sabato 14 giugno 2003

sarà prudente leggere Kant?

La Stampa Tuttolibri, 14.6.03
Un suicida di fronte a Kant

SUL finire del Settecento un anonimo insegnante tedesco decide di suicidarsi. Tormentato da problemi di salute, incapace di stabilire un rapporto proficuo con i suoi allievi e soprattutto non più in grado di provvedere al suo sviluppo umano e morale, scrive una lunga lettera ad alcuni amici per spiegare la propria scelta. Della lettera si erano perse le tracce nel XX secolo; recentemente una ristampa anastatica l'ha riportata alla luce e oggi esce in traduzione italiana a cura di Anselmo Aportone, insieme a una dotta introduzione e ai suoi principali testi di riferimento. Quali testi? La risposta chiarisce il carattere straordinario del libro. L'Anonimo ha infatti un solo intento: quello di giustificare la sua decisione entro la filosofia di Immanuel Kant, "verso il quale prova una sacra reverenza", il "sublime filosofo" i cui "alti ideali" egli "conosce e ama", il cui pensiero ha finalmente soddisfatto la sua anima nella sua "sete di verità e di virtù, di serietà e perseveranza nel dovere, di purezza, di perfezione". Kant (che si spegnerà nel 1804, gravemente malato, dopo aver a sua volta lungamente desiderato la morte) ha rinnegato il suicidio, citandolo anzi come esempio di un vizio che disonora l'umanità, e l'Anonimo procede con pazienza, passione e rigore logico ad argomentare contro il maestro, cercando fallacie nei suoi ragionamenti e utilizzando le premesse del kantismo per arrivare a conclusioni opposte. Kant sosteneva che un comportamento guidato da istinti e desideri, per quanto abile nel raggiungere i suoi scopi e nell'adattare mezzi a fini, non è più libero o morale di una valanga o di un'eclisse: in esso ci riveliamo semplici animali, condizionati da leggi fisiche o psicologiche, rotelline nel meccanismo onnipotente della Natura. Per affrancarci da questa schiavitù dobbiamo rivolgerci alla ragione: solo se quel che facciamo può essere considerato manifestazione di razionalità ci appartiene davvero, così come la soluzione corretta di un problema di matematica appartiene davvero a chi l'ha ottenuta mentre un errore nella ricerca della soluzione appartiene probabilmente alle circostanze esterne che l'hanno distratto o al raffreddore che ne ha turbato la concentrazione. E solo un atto libero può anche essere giusto; solo la ragione quindi è fondamento di moralità. L'Anonimo è d'accordo: "nonostante un desiderio di morte che da anni gli è divenuto familiare", è convinto che "i desideri non autorizzino ad agire". Cerca così il punto debole della posizione kantiana e crede di trovarlo nella fede in una vita futura: se Kant l'accetta, deve accettare l'ipotesi che in certi casi il corpo possa essere d'impedimento al progresso morale e che liberarsene possa invece favorirlo. Il discorso dell'Anonimo è lungi dall'essere persuasivo: molto ci sarebbe da dire (e in parte lo dice l'introduzione) su quanto il corpo sia per Kant condizione di possibilità reale, eliminata la quale rimaniamo in presenza di un'idea di umanità pura quanto vuota, fonte d'ispirazione ma non base concreta di giudizio. E tuttavia è esperienza di grande significato e valore, poco comune di questi tempi, seguire un uomo che, alle prese con l'interrogativo più difficile e doloroso, rifiuta ogni considerazione di utilità immediata e si rivolge all'analisi razionale per risolvere il suo dilemma. La sua lettera lucida e accorata è seguita da passi delle riflessioni e delle lezioni di Kant, precedentemente inediti in italiano; e fra i due autori prende forma un dialogo nobile e degno, espresso in un registro comunicativo che nella sua indipendenza da tutto quanto ci piace o dispiace, ci attrae o ci ripugna, ci richiama a un destino diverso da quello governato "inevitabilmente" dall'interesse e dal potere. L'etica kantiana non è durata molto nella nostra tradizione. Assorbita dalla dialettica hegeliana, espulsa dall'economicismo marxista, ridotta ad arcigno e pedante Super-Io nella psicoanalisi, ha cessato presto di fornire "idee regolative" per il nostro agire. Chi come me resta un kantiano non può dunque non guardare con approvazione, e con l'ottimismo della volontà, all'esempio di quanti, nel passato e nel presente, hanno saputo rivendicare con le parole e con i fatti l'autonomia della sfera morale. Non può non concordare con l'Anonimo che poco abbiano a che fare con la moralità "quelle comode massime, divenute divise che la cattiveria umana ha inventato e messo in circolazione, come maschera di copertura delle sue disposizioni disoneste, e la cui verità essa crede dimostrata in modo certo dall'esperienza individuale".