SCOPERTA CIVILTÀ 2000 ANNI PIÙ VECCHIA DELLE PIRAMIDI
Il cuore di legno dell’Europa
Era fatto con templi di tronchi d’albero e terra
Gli archeologi hanno scoperto la più antica civiltà d’Europa, duemila anni più antica di Stonehenge e delle Piramidi. E’ stata localizzata una rete di dozzine di templi, più di 150 monumenti giganti sotto le campagne e le città delle attuali Germania, Austria e Slovacchia. Sono stati costruiti settemila anni fa, tra il 4800 e il 4600 Avanti Cristo. La scoperta, rivelata oggi dall’«Independent», rivoluzionerà lo studio dell’Europa preistorica. Finora infatti si pensava che l’interesse per l’architettura monumentale si fosse sviluppato in Europa ben dopo che in Mesopotamia e in Egitto.
repubblica.it 12 giugno 2005
E' scomparsa all'improvviso settemila anni fa, trovati 150 templi
Scoperta tra Germania, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia
Ecco la più antica civiltà europea
Gli esperti: "Popolo organizzato"
Due millenni prima degli egizi, una grande comunità
nel cuore del continente, durata appena duecento anni
di CINZIA DAL MASO
ROMA - "La civiltà più antica d'Europa", titolava ieri il quotidiano britannico "The Independent". Una civiltà che nel V millennio a. C. ha saputo costruire un numero stupefacente di edifici templari. Finora ne sono stati individuati circa 150 tra Germania orientale, Repubblica Ceca, Austria e Slovenia. Alcuni noti da tempo, addirittura gli anni '60 del secolo scorso. Altri localizzati e scavati di recente, in particolare in Sassonia dove mai se ne erano scoperti prima d'ora.
Altri infine individuati per il momento solo con fotografie aeree. Perché purtroppo non sono fatti di solide pietre come i megaliti che più o meno nella stessa epoca cominciavano ad apparire altrove in Europa, specie sulle coste atlantiche.
In Europa centrale c'era poca pietra ma molte foreste, e così si eressero enormi circoli concentrici di "obelischi" di legno, intervallati da terrapieni e fossati. Ciò che rimane più evidente, oggi, sono spettacolari circoli di buche di palo del diametro di decine di metri. Come nel tempio scavato a Dresda da Harald Stäuble della Soprintendenza archeologica della Sassonia, il più grande e complesso tra quelli finora indagati con un diametro di quasi 130 metri. Lo spazio sacro interno è circondato da due palizzate, tre terrapieni e quattro fossati. Costruzioni che non avevano funzioni difensive ma, soprattutto le palizzate, servivano a impedire la vista dall'esterno, a preservare il segreto dei rituali che si svolgevano entro il "sancta sanctorum".
Stäuble ha riesaminato con attenzione anche gli altri circoli conosciuti, e ha scoperto che tutti senza eccezione condividono delle particolarità molto curiose. Ciascuno di essi fu utilizzato solo per poche generazioni, un centinaio d'anni al massimo, e poi distrutto al termine dell'utilizzo riempiendo nuovamente i fossati. L'area sacra centrale è sempre della stessa dimensione, circa un terzo di ettaro. E ogni fossato circolare, indipendentemente dal diametro, prevedeva la rimozione dello stesso volume di terra. La profondità del fossato era cioè inversamente proporzionale alla sua lunghezza, e ciò significa che la realizzazione di ciascuno di essi comportava esattamente lo stesso impegno lavorativo. "Dunque - ipotizza Stäuble - esisteva un'organizzazione del lavoro piuttosto complessa con operai specializzati capaci di eseguire le costruzioni in un numero definito di giorni, forse stabilito da un qualche calendario religioso. Ogni monumento fu perciò il prodotto di uno sforzo costruttivo immenso, che ha comportato l'impiego ragionato di considerevoli risorse materiali e umane".
E' questa la vera grande novità. Finora si era pensato a queste genti come tranquille comunità di pastori neolitici che allevavano bovini, capre, pecore e maiali, e vivevano in villaggi anche di notevoli dimensioni. Ora invece si capisce che avevano saputo andare oltre la semplice abitazione stanziale ed erano giunti a concepire una vera e propria architettura monumentale. "Fu la prima civiltà europea a realizzare grandi monumenti", precisa Stäuble. Edifici di culto che si potevano vedere da lontano e dichiaravano esplicitamente a chiunque si avvicinasse "questa terra è nostra". Le prime costruzioni capaci di rivelare chiaramente come con il Neolitico l'uomo abbia cominciato a plasmare l'ambiente secondo i propri bisogni. Sorte forse a seguito delle prime lotte tra villaggi o gruppi di villaggi proprio per assicurarsi il possesso delle terre. Durarono poco, un paio di secoli al massimo tra il 4800 e il 4600 a. C. Poi scomparvero all'improvviso. Forse le ricerche future sapranno scoprire il perché.
Yahoo!Salute 12 giugno 2005
Si può fotografare l'amore e l'innamoramento?
E’ una fortuna che capita a molti sperimentare, prima o poi nella vita, l’amore in “fase acuta”. Quella passione che la letteratura e le arti hanno spesso descritto quasi come una forma di pazzia, l’amore che acceca, quello che – come cantava Fabrizio de André – strappa i capelli. E da tempo i ricercatori indagano proprio i meccanismi neurofisiologici dell’innamoramento e dell’amore folle – come lo chiamano i francesi.
Una ricerca appena pubblicata da The Journal of Neurophysiology affronta nuovamente il tema, suscitando grande interesse, se è vero che un articolo dedicato alla ricerca dal serissimo New Tork Times figura questa settimana tra le storie più lette del mese.
Quelle prime fasi dell’amore romantico contraddistinte da euforia costituiscono – sostengono i ricercatori newyorkesi della Rutgers University e dell’Albert Einstein College of Medicine – un fenomeno culturalmente trasversale, probabile evoluzione di un istinto proprio dei mammiferi in quanto tali. Si tratta di un fatto che ha rilevanti conseguenze sui comportamenti sociali di moltissime popolazioni e che ha conseguenze evidenti di carattere riproduttivo e genetico.
Proprio per studiare quali sistemi motivazionali ne sono alla base, gli autori hanno studiato 2500 immagini ricavate grazie a risonanza magnetica funzionale per immagini di dieci studenti e 7 studentesse, tutti innamoratissimi e nelle prime fasi della cotta, ottenendo per la prima volta una fotografia – diciamo così – dell’attività del cervello nel corso di queste fasi acute di passione amorosa. Ne è emerso un dato sorprendente: l’amore sembra più simile ad istinti quali la fame e la sete che non a stati emotivi come l’eccitamento sessuale o l’affetto. La ricerca aiuta a capire perché l’amore produca emozioni così diverse, dall’euforia alla rabbia all’ansia e come mai queste divengano più intense ancora quando ci si scontra con un rifiuto, grazie all’analisi di immagini cerebrali di soggetti che erano stati lasciati dall’amante. Naturalmente, la tecnologia per immagini non riesce a leggere la mente umana: un fenomeno complesso e sfaccettato come l’amore trascende – grazie al cielo – la computer graphics, anche se sofisticatissima come quella utilizzata nella ricerca. Tuttavia, assicura Hans Breiter - direttore del Motivation and Emotion Neuroscience Collaboration presso il Massachusetts General Hospital – questo studio fa davvero compiere un passo avanti nella comprensione dell’infatuazione amorosa.
Agli studenti analizzati veniva mostrata prima una foto della persona amata, mentre li si sottoponeva a risonanza magnetica nucleare. La RMN coglie la crescita o la diminuzione del flusso sanguigno nel cervello, che corrispondono a cambiamenti nell’attività neuronale. Poi, le immagini venivano confrontate con quelle ricavate mentre guardavano la foto di un familiare. Una mappa computerizzata delle aree particolarmente attive del cervello, mostrava punti caldi nelle profondità del cervello, nelle strutture sub-corticali contenute nei gangli basali, quelle del nucleo caudato e dell’area ventro segmentale, sede peraltro della gratificazione dell’alcol e degli oppiacei. Queste aree sono dense di cellule che producono o ricevono dopamina, la quale circola attivamente quando un soggetto desidera o prefigura un rifiuto. Sono le stesse aree che si sono dimostrate estremamente attive nei cervelli di giocatori al momento della vincita o della perdita, o dei cocainomani mentre stanno per tirare la droga. Falling in love (cadere innamorati, come si dice in inglese, non a caso) sarebbe quindi uno dei comportamenti umani più irrazionali e profondi, e non soltanto un modo per soddisfare un piacere o guadagnarsi una ricompensa. In fondo, le tecniche più moderne aggiungono poco, questa volta, alla saggezza popolare.
Fonte: Aron A, Fisher HE, Mashek DJ, Strong G, Hai-fang Li, L Brown L. Reward, Motivation and Emotion Systems Associated with Early-Stage Intense Romantic Love. J Neurophysiol (May 31, 2005). doi:10.1152/jn.00838.2004.