sabato 14 giugno 2003

l'Istituto di Sessuologia di Firenze:

La Repubblica Salute, giovedi 12 Giugno 2003
La sessualità vissuta come guerra, viaggio nell’infanzia al femminile.
di Roberta Giommi*

Molte donne giovani parlano dei loro disagi nella penetrazione raccontandoli con l’uso di vocaboli forti che fanno riferimento a fuoco, muro, chiuso, che si rompe, che non riesce a contenere. L’immagine simbolica che emerge è la guerra ed il timore che non ci sia difesa e che ci sia distruzione in quella zona del loro corpo entrando in contatto profondo con il corpo maschile.
Riferiscono queste sensazioni collegate alle esperienze sessuali fatte con la persona amata e questo permette di escludere una violenza o una imposizione dei rapporti e porta a definire il problema in termini intrapsichici, legati cioè alla storia personale e non al rapporto con il partner. Anche quando raccontano alcuni rapporti sessuali meno problematici in particolari condizioni, quando le cose vanno meglio e non è avvertita l’intensità del dolore o della paura, parlano ugualmente del bisogno di smettere, di un malessere che si fa più alto, di un bisogno di dire no e di tornare a prima, all’inizio della sessualità.
La penetrazione diventa allora un terreno di disagio, non solo nel vaginismo, la disfunzione che impedisce i rapporti sessuali, ma anche in tante altre situazioni legate alla penetrazione. Durante il dialogo e negli approfondimenti che si collegano all’indagine psicoterapeutica ed alla raccolta della storia e delle esperienze, si cerca di stabilire un collegamento tra le esperienze infantili legate alla nutrizione, ai piccoli interventi nel cavo orale, alla relazione con la madre nei processi di accudimento e di allontanamento, alla paura delle vaccinazioni.
La richiesta di conoscere le prime esperienze sessuali rivela spesso una immaturità nell’iniziare i rapporti, con la tendenza a sottovalutare la propria disponibilità sessuale, una sessualità più collocata a livello del dover essere piuttosto che nelle sensazioni fisiche di desiderio.
È come se queste giovani donne raccontassero di non trovare mai una vera sintonia tra sentimenti e sensazioni fisiche, come se il sintomo fisico fosse un modo per dare voce ad un disagio psicologico, ad un conflitto non risolto tra accettazione e rifiuto di una così profonda intimità fisica. Il lavoro terapeutico passa, nella fase iniziale, attraverso una costante traduzione delle parole e delle immagini e soltanto nella fase successiva nell’apprendimento di comportamenti di adeguamento della sessualità ai loro bisogni.
* Istituto internazionale di Sessuologia, Firenze (www.irfsessuologia.org)