giovedì 31 luglio 2003

l'idea di Atlantide, e il nesso con la società di Creta

Liberazione 31.7.03
Le prime fonti storiche risalgono addirittura a...
di Claudio Asciuti

Le prime fonti storiche risalgono addirittura a Platone, nel 347 avanti l'era volgare. Il padre della filosofia occidentale, nei due dialoghi Timeo e Crizia, indica le prime coordinate del paradiso perduto. Combinando le due trattazioni possiamo coglierne alcuni elementi: siamo all'incirca nel 9000 a. e. v. e gli abitanti felici di questa terra posta oltre le Colonne d'Ercole vivono in pace, fra animali al pascolo, campi pingui, acque pescose e vene minerarie. Il sistema politico è una federazione di dieci provincie rette da altrettanti re; il popolo è assolutamente pacifico sebbene abbia combattuto un'antica guerra contro i Greci. Fino a quando, come in ogni eden, sopraggiunse il desiderio, la violenza e, allora, Zeus decise di intervenire. Non sappiamo cosa avvenne, ma l'isola fu distrutta in un giorno e in una notte da terremoti e maremoti. Poi scomparve...
Stiamo parlando di Atlantide, naturalmente, luogo utopico per eccellenza, unica mappa certa nell'immaginario cartografico perduto. La terra che tutti, occultisti, avventurieri, maghi e ciarlatani intravidero, descrissero e documentarono, ma di cui nessuna traccia fu mai attestata.
Platone, quando scrisse i due dialoghi, aveva in mente di raccontare attraverso un mito verità politiche e filosofiche, com'era suo costume e, fino all'avvento del cristianesimo (non particolarmente favorevole ai paradisi in terra), si continuò di tanto in tanto a discuterne, poi su tutto cadde il velo.
Ma come sempre accade, dopo un lungo silenzio, il mito comincia a vivere di vita propria: l'idea di Atlantide si ripropose quando, con le mutate condizioni geografiche e naturalmente politiche, si riprese a parlare di luoghi perduti. A partire dal 1552, quando Francisco Lopez de Gòmara ipotizzò che il continente scoperto da Colombo fosse l'Atlantide, fu tutto un fiorire di interpretazioni, che videro protagonisti, fra gli altri, il mago John Dee, Francesco Bacone, il naturalista Buffon. Ma solo alla fine dell'Ottocento il problema uscì da un dibattito ristretto a pochi per diventare oggetto comune di discussione, grazie soprattutto a Ignatius Donnelly, il quale per primo teorizzò Atlantide come centro da cui s'irradiò la civiltà mondiale. Donnelly è considerato il primo "atlantideologo" e la sua trattazione non è certo il massimo del rigore scientifico. Tuttavia egli fissò il punto da cui nacquero le grandi falsificazioni che ancor oggi imperversano: perché Atlantide è naturalmente il luogo delle falsificazioni e degli imbrogli… Nello spazio di un solo articolo sarebbe impossibile far riferimento alle invenzioni che gente più o meno in buona o cattiva fede elaborò in proposito. Qualche nome, però, possiamo farlo.
Nel 1888 Helena Petrovna Blavatsky, turbolenta fondatrice della Società Teosofica (l'organismo internazionale nato nel 1875 che si poneva come base per uno sviluppo futuro dell'umanità, accogliendo studiando e comparando dottrine d'ogni genere), affermò di aver ricevuto in trance rivelazioni sui mondi sotterranei di Agharta e Shambala e teorizzò l'esistenza delle cosiddette "razze radicali", di cui l'Atlantidea sarebbe la quarta. Un attento esame dei suoi scritti avrebbe fatto certamente comprendere anche al lettore più ingenuo che si trattava di una mistificazione, ma gli esseri umani sono creduloni e così un suo adepto, W. Scott-Elliot, una decina d'anni dopo ebbe buon gioco a descrivere con abbondanza di particolari la civiltà di Atlantide, completa di aerei che volavano grazie a una forza misteriosa.
Paul Schliemann, nipote di Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia, non esitò nel 1912 a spacciare per buona l'idea che il celebre nonno gli avesse lasciato reperti atlantidei e che addirittura alcuni li avesse trovati egli stesso: reperti che, ovviamente, nessuno ebbe modo di vedere. Poi toccò a Edgar Cayce, "veggente" americano morto nel 1945, uno dei più grandi mistificatori della storia del paranormale, riportato in auge dalla New Age, e che nelle sue visioni descrisse Atlantide come un arcipelago di cinque isole, arrivando a profetizzare che nel 1976 una di esse, Poseidia, sarebbe riemersa!
In questo bizzarro repertorio non poteva mancare il nazismo. E, infatti, arrivò con la sua coorte di cerimonie lugubri e di saperi perduti, attraverso le teorie ereditate da Donnelly e dalla Blavatsky. Basta dare un'occhiata a una delle molte documentazioni che circolano oggidì sull'origine esoterica del nazismo per rendersi conto di come Hitler fosse interessato all'idea delle razze, delle distruzioni più o meno palingenetiche e soprattutto al mondo misterioso di Agharta.
Ma l'interesse non scemò con la guerra, anzi. Medium, ciarlatani, scrittori di fantascienza improvvisamente divenuti archeologi del mistero (è il caso di Richard Shaver, autore di "I remember Lemuria") hanno alimentato e alimentano un ricco giro di denaro e potere, facendo leva sulla dabbenaggine umana, mescolando Atlantide ad altrettanto immaginarie terre (Thule, Lemuria, Mu, Gondwana, Iperborea) mentre, a seconda dei periodi storici, il sito viene individuato indifferentemente nell'Atlantico, nel Caucaso, nel Sahara, nel Mediterraneo, in Antartide e in Artide, al punto che la civiltà atlantidea cambia a seconda degli orientamenti: abbiamo detto aerei mossi da forze invisibili, poi abbiamo avuto (dopo Hiroshima) civiltà distrutte non da catastrofi naturali bensì da guerre atomiche e, attualmente, con l'avvento della cristalloterapia, si è scoperto che anche questa pseudo-scienza nacque ad Atlantide.
La maggior parte di queste teorie sono ridicole, mentre altre, seppur provviste di buon senso (per esempio quella dell'italiano Flavio Barbero che situa Atlantide in Antartide), non sembrano molto credibili. Allora la civiltà misteriosa descritta da Platone fu soltanto un mito? L'archeologia ha dato una possibile risposta. Il primo a intuire la verità fu K. T. Frost, professore a Belfast, in un articolo nel 1909. Frost intravide per primo le somiglianze fra quanto descritto da Platone e le scoperte cretesi che allora stavano venendo alla luce. La sua teoria non fu presa in considerazione negli ambienti scientifici, ed egli morì in combattimento durante la Prima guerra mondiale senza aver potuto ampliarla. Si dovettero aspettare diversi anni fino a quando Spiridion Marinatos, direttore degli scavi di Thira, ovvero l'isola greca di Santorini, non imputò, nel 1939, la scomparsa della civiltà minoica all'eruzione del vulcano di Thira. Da allora gli scavi effettuati prima da Marinatos, poi dal suo allievo Christos Doumas, confermarono questa ipotesi, con progressivi aggiustamenti per quanto riguardava datazioni, reperti, identità. Ma presto John Luce, lo stesso Marinatos e poi Doumas cominciarono a pensare che la situazione andava letta diversamente: ciò che Platone chiamava Atlantide era solo il ricordo, deformato, della grande catastrofe sismica seguita all'eruzione del vulcano di Thira che, verso il 1600 a. e. v., spazzò via una fiorente civiltà.
John Luce e il palentologo Charles Pellegrino hanno lavorato a lungo su questa ipotesi - a tutt'oggi la più convincente - e che ancora una volta ci fa pensare come, al di là delle speculazioni, degli imbrogli, dei deliri di occultisti e ciarlatani, il principio di Schliemann sia ancora valido. Ogni mito contiene in sé un principio di realtà, il ricordo di ciò che è stato. Sta, naturalmente, all'intelligenza e alla serietà del ricercatore trovare il filo che lega il mito all'evento.