sabato 14 giugno 2003

i maestri del pensiero di sinistra: Gianni Vattimo... (tutti al mare!)

La Stampa Tuttolibri, 14.6.03
Non c’è più la Verità, ma possiamo metterci d’accordo
GIANNI VATTIMO INTERPRETE DEL NICHILISMO: VENUTA MENO LA METAFISICA, È LA NOSTRA MORTALITÀ A «FONDARE» L’INELUTTABILE RELATIVITÀ DELL’ETICA E DELLA POLITICA

QUANDO si parla di ermeneutica, o meglio quando si prende in considerazione e si riflette sulla lunga vicenda della teoria dell'interpretazione, il pensiero non può non correre ai motivi d'un grandioso confronto con la tradizione letteraria e religiosa: dall'esegesi omerica in età ellenistica, a quella della Bibbia (e alla possibilità di una sua autonoma interpretazione) che è stata scaturigine della Riforma protestante, per giungere al rinnovato proporsi della questione dell'essere nelle filosofie di Martin Heidegger e di Hans Georg Gadamer. Ciò che invece non sempre si ha in mente, né si coltiva in prima battuta, è l'idea che nella teoria dell'interpretazione sia (in modo più o meno esplicito) contenuta una portata in senso lato politica, e segnatamente emancipativa. Questa via, nell'ambito del panorama filosofico contemporaneo, è stata aperta anzitutto (anche se non esclusivamente) da Gianni Vattimo, i cui lavori da tempo insistono sul fatto che un cammino di questo genere assume la propria peculiare configurazione in primo luogo quando si riconosca l'opportunità di un accostamento dell'ermeneutica al nichilismo, e all'idea - maturata con terrore per la prima volta nell'ambito del romanticismo tedesco - che dell'essere non ne è più nulla.. È quanto avviene anche nel volume edito da Garzanti, che reca per l'appunto il titolo Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto: libro che raccoglie, fornendo loro un'adeguata cornice, saggi e scritti risalenti all'ultimo decennio. Ora, come Vattimo autorevolmente sottolinea (non solo in questo libro), per quanto ciò possa sembrare paradossale, prendere adeguatamente partito in favore del nichilismo implica anche una netta presa di posizione a favore della democrazia. Naturalmente si tratta, in questo senso, d'intendersi anzitutto sul termine "nichilismo", e su che cosa si intenda fare quando lo si adotta esplicitamente come dimensione programmatica. Nichilismo, in questo caso (e cioè nell'interpretazione che Vattimo offre di questo concetto), sulla base principalmente delle filosofie di Nietzsche e di Heidegger, significa anzitutto l'acquisita consapevolezza che la storia della metafisica è giunta alla fine: laddove questo comporta, tuttavia, che l'apparente scacco che ne deriva, ossia il perdersi del fondamento ultimo della realtà, apre il cammino a una dimensione positiva. Ma in che modo avviene tutto ciò? E in che senso questo evento ha a che fare anche con la democrazia? Di fatto, dice Vattimo, la consumazione del fondamento ultimo e unico cui aspirava la storia della metafisica apre la via al dissonante coro dell'alterità, che ha nella democrazia il proprio emblema politico. Rinunciare al fondamento ultimo, dando dunque credito al nichilismo come esito storico di un lungo cammino, significa disporsi a scoprire la pluralità dell'essere e dunque delle opinioni. Ciò tuttavia di per sé non basta, poiché in tal modo resteremmo prigionieri di un orizzonte sostanzialmente astratto, all'interno del quale il pluralismo non significherebbe né comporterebbe altro che una sorta di accettazione della molteplicità, orientata da un principio d'indifferenza. Il che vorrebbe dire: non importa quale delle tesi in ballo sia quella vera, ma ciò che conta è che tutte possano accampare la loro pretesa di legittimità. Eppure, prosegue Vattimo, nulla è peggio (sia dal punto di vista teoretico, sia dal punto di vista morale e assiologico) del ritenere che la libertà si radichi nel principio d'indifferenza, cioè nell'idea che ogni scelta è consentita purché contemperi formalmente le altre, senza che essa venga tuttavia radicata in un più profondo background. E seguendo la vicenda fondamentalmente unitaria della redazione di questi saggi, il lettore si avvede di come, in realtà, non è possibile acquisire una concezione pluralistica senza radicarla in una dimensione più profonda, che è quella costituita dalla nostra mortalità. Mortalità significa infatti confronto con il tempo, e dunque anche con la storia e con la politica. Solo attraverso un'adeguata riflessione su questa forma di indebolimento delle pretese di definitività del pensiero una politica e una storia sono in grado di scoprire in modo compiuto che il declino dell'idea fondamento ultimo su cui si fonda la vicenda metafisica è anche, insieme, possibilità positiva di accedere a una vicenda di concreta emancipazione nella quale il dialogo e la politica costituiscono le chances di un accordo e dunque di un'unità non definitiva e asseverata sin dall'inizio. Una possibilità, si è detto, che rinvia al tempo come alla dimensione propria del nostro esistere, e sulla cui dolorosa, ineluttabile relatività si fonda anche la vicenda dei significati e la pluralità delle interpretazioni. Certamente questo modo di vedere può comportare anche un congedo dalla nozione di "verità", almeno se ci si ostina nella pretesa di pensare quest'ultima in termini metafisici, ossia ultimativi; alla nozione di verità qui si affianca e quasi si sostituisce infatti quella di mortalità. Essa costituisce il culmine di una paradossale e affascinante vicenda che fonda la verità sul nichilismo, che intende il nichilismo come una chance di emancipazione, e quest'ultima come il motivo di una visione religiosa che vive non nella presenza dell'eterno ma nella rammemorazione della sua scomparsa. L'origine perduta riaffiora così sotto le vesti che Mnemosyne ha voluto donargli.