanzitutto - sostiene ancora il presidente della Camera - la sua visione forte e intransigente della centralità del Parlamento, radicata nel primato della sovranità popolare: la "via maestra" indicata dalla Costituzione, come egli ebbe a ricordare nel suo discorso di insediamento». L'omaggio è a un comunista «rimasto fedele a quell'idea».

Fu proprio nel periodo in cui Ingrao fu presidente della Camera (dal 1976 al 1979) che «l'idea della centralità del Parlamento - richiamata ancora da Casini - assunse sostanza e spessore attraverso la custodia attenta delle prerogative parlamentari nel quadro dell'equilibrio tracciato dalla Carta costituzionale». Quella Carta su cui in questi ultimi giorni si è tanto infierito.

Ingrao li rievoca a sua volta quegli anni «durissimi e sanguinosi». Anni richiamati alla mente dal leader che allora dovette compiere scelte sofferte come fu per il rapimento di Aldo Moro. «Non seppi far nulla - dice alle lacrime - per salvarlo, e questa fu la tragedia che segnò quel mio mandato».

Sono momenti toccanti. E' come se la platea percepisse il peso della storia vissuta. «Io - ricorda Ingrao - avevo una grande stima di Moro e sapevo quello che lui poteva rappresentare per la sorte del Paese. Quando mi scrisse una delle sue lettere non riuscii a trovare la forza, non so se ho sbagliato, a dire: "Ma sì, trattiamo"...». Finì così quella legislatura. «Sentivo - dice ancora - che c'era qualcosa di grande che stava investendo non solo il mio partito e la sinistra ma il mondo in cui vivevo». Un mondo che oggi viene violentato da una guerra ritenuta persino legittima.

L'ultimo augurio Ingrao lo riserva all'Europa e al mondo. «Spero - conclude - che questo parlamento sappia costruire questo domani difficile, garantire agli italiani la libertà della rappresentanza, mettere fine ai massacri e salvare la pace».

L'anziano leader ha parlato. L'aula lo applaude. Casini gli regala il campanellino che è solito usare il presidente della Camera. Ingrao sorride: «Lo regalerò ai miei nipotini che ci giocheranno». Poi nell'allontanarsi saluta Bertinotti. «Sempre sugli attenti, segretario...». E aggiunge: «Ma come debbo chiamarti? Presidente, segretario, come posso chiamarti?». Bertinotti commosso, risponde. «Per me è inimmaginabile che io sia il tuo segretario, penso che tu sappia la grandezza del tuo gesto». Alla fine delle celebrazioni, quando l'aula si svuota, restano solo le emozioni e quelle parole intrise di vera passione politica.

Liberazione 1.4.05
Se la sinistra vince...
Rina Gagliardi

Ci siamo: tra tre giorni esatti sapremo. Ma sapremo che cosa? Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni regionali, naturalmente. Salvo la scontata diatriba - già iniziata anche questa volta - sul valore politico d'insieme di questo appuntamento. Andiamo al sodo: ventotto milioni di votanti in contemporanea prefigurano comunque un rilevante fatto politico nazionale. E andiamo ancora di più al sodo: se in Puglia l'Unione capeggiata da Nichi Vendola ce la farà a vincere, questo sarà l'evento di gran lunga più rilevante e significativo di queste elezioni. Il segnale clamoroso della svolta possibile, di un "cambio" che va ben oltre la sconfitta delle destre e del berlusconismo. Spirito di parte? Ma no. Dalla Puglia arrivano segnali per noi confortanti: in queste ore, per esempio, nell'entourage di Fitto cresce la paura. E Silvio Berlusconi (che in fatto di fiuto non è secondo a nessuno) non andrà a soccorrere il suo governatore, nonostante gli appelli ripetuti. In breve: se questa nostra speranza troverà il conforto della realtà, nessuno, neppure Giovanni Sartori, potrà negare alle regionali 2005 il valore di un tournant quasi storico. Ma vediamo, appunto, il quadro complessivo, e i criteri di valutazione a cui converrà attenerci.

La posta in gioco più ovvia è quella dei Governi regionali. Un calcolo più politico che numerico (la Lombardia e il suo Governatore pesano evidentemente molto di più del piccolo Molise), anche se, alla fine, avranno il loro peso anche le nude cifre: attualmente la destra è al potere in 8 delle 14 regioni in cui si vota. E domani?

Date per scontate, giust'appunto, la riconferma di Formigoni in Lombardia e di Galan in Veneto, e dando per acquisiti i governi rossi (o "rosa") di Toscana, Emilia, Umbria, Marche, Campania, la partita vera si concentra nelle regioni davvero in bilico: oltre che la già nominata Puglia, esse sono soprattutto Lazio, Piemonte e Calabria. Tutte Regioni governate, in questi ultimi cinque anni, dal centrodestra. Tutte zone ad alto rischio, per i Governatori uscenti.

Al centro di questo rischio, c'è, notoriamente, Francesco Storace: alla vigilia, e prima della telenovela Mussolini, tutti lo davano per vincitore strasicuro, ora, quantomeno, domina l'incertezza. Il leader della destra sociale, non per caso, ha battuto indefessamente le parrocchie di Roma e del Lazio, alla ricerca del voto cattolico, quello che potrebbe "fare la differenza". Proprio ieri, ha incassato il voto di Andreotti: un voto che, in altre epoche, avrebbe spostato da solo qualche centinaia di migliaia di consensi. Chi può dire quanto vale oggi lo schieramento del prestigioso ex-presidente del consiglio, così amato e perfino rimpianto da tanta sinistra? Intanto, Berlusconi e tutti i leader del centrodestra puntano tutto proprio sul Lazio, chiudendo oggi a Roma la campagna elettorale con una megamanifestazione al Palasport. Segno che, forse, in un'altra regione-chiave, il Piemonte, l'ago della bilancia sta spostandosi a favore di Mercedes Bresso. Se la candidata ambientalista si affermerà, vorrà dire che il «vento del Nord» alla rovescia, quello evocato nel 2001 da Umberto Bossi, ha cominciato a risoffiare nella direzione giusta.

Il secondo paradigma del voto (ma forse non in ordine di importanza) sarà la sua "cifra" politica: la sua funzione, per dirla con una formula sintetica, di "Grande Primaria", ovvero di manifestazione degli umori profondi del paese, anche e soprattutto in vista delle decisive elezioni politiche del 2006. Un dato che potrà essere letto solo nel quadro d'insieme, nei vari possibili raffronti e confronti, nell'equilibrio tra l'una e l'altra forza. Qui, alla faccia del maggioritario, a destra come a sinistra, conteranno soprattutto il "come", il "dove" e infine anche il "quanto". Qui, la lista unitaria dell'Ulivo vivrà la sua vera e propria "prova d'appello" e si conteranno, rispettivamente, Ds e Margherita. Per quest'ultima, in particolare, che si presenta da sola nelle regioni in cui può puntare al massimo, varrà quella sorta di vero e proprio laboratorio alla rovescia che è la Calabria, dove è in corso, scusate il bisticcio, una corsa al trasformismo così intensa che non sarà facile per nessuno capire, il 4 aprile, chi ha davvero vinto
E, last but not least, si tratterà di valutare - spassionatamente - la forza della sinistra d'alternativa, della sinistra-sinistra, della sinistra tout court. Vorrà pur dire qualcosa se i candidati "centristi" dell'Unione avranno risultati meno soddisfacenti dei candidati più radicali (e radicati). E vorrà pur dire qualcosa - non solo a noi ma a tutta la politologia - se Rifondazione comunista otterrà un buon risultato - diciamo, un risultato non inferiore e magari un po' migliore rispetto a quello delle ultime europee. Mai come in questo caso, insomma, il Prc svolge una funzione politica generale, non solo perché è l'unica forza politica di una certa consistenza che è presente come tale in tutto il territorio nazionale, ma perché può diventare il punto di riferimento, politico ed elettorale, di una più vasta area di sinistra e di movimento. Di una speranza di mutamento che va ben oltre la specifica dimensione di un partito, e sta oggi visibilmente muovendo un'area di opinione, anche intellettuale, fino ad ora spesso diffidente. Incrociamo le dita e... pazientiamo ancora un'ottantina di ore.