sabato 2 aprile 2005

sinistra
SIC!
(tutti - TUTTI!? - nel coro...)

La Stampa 2 Aprile 2005
IL SEGRETARIO DI RIFONDAZIONE: CRESCIUTO ASSIEME ALLA GLOBALIZZAZIONE, NE HA SEMPRE VISTO I GUASTI
Bertinotti: un Papa militante
primo no global della storia

«Ha mostrato l’altra faccia della sofferenza, del corpo malato
da contrapporre al modello del benessere sotto tutti gli aspetti»
Riccardo Barenghi

ROMA. LA prima domanda che facciamo a Fausto Bertinotti, leader di uno dei pochi partiti comunisti rimasti su piazza in occidente, non è che cosa pensa del Papa che fece crollare il comunismo e del Papa (sempre lui) che non hai mai smesso di denunciare le ingiustizie del sistema che ha vinto, il capitalismo. Quella gliela facciamo dopo.
Prima vorremmo sapere il suo giudizio su questa morte celebrata in diretta mentre il Papa è ancora vivo. E’ giusto, è eticamente giusto?
«Io direi che se la morte viene subita, se qualcuno uccide un altro e questa scena viene ripresa, proiettata, scritta e commentata in diretta, è una violenza intollerabile, lede il principio di umanità. Dovrebbe essere un tabù, l’inviolabilità della sfera privata anche se chi muore è un personaggio pubblico. Ma se un personaggio sceglie di trasformare questo accadimento ordinario (la morte) in un evento, allora il discorso cambia».
E questa è stata la scelta del Papa?
«A me pare di sì, la scelta di voler comunicare una certa interpretazione del mondo che fa della sofferenza, la sofferenza fino alla morte, una parte dell’essenza umana. Parte che invece viene ideologicamente occultata, nascosta, anzi peggio, tradotta in patologia. Il nostro modello è quello del benessere sotto tutti i suoi aspetti, tutti dotati di corpi sani, belli, perfetti, capaci di esibirsi sui cartelloni pubblicitari. Il Pontefice invece mostra l’altra faccia, l’altro corpo. Ma non lo fa per contrapporre un’etica a un’altra, sbaglieremmo se ne dessimo una lettura secolarizzata. Dietro c’è il mistero, c’è Dio. C’è la Croce. E anche in questo senso io considero questo Pontefice un militante».
Anche lui?
«Durante tutto il suo pontificato, Wojtyla ha ingaggiato un corpo a corpo con la modernità. Sia nell’immersione in essa sia nell’inquietudine di fronte a una secolarizzazione erosiva dei valori della religione. Qualsiasi cosa fosse in campo, il Papa l’ha vissuta con lo spirito del militante. Nel bene e nel male».
Fece bene o male a far crollare il comunismo?
«Intanto diciamo che questa è una grande sciocchezza. I Paesi comunisti dell’Est sono crollati per ragioni endogene. Con la sconfitta della Primavera di Praga nel ‘68 si è persa l’ultima occasione per riformare quei regimi. Che si avviarono a un declino che vent’anni dopo li porterà all’implosione, al crollo. Non voglio dire che il ruolo del Pontefice in quel crollo non sia stato importante, anzi lui e la Chiesa aprirono un ombrello di protezione per tutti coloro che all’est si ribellavano. Creando quel sostegno internazionale che era mancato (colpevolmente) ai tempi di Praga. Dico però che quei socialismi realizzati sarebbero crollati anche senza il suo aiuto. Ma subito dopo aver collaborato alla caduta di quel Muro, Wojtyla si è voltato e ha cercato di abbattere l’altro muro, quello che divide la ricchezza dalla povertà, l’eguaglianza dalla ingiustizia. Non ha visto nel crollo del comunismo il trionfo della libertà e della democrazia. Tanto che l’ha definito “un male necessario”».
Contemporaneamente però azzerava la teologia della liberazione, impediva qualsiasi riforma della Chiesa, irrigidiva le posizioni sui diritti civili, le libertà personali, in particolare delle donne. Un Papa integralista?
«La teologia della liberazione l’ha considerata da subito un avversario, ne temeva l’approdo “comunista”. Paradossalmente però, dopo averla messa a tacere, ne ha fatto sua l’ispirazione sociale. In fondo questo Pontefice è figlio del Concilio Vaticano II, quando invece del furto (”non desiderare la roba d’altri”), sotto osservazione della Chiesa finiscono la povertà e l’ingiustizia. Contemporaneamente però ribadisce che “non c’è salvezza senza la Chiesa”, mettendo così l’Istituzione al di sopra di tutto e chiudendola in se stessa e nella sua dottrina conservatrice».
E non ci vede dell’integralismo in tutto questo?
«E’ un termine che non uso, perché non dà conto della sua grande apertura al mondo. La sua forza sta appunto nel non essere catalogabile, non abbiamo una casella in cui possiamo metterlo. Per un verso è integralista, per altri è l’opposto».
Lei ha spesso apprezzato gli interventi papali. A proposito del capitalismo, una volta ha detto che il Papa era più di sinistra di molta sinistra; prima del G8 di Genova, disse che il Pontefice parlava come una tuta bianca (i disobbedienti). Alla vigilia della guerra in Iraq, ha dichiarato che «il Papa è la coscienza del nostro tempo». Non sarà un po’ troppo papista, Bertinotti?
«Io attribuisco a questo Pontefice un merito storico: essere stato un argine contro la possibilità che la guerra preventiva di Bush diventasse un conflitto di civiltà. Insieme al movimento per la pace, lui è stato il freno più consistente a questa deriva. E lo è stato grazie al fatto che non si è schierato “semplicemente” contro la guerra ma anche contro il liberismo. La sua è una denuncia dettata dalla necessità di vivere non solo in pace, ma in quale pace e in quale mondo, con quale sistema sociale, economico, politico. Assomiglia molto ai milioni di persone che denunciano e propongono le stesse cose».
Sta dicendo che il Papa è stato un no global?
«Sempre premettendo che le nostre caselle non funzionano per chi vive un aspetto trascendente che ne guida anche le azioni terrene, direi che questo è un Papa cresciuto assieme alla globalizzazione. Ma non l’ha sposata, non ne ha cantato le lodi semmai ne ha sempre visto i guasti e l’ha contrastata. Dunque sì, secondo me Wojtyla è il primo Papa no global della storia».