La vita umana non è solo questione di sangue Il giurista Stefano Rodotà: “La legge 40 fa regredire il paese”
di Simona Maggiorelli
“Ai miei occhi questa è una legge fortemente ideologica. È espressione di un punto di vista rispettabile ma assolutamente particolare. Non riflette un dato condiviso, per esempio, dagli scienziati, che non considerano l’embrione una persona». Non usa giri di parole l’ex garante della privacy Stefano Rodotà nel giudicare la legge 40. «Da un punto di vista costituzionale - dice - è una legge molto dubbia, riguardo a dignità, uguaglianza e rispetto del diritto alla salute. Lo strumento legislativo qui viene usato per imporre a tutti i cittadini le convinzione di una parte di essi. In situazioni come questa, invece, l’intervento deve essere assolutamente prudente e sobrio. Per evitare che si passi da uno Stato democratico ad uno Stato autoritario ed etico, con l’imposizione di una morale di Stato. Ma anche per evitare che l’inaccettabilità di questa legge si traduca in diffusa disobbedienza civile. Le persone già vanno all’estero per avere ciò che la legge gli nega, con un effetto di delegittimazione del Parlamento. Nella comune opinione il Parlamento ha fatto una legge inaccettabile ma facilmente aggirabile. Non mi sembra un buon modo di legiferare».
La scienza dice che fino alla 24°settimana il feto non sopravvive fuori dall’utero. Già il codice napoleonico riconosceva che i diritti si acquisiscono alla nascita. Questa legge altera la personalità giuridica?
L’acquisizione della personalità giuridica alla nascita è tradizione giuridica ed è anche scritto nell’articolo 1 del nostro codice civile. Ora si pretende che il frutto del concepimento, già al momento dell’incontro dei gameti, sia parificato alla persona. È una forzatura. Non c’è bisogno di essere giuristi per capirlo. Non è possibile considerare al pari di una persona nata con diritti, attribuzioni, autonomia quello che non è ancora neppure un embrione. Anche se lo si considera come una forma di vita, è inaccettabile paragonarlo e parificarlo ad altri soggetti. Non è compito del legislatore risolvere una questione scientifica e imporre autoritativamente alla comunità scientifica e a tutti i cittadini un punto di vista controverso. In questi casi il diritto deve essere misurato, apprestare forme di tutela differenziate. Quando definiamo inaccettabile la legge 40 non è perché consideriamo il frutto del concepimento un grumo di cellule da buttare nel lavandino. Ma non si può trascurare che l’embrione, che è una persona solo potenziale, non ha possibilità di vita senza l’accoglienza da parte della madre. Sia le sentenze della Corte costituzionale, sia la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno detto esplicitamente che questa equiparazione fra embrione e persona non è conforme ai nostri sistemi costituzionali.
Lo Stato ha diritto di entrare nei rapporti più intimi dei cittadini?
Oggi è una delle grandi questioni. Dobbiamo certo avere il senso del limite nei comportamenti. Ma questo riguarda anche il diritto. Il diritto si può impadronire della vita delle persone? Può sostituirsi alla coscienza individuale? Può violare la “privacy della camera da letto”? Da giurista penso che quando si pretende di attribuire al diritto questo ruolo, imponendo valori che non sono né sentiti né condivi, si fa un cattivo servizio ai cittadini e al diritto. Il diritto deve individuare dei punti base di riferimento, poi deve essere lasciata la scelta alla responsabilità delle persone. Per la fecondazione assistita sarebbe bastata - ma proprio i sostenitori della legge 40 non la vollero - una buona disciplina del funzionamento dei centri, informazione alle donne, protocolli clinici adeguati, per poi lasciar decidere le persone che mettono in gioco la propria vita. Il diritto in queste materie è bene che sia sobrio.
Francesco D’Agostino motiva la proibizione della diagnosi preimpianto con la scusa che violerebbe la privacy dell’embrione…
Un’affermazione bizzarra. Utilizza un paradosso. Se considero l’embrione una persona non posso intraprendere azioni nei suoi confronti senza che l’embrione stesso abbia dato un suo consenso. Ma quando si fanno affermazioni così bisogna essere consapevoli delle conseguenze. La terapia fetale permetterà di accertare le malformazioni dell’embrione e di intervenire. Cosa diremo? Che mancando il consenso dell’embrione non si potranno eliminare le cause di una possibile malformazione? Si dirà che in quel caso c’è il consenso della madre. E allora il consenso dei genitori non vale anche nel caso della diagnosi preimpianto?
La legge 40 vieta l’eterologa. Per un pregiudizio razzista che riduce la paternità a fatto biologico?
Questa violenta regressione nel biologico è un altro dei punti culturalmente gravi della legge 40. Tutta la cultura giuridica e non solo, dagli anni 60 in poi, ha valorizzato la costruzione culturale dei rapporti di paternità e maternità. La riforma dell’adozione ha privilegiato l’affetto fra i genitori e i bambini piuttosto che il legame di sangue. La riforma del diritto di famiglia del ’75 ha cancellato il modello gerarchico di sovraordinazione del marito “capo famiglia” alla moglie e ha introdotto un’idea di comunità, non solo basata sull’eguaglianza, ma che si costruisce in relazione agli affetti. Rispetto a questo dato culturale importantissimo c’è una regressione in un materialismo biologico che mi colpisce e mi inquieta. Far riemergere il legame di sangue con questa brutalità pericolosa impedisce che ci sia una spontanea creazione di paternità e maternità, che culturalmente è la cosa più importante. C’è un pregiudizio certamente ed è grave che si giunga a proibire l’ eterologa. Rispecchia un modo regressivo di guardare ai rapporti fra le persone. E c’è la violazione di un principio costituzionale: il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Se l’eterologa è considerata una forma di cura della sterilità vietarla vuol dire negare l’accesso alle cure.
Quanto è forte l’ingerenza della Chiesa? Il peccato è diventato reato?
In questa materia la pressione della Chiesa è stata sempre molto forte. Il primo impegnativo documento è noto come “Le istruzioni Ratzinger in materia di procreazione assistita”.Tutti i vincoli e i divieti che ritroviamo oggi nella legge sono stati trascritti con una obbedienza preoccupante. C’è stato un adeguamento progressivo di una parte della nostra classe politica alla Chiesa. Le cui posizioni sono ben note. Ma è grave che sia la bussola adottata da forze politiche che dovrebbero guardare all’interesse di tutti i cittadini e rispettare la libertà di coscienza. Un fatto che ha pochi precedenti in un paese come il nostro che di ingerenze della Chiesa cattolica pure ne ha subite parecchie. Negli ultimi tempi la Chiesa si è fatta soggetto politico con una determinazione, mi pare, davvero preoccupante.
La discrasia fra la legge 40 e la 194 potrebbe dare il la a chi vuol rivedere la legge sull’aborto?
Non solo ci sono tentazioni in questo senso ma anche dichiarazioni esplicite. Vengono tenute un po’ in secondo piano per il timore di una reazione in sede di voto. Ma il rischio politico c’è. Affermare la personalità giuridica dell’embrione autorizza qualcuno, anche in modo improprio, a parlare poi della necessità di tenere sotto controllo tutto ciò che incide sull’embrione. È un rischio molto concreto. Mi auguro che la mobilitazione delle coscienze che il referendum ha prodotto induca a prudenza chi vuole mettere le mani sulla 194.
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