giovedì 14 luglio 2005

8 per 1000

una segnalazione di Francesco Troccoli

ateismo.ilcannocchiale.it 11 luglio 2005 - 16:41
Dove finiscono i nostri soldi?
Dei 960 euro incassati dalla Chiesa nel 2004 attraverso l'8 per 1000 solo il 20% è stato destinato alle opere di carità
Conti in tasca alla chiesa sull'otto per mille

Più di 960 milioni di euro. È il montepremi che la Chiesa ha incassato nel 2004 grazie al meccanismo di ripartizione dell’otto per mille. Un montepremi in costante aumento, ma che dedica agli interventi caritativi una quota inferiore al 20%. Una cifra che rappresenta il risultato delle scelte di quel 65% di italiani che, infuriati per le tasse, indifferenti, oppure semplicemente male informati, ogni anno lascia in bianco la casella dell’otto per mille. La «scelta non espressa» infatti, così definita dal riquadro apposito del modello 730, non implica la destinazione diretta all’erario della quota di otto per mille, come sarebbe lecito aspettarsi in uno Stato laico. Al contrario, questi soldi finiscono in massima parte alla chiesa cattolica. Come questo sia possibile è la legge 222/85 a stabilirlo. All’articolo 47 di quello che fu il seguito legislativo della revisione del Concordato si istituisce la quota e se ne fissano i contorni. «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti - recita il testo - la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Una specie di sistema elettorale proporzionale con un lauto premio di maggioranza, in cui la preferenza di tre votanti su dieci - la quota di astensione è salita in dieci anni dal 55 al 64% - decide anche per gli altri sette. Così facendo nell’anno 2000 (redditi ‘99), ultimo di cui si conosce l’esatta ripartizione percentuale dei fondi dato il ritardo nella produzione dei dati, la chiesa cattolica ottenne l’87% del totale: un assegno da 755 milioni di euro. A tutti gli altri, tranne lo Stato che partecipò alla torta per un marginale ma sostanzioso 10%, andarono solo le briciole, anche in virtù degli accordi successivi alla legge che escludono le congregazioni minori dalla ripartizione delle preferenze inespresse. Ma questa non fu l’esatta volontà dei cittadini contribuenti. Non proprio almeno: solo il 38% di essi mise la propria firma nel riquadro, e ciò significa che solo il 33% dell’universo dei contribuenti Irpef scelse di devolvere i propri soldi alla Chiesa. Questa, a rigor di logica, avrebbe perciò dovuto ottenere ‘solo’ 287 milioni di euro. Gli altri 500 milioni sono il premio di maggioranza di due misere righe di testo di legge, la cui conoscenza meglio dovrebbe essere garantita. Per esempio sarebbe corretto che il modulo per la ripartizione dell’otto per mille contemplasse una spiegazione delle norme di cui all’articolo 47. Al contrario, a fronte di un regolamento di compilazione enorme - 56 pagine di istruzioni solo per il modello 730 - per ritrovare l’argomento bisogna cercare una riga e mezza del secondo capoverso di pagina otto, senza peraltro che dal modello alle istruzioni ci sia alcuna nota che segnala l’inghippo. A completare l’universo fiscale sopracitato ci sono poi i lavoratori dipendenti, che beneficiano di un bonus di scomodità nel far valere la propria intenzione. Questi, infatti, hanno sì la possibilità di esprimere la preferenza sull’otto per mille, ma per renderla valida devono compilare e spedire l’apposito tagliando contenuto nel Cud. A beneficiare della complicazione sarà perciò sempre e comunque chi può contare sulla guida di una fede che muova la penna, cioè la Chiesa. A guardare la tendenza, infatti, si scopre che i 755 milioni stanziati nell’anno 2000 sono diventati 908 nel 2002, un miliardo di euro nel 2003, 936 milioni nel 2004, e quest’anno - resoconto dell’assemblea generale della Cei alla mano - la quota dovrebbe avvicinare nuovamente la soglia del miliardo di euro. Decine di milioni di euro in più ogni anno a cui corrispondono, in realtà, spostamenti nelle scelte dell’ordine di uno o due punti percentuali, come ha sottolineato Paolo Naso, della Tavola Valdese, ricordando anche la differenza di trattamento per cui «la chiesa cattolica viene informata ogni anno della quota percepita, mentre a noi dicono adesso quello che ci spettava nel 2000». Una vera e propria miniera d’oro, quella gestita dai vescovi, che ha portato le casse della conferenza episcopale italiana a vantare un ‘residuo’ di 79 milioni di euro nell’esercizio 2003 e un totale di 936 milioni di euro del bilancio 2004. Bilancio così diviso: 320 milioni di euro per il solo sostentamento del clero, 437 milioni di euro destinati alle esigenze di culto, e, da ultimo, 180 milioni destinati alle opere di carità. Niente di male, sia chiaro, nel sostenere la chiesa cattolica, anche con le donazioni volontarie per le quali la stessa legge 222 ha sancito la detraibilità. Tutti i credenti poi, converranno che il mantenimento della struttura fisica e morale è una delle prerogative stesse a cui la chiesa è chiamata a rispondere. Di fatto ne costituisce la missione spirituale. Per un occhio esterno tuttavia, è impossibile resistere alla tentazione di osservare una cifra di tale portata, soprattutto se comparata ai 210 milioni di euro stanziati all’inizio degli anni novanta, quando il meccanismo dell’otto per mille era varato ma non ancora a regime. E in effetti, a voler entrare nello specifico, l’incremento dei fondi è a dir poco singolare. È l’opinione dei radicali, che più volte hanno parlato di «sistema truffaldino». In particolare, è il passaggio fra il 2001 e il 2002 a destare l’attenzione maggiore, con un aumento dei fondi stanziati da 762 a 908 milioni di euro. Una maggiorazione vicina al 20% in un solo anno, difficilmente spiegabile, anche volendo sommare l’aumento del gettito fiscale all’effetto prodotto dalla riduzione delle firme. A questo proposito, la fonte migliore per una verifica sarebbe la commissione paritetica Stato/Vaticano. La commissione, in base all’articolo 49 della legge 222 è ufficialmente chiamata ogni tre anni a giudicare la congruità della cifra destinata alla Chiesa, formulando proposte per eventuali modifiche. Traducendo in pratica, è legittimo pensare che se dall’otto per mille non arrivassero abbastanza soldi, lo Stato potrebbe innalzare la quota ovvero varare un nuovo sistema di attribuzione. Difficile avere conferma della posizione ufficiale, rappresentata dalla segretaria della commissione, la dottoressa Anna Nardini, secondo la quale «l’incremento si deve all’aumentato gettito Irpef», poichè i documenti amministrativi prodotti da questa commissione non sono pubblici. Tuttavia questi stessi documenti potrebbero essere ottenuti attraverso una richiesta formale, ma anche in questo caso l’iter è difficoltoso. Dal marzo 2004 giace infatti inevasa una domanda di accesso presentata dai Radicali italiani, tuttora bloccata in attesa di sentenza del Tar di fronte al diniego, vincolante, di un’altra commissione, quella istituita presso la presidenza del Consiglio e presieduta dal sottosegretario Gianni Letta. Scettici sulla conclusione gli stessi radicali, per voce di Marco Staderini, secondo il quale è «difficile che la questione si risolva positivamente» giacchè «l’Avvocatura dello Stato ha ricevuto forti pressioni perchè lavorasse ad un esito favorevole». La soluzione migliore resta allora quella di prendere la calcolatrice e cercare di verificare se la concomitante diminuzione delle quote espresse e l’aumento tra queste di preferenze alla chiesa cattolica sia un motivo sufficiente a giustificare gli aumenti. Ammesso che sia possibile riuscirci, per garantire la trasparenza del sistema sarebbe sufficiente apporre una firma.