giovedì 31 luglio 2003

repressione culturale: i cristiani sempre in prima fila

Gazzetta del Sud 31.7.03
Da Tacito a Savonarola, dalla Bibbia ai nazisti
Storia paradossale di censure e roghi
di Paolo Petroni

«I libri non sono cose morte, ma contengono in sé un potere vitale pari a quello delle anime di cui essi sono progenie». Cita quanto il poeta Milton scrisse nel 1644 Giorgio Patrizi, docente di storia della letteratura italiana a Campobasso, per aprire il suo discorso su una storia, spesso paradossale, dei libri bruciati e censurati nel corso del tempo. Si pensi che spesso censori a istigatori al rogo di pagine stampate sono stati eroi libertari e rivoluzionari, da Savonarola a Mao, o che Giuseppe Gioacchino Belli, cantore senza peli sulla lingua della Roma papalina con sonetti pubblicati solo dopo la sua morte, fece il censore e il tagliatore di copioni teatrali. Una storia curiosa insomma, che un volume curato appunto da Patrizi, della collana dell'Istituto Poligrafico intitolata «Cento libri per Mille anni», affronta, proponendo proprio un excursus sui testi proibiti ieri e oggi. Si va da Petrarca, persino lui censurato e espurgato, passando per Casanova come Silvio Pellico, sino a Ignazio Silone e Alberto Moravia, limitandoci alla nostra letteratura. Il celeberrimo «Canzoniere» di Petrarca che canta il suo amore per Laura, modello per secoli dei nostri poeti, venne accusato a inizio '500 di aver scritto «in tante rime e versi gli sconci e molto disordinati affetti e l'angosciose passioni dè miseri innamorati» da un monaco veneziano, Girolamo Malipiero, che non dovrebbe esser meno famoso del Braghettone che coprì le parti nude del Giudizio Universale di Michelangelo. Questi infatti riscrisse, col titolo «Petrarca spirituale», i componimenti del Canzoniere tagliandoli e correggendoli per armonizzarli a un sistema ideologico e linguistico consono al potere egemone, ovvero tramutando l'amore sensuale di un uomo per una donna in un amore tutto spirituale in cui quello tra i sessi non deve essere diverso o portare lontano da quello per Dio. Patrizi cita, come caso esemplare dello spesso complesso rapporto tra letteratura e potere (lasciando da parte casi più netti come quello dell'inquisizione o del nazismo e di tutti i regimi totalitari), il Savonarola che si assunse il ruolo di difensore delle libertà civili nella precaria repubblica fiorentina a fine '400, e lo fa puntando nelle sue celebri prediche su una moralizzazione delle idee, dei costumi e della cultura così che sotto i suoi strali cade, per esempio tutta la letteratura comica, a cominciare dal Pulci, che non edifica e corrompe gli spiriti. E due volte Savonarola spinse i concittadini a portare al rogo i libri che avevano in casa perché «il fuoco distruttore fosse un emblema della purificazione delle anime, attraverso la cancellazione del peccato. Ma la stessa tragica simbologia – ricorda Patrizi – sarà in azione qualche anno dopo... quando lo stesso Savonarola, scomunicato, verrà arrestato, sommariamente processato, impiccato e bruciato», per essersi ribellato a alcune richieste pontificie. Un saggio di Mario Infelise, docente di Storia a Venezia, intitolato proprio «I libri proibiti (da Gutemberg all'Encyclopedie)» edito da Laterza, comincia ricordando comunque che i roghi di libri hanno ben più storia di quella della stampa se Tacito ricorda che un tale Cremuzio Cordo fu accusato di «novum ac tunc auditum crimen» (delitto nuovo e inaudito) sotto Tiberio Imperatore, per aver scritto pagine di rimpianto verso le antiche virtù repubblicane, e il Senato decretò i suoi libri fossero dati alle fiamme. Naturalmente furono la Controriforma e l'Inquisizione che segnarono la svolta nella repressione culturale con metodi e una vastità d'intervento che non aveva precedenti e non conosceva confini, se nei famosi Indici dei libri proibiti finì anche la Bibbia nell'edizione in volgare. E a questo capillare e quotidiano sistema di controllo e repressione Infelise dedica gran parte del suo studio. E anche lui cita l'Areopagitica di Milton: «Uccidere un buon libro è in un certo senso quasi peggio che uccidere un uomo, perché chi uccide un uomo, uccide una creatura dotata di ragione, ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione stessa». Per la prima, pubblica proclamazione della libertà di stampa bisognerà aspettare la Rivoluzione francese e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789. Ma la storia dei roghi non si fermerà per questo, e a Berlino, nel mezzo della piazza dove nel 1933 si bruciavano i libri della adiacente biblioteca imperiale, oggi c'è in ricordo un suggestivo e concettuale monumento sotterraneo visibile da un oblò, una stanza bianca vuota foderata di scaffali egualmente bianchi e vuoti.