martedì 22 luglio 2003

in guardia, secondo il manifesto c'è un nuovo «eroe della cultura» per la sinistra: Slavoj Zizek (1)

il manifesto 22.7.03
La necessaria follia del pensare

La rinuncia della sinistra politica a proporre un'alternativa alla realtà spettrale del capitalismo globale. Finalmente pubblicato «Il soggetto scabroso», l'opera più ambiziosa del filosofo sloveno Slavoj Zizek Heidegger, Balibar, Badiou, Butler, Beck. Filosofi, filosofe e studiosi così diversi tra loro, ma accomunati dall'assenza di una politica della liberazione all'altezza della miseria del presente
di SANDRO CHIGNOLA
Come evadere dal circuito spettrale del capitalismo globale e dal suo doppio ideologico? Come agire un gesto di liberazione che sia realmente politico e in grado di evitare il gioco al massacro del costante venire a patti con quella che, nelle retoriche del riformismo e della «sinistra di governo», ci viene presentata come la realtà, come l'inscalfibile orizzonte di riferimento sul quale misurare validità e legittimità dell'azione? Ciò che Heidegger, i teorici postalthusseriani (Balibar, Rancière, Laclau, Badiou), il femminismo decostruzionista (Butler), i sociologi della «società del rischio» (Giddens, Beck, per non parlare delle retoriche liberal del multiculturalismo) hanno in comune, è, per Slavoj Zizek, la cui opera più ambiziosa viene infine messa a disposizione del lettore italiano (Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Raffaello Cortina Editore, pp. 500, € 37), il rifiuto a confrontarsi con l'ontologia e ciò che da quello stesso rifiuto consegue: la mancanza di radicalità nel pensare una politica di liberazione all'altezza della miseria del presente.
Nell'interpretazione di Zizek, la scena contemporanea è dominata da due opposti e complementari modi di venire a patti con la perdita catastrofica che segue al «collasso del marxismo» del 1989: da un lato l'insistenza sulla forma vuota, la pura retorica dei principi feticisticamente attardata in difesa dei capisaldi della socialdemocrazia; dall'altro l'accettazione delle regole del capitalismo globale come necessità che fa legge, il Full Monty della sinistra blairiana ed ulivista, l'«andare fino in fondo» nello spogliarsi di ogni residua istanza capace di sostenere un'alternativa alle logiche del capitale.
Quanto rende possibile una tale impasse, è, per Zizek, il disconoscimento della scena originaria nella quale viene posto il problema del soggetto: non il suo venire a mancare, come lo interpretano le filosofie del postmoderno, il suo indebolirsi e scomparire come agente della trasformazione, ma il suo identificarsi con la mancanza stessa, con l'eccedenza che lo fonda come da sempre «out-of-joint», scardinato alla propria realtà, come incompleto, «vuoto».
Applicando alla filosofia politica contemporanea l'analisi lacaniana del problema della soggettività nell'idealismo tedesco, Zizek mira ad un doppio risultato. Da un lato assumere la centralità dello scarto in cui si costituisce la soggettivazione - mossa, quest'ultima, che gli permette di sganciare il problema del soggetto da ogni coinvolgimento con l'ordine della totalità e dell'immediatezza, evitando così l'errore di postulare una posizione di semplice esteriorità tra il soggetto e il positivo, tra il contingente e l'universale, tra l'«escluso» che pretende l'accesso e l'ordine di rapporti che lo esclude -; dall'altro l'interpretazione della filosofia politica contemporanea come formazione fondamentalmente difensiva.
Ogni ontologia è intrinsecamente politica, per Zizek, perché fondata da un atto «soggettivo» di decisione, che presenta la duplice caratteristica di essere sempre disconosciuto e contingente. L'idea della realtà come «Tutto autosufficiente» (anche quella del soggetto agente di una trasformazione possibile) va kantianamente rifiutata come paralogismo, perché quello che appare come un limite epistemologico dell'umana capacità di comprendere la realtà (il fatto che essa possa solo e sempre essere percepita a partire da una prospettiva finita e temporale) è la condizione ontologica costitutiva della realtà stessa. Come in Fichte (la nozione di Anstoß) o in Hegel (il negativo dialettico), la resistenza che il soggetto incontra non è una resistenza esterna (l'inerzia dell'ordine della realtà), ma lacanianamente ex-tima, fondativa della stessa realtà del soggetto, e proprio per questo eccedente/eccessiva rispetto alla sua stessa padronanza di sé. C'è, in altri termini, un momento di follia necessaria implicato sulla scena del cogito.
E' questo presupposto ciò che permette a Zizek di aprire un confronto radicale con il pensiero critico contemporaneo. Badiou e Laclau «ontologizzano» immediatamente il soggetto come effetto del loro platonismo di fondo. Rancière, muovendo dall'opposizione tra quelle che egli chiama la politique/police e la politique, tende a sovrastimare, stabilizzandolo, lo iato postulato tra l'ordine esistente e gli interventi parziali per mezzo dei quali viene data voce a le tort. Butler, teorica della differenza sessuale, finisce con l'identificare quest'ultima alla norma simbolica che determina ciò che uomo e ciò che è donna. Balibar si dimostra incapace di sottrarsi ad un habermasismo paradossale, nella misura in cui accetta l'universalità come orizzonte finale della politica, anche dopo aver posto l'attenzione sullo scarto che esiste tra le declaratorie formali del diritto e la domanda di egaliberté che insiste a sovvertirle dall'interno.
Rifiutando l'ontologia, il confronto con l'abisso che costituisce il soggetto sul fondo di una divisione, tutte queste posizioni approdano per Zizek ad una doppia paralisi. Sul lato teoretico, col postulare comunque - come effetto di una definizione sostanziale del soggetto - una forma dell'universale all'interno della quale le lotte vengono indebolite come semplici lotte per il riconoscimento. Sul lato politico, con lo sfuggire la posizione che obbliga ad assumersi la responsabilità politica della verità e della sua articolazione sovversiva.
Che la filosofia contemporanea rappresenti una formazione eminentemente difensiva, lo dimostra per Zizek non soltanto il modo attraverso il quale essa evita di interrogarsi sullo statuto reale del soggetto, ma il suo stesso autoconfinarsi in un atteggiamento da «sinistra kantiana» incapace di sostenere il passage à l'acte. In Balibar, in Rancière, in Badiou, la politicizzazione della situazione viene fatta dipendere dall'eccedenza di un universale impossibile che agisce da ideale regolatore.
Attenta a mantenere ed a rilanciare la differenza tra l'ordine delle cose e il suo impossibile compimento, questa posizione si condanna tuttavia anticipatamente al fallimento. Essa sopravvaluta l'ordine positivo dell'essere, lasciandosi sfuggire il fatto che l'ordine dell'essere non è mai dato in modo semplice, ma che è esso stesso fondato su un qualche Atto precedente: su di una separazione, una scissione. Quest'ultima è per Zizek ciò che comunque permane (a partire dallo stesso Soggetto) come la condizione irredimibile che sostiene ogni ordine dell'essere.
Questo a sua volta significa, che l'atto intrinsecamente divisorio per cui la situazione viene politicizzata (soggettivando l'esclusione, la parte di chi non ha parte), non può limitarsi - pena la condanna a quello stesso circuito isterico del desiderio già rimproverato da Lacan ai contestatori del Maggio francese - a sostenere una posizione di semplice critica o di denuncia. Occorre che il gesto tradizionale della critica dell'ideologia venga rovesciato, riconoscendo nell'infimo dell'ordine concreto l'unico punto della sua universalità e nell'oscenità della decisione in cui si costituisce il Soggetto il supplemento che permette di agire politicamente in conformità alla legge del desiderio.
Quello che Zizek chiama il protokantismo implicito della filosofia contemporanea - la posizione dell'«anima bella» in cui la critica si rinchiude per riflettere il luogo di un'eccedenza dell'idea di giustizia che paradossalmente finisce con l'assumere l'autoconsistenza dell'ordine della realtà - deve essere denunciato come il limite di un discorso sull'universale che rifiuta di assumersi la responsabilità politica della verità.
Una conoscenza oggettiva della realtà è impossibile, per Zizek, perché ogni sistema di norme (compreso quello che fonda la specifica legalità del conoscere) è costitutivamente sospeso dall'eccezionalità che lo fonda. Solo negando il proprio coinvolgimento immediato nella realtà, elaborando il lutto materiale del proprio prendere parte ad essa, il soggetto si insedia nella squilibrata posizione di esteriorità che gli permette di assumere la realtà come «oggetto» e quindi di dominarla. La patogenesi del soggetto implica una scissione ed un irriducibile antagonismo. E questo a sua volta significa, che solo in quel punto d'esclusione può emergere la «cornice» universale, la forma trascendentale che rende possibile il conoscere, e quindi la stessa «realtà».
Sul lato politico, questo implica una serie di conseguenze immediate. Innanzitutto, che l'uiversale del diritto può materializzarsi solo come effetto di una presa di parola parziale. La verità di una situazione emerge solo a partire dall'antagonismo che la squilibra e dalla faglia che la attraversa come sua soglia interna di rottura. E poi, che di questa rottura, della propria partecipazione sempre parziale alla situazione, occorre assumersi la piena responsabilità politica.
Il kantismo irriflesso della filosofia critica contemporanea può essere superato per Zizek solo in nome di una politica leninista della verità. Assumendo fino in fondo la parzialità della propria presa di parola e sopportando il disagio di doverne sostenere il peso. La realtà spettrale del capitale globale va ricondotta all'atto che la fonda (una precisa distribuzione dei rapporti di forza nella lotta di classe) e valutata negli effetti di violenza e di deprivazione materiale attraverso i quali essa si riproduce. Una politica di liberazione non può evitare di assumere su di sé l'onere di sospenderne la norma - quella che il commentatore liberal accetta come la normalità della valorizzazione, la linearità del suo funzionamento - e di sostenere fino in fondo la parte che le è propria: quella di accettare di sporcarsi le mani per affrontare l'osceno di una democrazia-a-venire che, per essere tale, deve attraversare il crudo della rivoluzione.