martedì 22 luglio 2003

Luigi Cancrini, sul gene della depressione

Il Messaggero Martedì 22 Luglio 2003
I RISULTATI DI UNA RICERCA
La depressione è colpa di un gene ma ha radici nei traumi infantili
di LUIGI CANCRINI

LA RICERCA pubblicata da Science sull’origine genetica dei disturbi depressivi è una ricerca importante. Basata su uno studio longitudinale durato venticinque anni, essa ha permesso infatti di verificare l’idea per cui il 43 per cento degli individui che presentano una certa versione (corta) di un tratto ben definito di Dna presentano una difficoltà speciale di elaborazione degli eventi traumatici. Dando luogo spesso, per questa via, ad episodi di tipo depressivo.
La prima riflessione da fare, di fronte ad una ricerca come questa, è relativa all’importanza fondamentale che essa ribadisce, dandola per scontata, al trauma. Gli episodi rilevanti di depressione sono sempre e comunque collegati dai ricercatori, infatti, al verificarsi di fatti traumatici, ad esperienze di perdita o di lutto. E’ da qui che si parte comunque quando quello cui ci si trova di fronte è un episodio depressivo come la clinica e l’esperienza degli psicoterapeuti ha dimostrato ormai da decenni.
Un secondo punto di riflessione, mi pare, riguarda i numeri. Verificare che il 43 per cento di una certa popolazione va incontro ad un episodio depressivo e che il 17 per cento di quella che non ha quel tipo di diversità genetica può comportarsi in modo analogo significa essenzialmente due cose. Che vi sono molte situazioni, il 57 per cento dei casi, in cui l’esistenza di fattori protettivi evita che l’anomalia genetica si manifesti (si esprima, nel senso dei biologi) e che molte altre ve ne sono in cui la difficoltà di elaborare il trauma e la depressione che segue tale difficoltà si verificano anche in assenza di anomalia genetica: in assenza, stavolta, dei fattori protettivi di cui sopra.
La ricerca clinica offre elementi importanti oggi per valutare la natura di questi fattori. Difficile e dura dal punto di vista emozionale, l’infanzia dei futuri depressi è un’infanzia regolarmente segnata dalle difficoltà dei genitori e dal verificarsi di eventi pesanti che il bambino ha vissuto dall’interno di una condizione di solitudine. Al modo in cui sono sicuramente la solitudine e la mancanza di un sostegno valido dal punto di vista emotivo le concause più rilevanti di quello che si caratterizzerà un giorno come episodio depressivo grave dell’adulto: come ci raccontano ogni giorno le persone che non hanno avuto uno spazio per ”dare parole” al loro dolore.
Quello che ne possiamo concludere provvisoriamente oggi, forse, è che, applicata agli uomini e al funzionamento della mente, la genetica può proporre solo frammenti di verità elementari. Senza riscontri pratici di grande rilievo. Quella cui dobbiamo pensare di più, infatti, è l’importanza dei fattori ambientali: per la possibilità che essi hanno di proteggere dal rischio genetico, prima di tutto, e per la possibilità che abbiamo, in secondo luogo, di controllarli e di modificarli. Adottando schemi intelligenti di comportamento. Mettendoci in mente con tutta la chiarezza possibile, che il modo migliore di proteggere un bambino dalla depressione di oggi o di domani è la nostra capacità di stare con lui nei momenti di difficoltà modulando in modo attento e intelligente l’affetto con cui lo facciamo crescere.
Quella con cui vorrei concludere è una fantasia che potrebbe essere alla base forse di altre ricerche. La variante corta del tratto di Dna considerata dai ricercatori di Science è responsabile, secondo loro, di un particolare difetto nella produzione di serotonina. Se questo è vero e se il 57 per cento degli individui il cui cervello funziona male su questo punto non sviluppa la depressione, però, quello che noi possiamo pensare, ipotizzare, è che un contesto educativo adeguato può rendersi utile anche a livello di biochimica del cervello. Un’idea che apre scenari affascinanti, mi pare, sull’interazione complessa fra la nostra vita mentale e il nostro corpo. Dando senso all’idea per cui quest’ultimo reagisce attivamente agli stimoli offerti da quella: inesplicabilmente collegando tra loro, vita dopo vita, l’evoluzione della specie e quella dell’individuo.