giovedì 26 giugno 2003

mondo islamico: gli studenti di Teheran

La Repubblica 26.6.03
In Parlamento 165 deputati lanciano un appello a Khatami
Primi provvedimenti giudiziari contro gli universitari
Iran, gli studenti resistono "Lotteremo fino alla fine"
Viaggio tra i ragazzi che organizzano la rivolta
Una lettera al presidente pubblicata ieri: "E´ la nostra ultima offerta di dialogo dopo non ci riconosceremo più nello Stato"
Si preparano grandi cortei per il 9 luglio, anniversario delle mobilitazioni del 1999. Almeno 320 manifestanti ancora in carcere
di Vanna Vannuccini

TEHERAN - «Chiuda gli occhi e pensi a Dio». Mariam, la massaggiatrice che lavora alla piscina "Conchiglia", a due passi dalla piazza Vakhdat, dice sempre così alle clienti prima di cominciare il massaggio. E´ una donna molto pia. Non dimentica mai di lodare Iddio, né di terminare ogni pensiero con le parole: se Dio vorrà. Oggi Mariam ringrazia il Signore per una ragione speciale. Ha appena letto sui giornali che Tony Blair ha detto che gli studenti iraniani «meritano il nostro appoggio». Di quale natura potrà essere questo appoggio non l´ha precisato, ma la parola è bastata a illuminare il cuore di Mariam - che ormai, come dice lei, è «annerito»: da una vita di fatiche di preoccupazioni e di disagi.
Mariam è separata dal marito, ha due figli che mantiene. Uno sta facendo in questi giorni gli esami di ammissione all´Università , l´altro studia economia. «Se non entro mi ammazzo», ha annunciato il primo alla madre. Ogni anno si presentano all´ammissione migliaia di studenti, le quote sono basse e chi non ce la fa, se vuole studiare, deve andare in una università Azad, che sono a pagamento. Mariam non potrebbe permettersi di pagarla. Tutti e due i suoi figli hanno partecipato alle manifestazioni di questi giorni. Lei non ha macchina, e perciò non è andata a suonare il clacson per solidarietà, ma i manifestanti hanno tutto il suo appoggio. Comunque, la sera, seguiva tutto in tv. Le tv che trasmettono da Los Angeles, naturalmente. Ha mai incontrato qualcuno che guarda la televisione iraniana? Negli ultimi giorni però non vede più nulla. Nel quartiere dove abita è stato tutto oscurato, e lei si sente inquieta, a non avere notizie. Le sembra di soffocare. Tutti soffocano, in questo clima. Ma mai i giovani si erano trovati in una situazione come oggi: da qualsiasi parte si rivolgano, trovano solo porte chiuse. «E tutto per far arricchire gente come Rafsanjani o Askaroladi. Tanto vale che il petrolio se lo prendano gli inglesi e gli americani e che però gli iraniani abbiano almeno la libertà di respirare» dice Mariam.
«Ormai, però, il tempo è scaduto» sospira. «E´ l´inizio della fine». Non c´è nessuno con cui abbia parlato in questi giorni a Teheran che non mi abbia detto queste tre parole: l´inizio della fine. Mariam ci mette solo un po´ di ottimismo in più: secondo lei la fine potrebbe venire già il 18 Tir: il 9 di luglio, anniversario delle manifestazioni studentesche di tre anni fa. Il 18 Tir allora aveva segnato l´inizio della fine della credibilità del presidente riformatore Khatami. Gli studenti assaliti nei dormitori da polizia e basiji gridavano: «Khatami ti vogliamo bene!». Ma il presidente non si fece vedere. E lasciò che venisse chiuso il giornale riformista per il quale gli studenti manifestavano.
Nemmeno tre anni dopo il 18 Tir passerà inosservato. Il movimento studentesco si propone come la sola opposizione, ora che le riforme sono fallite. I rappresentanti di tutti i gruppi studenteschi hanno firmato una lettera a Khatami, pubblicata ieri dai giornali. «Signor Presidente, o Lei e il parlamento realizzate subito le riforme democratiche promesse o noi non ci riconosceremo più nello Stato Islamico. Questa è la nostra ultima offerta di dialogo. Dopo non ci rivolgeremo più agli organi eletti della Repubblica, che si sono dimostrati inetti, ma all´Onu, e alle Organizzazioni per i Diritti Umani. Qui sotto sono scritti i nostri nomi. Siamo pronti a pagare di persona».
Said Razavi Faghih, del Movimento per il rafforzamento dell´unità (il vecchio movimento studentesco che sul sito Internet ha già cambiato nome e si chiama più chiaramente Rafforzamento della Democrazia) è uno dei firmatari della lettera. Nella redazione di Yas e no ci fa vedere la bozza. «Finora il Movimento studentesco aveva sostenuto le manifestazioni con eccessiva prudenza» dice Razavi. «Non siamo abituati alle manifestazioni spontanee, ci vengono dubbi: ma questi chi sono? agiscono da soli? sono strumenti di qualcuno? Ma quando abbiamo visto la quantità di gente di ogni ceto e di ogni età che sosteneva le manifestazioni abbiamo capito: è tutta la società iraniana che chiede di voltare pagina».
Bahram e Haleh, con cui parliamo poco dopo, sono disposti a seguire il Movimento, ci dicono quando ne parliamo più tardi. Bahram studia all´università Shahid Beheshti e Haleh al liceo Zeinab. Bahram viene da Gonbad, e dopo la fine delle lezioni, in attesa degli esami è tornato a casa a Gonbad a studiare. Martedì ha fatto ritorno a Teheran e nella Casa dello studente dove vive ha trovato una citazione del Tribunale Rivoluzionario. Lo accusano di aver commesso violenze la notte in cui i basiji dettero l´assalto ai dormitori studenteschi. Lui era a Gonbad, ma il Tribunale rivoluzionario minaccia: «Abbiamo le foto che dimostrano la tua colpa!». Sabato prossimo il padre, arrivato apposta da Gonbad, l´accompagnerà in Tribunale e chiederà che ai giudici che gli mostrino le loro «prove». Ma da nessuna parte come in Iran è vero il proverbio che dice: «Davanti ai giudici e in alto mare non resta che raccomandarsi a Dio».
Già il capo del potere giudiziario Yazdì ha promesso durante la preghiera del Venerdì «punizioni esemplari» per i dimostranti. Almeno trecentoventi studenti restano in carcere, o peggio ancora, nessuno sa dove siano. I parlamentari che li difendono vengono minacciati di morte, attaccati da gangster armati. Su tutti i giornali è comparsa ieri la foto di Abdul Mohammad Nezam Eslami, deputato di Burujerd, e firmatario insieme al altri 165 parlamentari di una lettera a Khatami. Con un braccio rotto, Nezam Eslami ha denunciato in parlamento di essere stato inseguito e buttato fuori di strada da una macchina dei soliti «senza uniforme». La sua automobile è finita in una vallata. Lui si è salvato per miracolo. Altri deputati volevano denunciare simili violenze e minacce, ma la minoranza conservatrice ululava. Il capo del Parlamento Kharrubi, che non è eroe, ha chiuso la seduta.
Haleh, la studentessa liceale, non si è finora mai interessata di politica. I giornali le sembrano noiosi, non li legge. Eppure anche lei ha partecipato alle dimostrazioni. Quello di cui si lamenta non è la mancanza della democrazia, ma di non trovare spazi per la sua vita privata. Tutto di nascosto bisogna fare. E ora i basiji hanno ricominciato perfino a fermare le ragazze che portano i ropush corti al ginocchio. «Che vita» dice Haleh. «La prima volta sopporti, la seconda cerchi di farla franca ma col tempo ti si accumula un´irritazione, una stanchezza. Li detesti. Li odii. Con tutte le tue forze». «La scontentezza per una vita che non si riesce a vivere è diventato in Iran il fermento della ribellione politica di molti giovani» racconta la psicologa Mariam Ramshet. Per il regime può essere un pericolo ancora maggiore delle proteste a carattere politico. Soprattutto oggi che il regime ha perso qualsiasi restante briciolo di legittimità, le imposizioni fanno molto più male.